No, quest’Europa non è pronta a morire per Danzica

17 Gennaio 2019

Come ottanta anni fa torna la  domanda: Vale la pena morire per Danzica?

Allora, il 4 maggio 1939, a chiederselo sulle pagine del giornale di centro “L’Œuvre”, era Marcel Déat, esponente della destra sociale francese, ma già giovane deputato del e promessa politica del Partito socialista francese (SFIO) alla fine degli anni ’20 (finirà collaborazionista filonazista e anti pétainista, a contendere a Jacques Doriot, anch’egli filonazista, ma un tempo giovane speranza del comunismo francese, la palma dell’investitura di uomo fidato del nazismo nel febbraio 1945).

Gli rispondeva alcuni giorni dopo Jean Zyromski, esponente dell’ala di sinistra della SFIO, confermando già nel titolo che sì, valeva la pena morire per Danzica.

Allora il problema era se lasciar fare alla Germania nazista che chiedeva di entrare in possesso di Danzica, città libera che marcava il corridoio tra due pezzi di Germania e in cui si infilava anche lo sbocco al mare della Polonia o, invece, rischiare di andare alla guerra per affermare l’autonomia di Danzica.

Ottanta anni dopo l’idea di Danzica città libera e aperta è ancora il segno di chi vuole una Polonia non in ostaggio del ricatto nazionalista.

Deve essere questo che ha armato la mano dell’assassino di Pawel Adamowicz sindaco di Danzica. Dunque : la libertà è a Danzica. Per cui vale la pena morire per Danzica.

Ma dire che l’Europa oggi è a Danzica, plaudire – come non farlo? – alle decine di migliaia di polacchi che sono scesi in strada a dare l’estremo saluto al sindaco di Danzica a lungo vicino all’ala riformatrice e democratica di ciò che oggi rimane in Polonia di Solidarnosc, per quanto doveroso, non elimina la necessità di cercare di riconoscere la fisionomia della Polonia di oggi.

Le parole sono importanti e usarle o meno, quando ci sono e hanno un significato, dipende solo dalla volontà o non volontà di prendere di petto le situazioni che abbiamo di fronte.

L’uccisione di Pawel Adamowicz, domenica sera, per opera di un simpatizzante politico della destra nazionalista che oggi governa la Polonia, forse conferma un dato che è nelle cose ma che ancora facciamo fatica a nominare.

In molte parti d’Europa sta tornando il fascino per il totalitarismo.

E’ un fascismo che no ha mancato di dare molti segnali negli anni vicini a noi. Avere un’opinione diversa in Polonia è oggi pericoloso. Lo storico Jan T. Gross ne sa qualcosa ed è stato significativamente la prima vittima di quella legge che circa un anno fa, nel febbraio 2018, è entrata in vigore e che punisce fino a tre anni di carcere chiunque dica di “campi di sterminio polacchi” durante il nazismo.

Jan T. Goss, lo storico americano-polacco de I carnefici della porta accanto (Mondadori), un libro da tempo fuori catalogoe che forse varrebbe la pena riproporre, e poi di Un raccolto d’oro (Einaudi), ha dimostrato due cose che oggi in Polonia non si possono dire:

1) antinazismo e lotta all’antisemitismo non sono naturalmente coincidenti;

2) fare i conti con la vicenda dello sterminio, richiede che preliminarmente si smetta di raccontarsi solo come vittime o come estranei.

Ma se da marzo scorso entrasse in Polonia e lo sostenesse andrebbe in carcere.

La legge approvata lo scorso febbraio è soprattutto una macchina ideologica che ha tre scopi:

1) serve a scansare le responsabilità;

2) contribuisce a dare di sé un’immagine metafisica e fuori dalla storia;

3) è funzionale a descrivere se stessi, a priori, come innocenti, incontaminati.

La somma di questi tre atteggiamenti è l’effetto e anche la macchina culturale che alimenta il processo di costruzione della Polonia di oggi come paese in marcia verso il totalitarismo.

Non è l’unica realtà che oggi in Europa è incamminata lungo questo percorso. I suoi confinanti a sud  (Ungheria, Repubblica di Slovacchia, ma anche la Repubblica di Boemia) senza dimenticare il confino orientale lungo il Baltico e la Russia si sono incamminati da tempo su quella strada.

Se ancora il fermo immagine che abbiamo è all’ “indimenticabile ‘89”, da domenica sera dobbiamo resettare il nostro orologio e forse prendere in considerazione l’ipotesi, con un diverso impianto ideologico rispetto al 1946 quando lo enunciò Churchill, che a Est stia di nuovo per  calare la cortina di ferro.

La Polonia, di oggi sembra più vicina alle pratiche proprie del regime che il 19 ottobre 1984 rapisce Jerzy Popiełuszko. All’orizzonte non si intravede nessun movimento di massa antitotalitario.

TAG: cortina di ferro, Jan T. Gross, Jerzy Popiełuszko, Pawel Adamowicz, Solidarność
CAT: Storia

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