LIBRO BIANCO SULLA SANITA’ E DINTORNI
Aielli ( AQ) 23 ottobre 2024, Giornata della Costituzione,ore10 Malgrado i suoi 77 anni, nell’integrazione con i Trattati Europei, la Costituzione resta la Legge fondamentale […]
Ieri quanti hanno scandito la frase «Ma che belle son le foibe da Trieste in giù»? Non lo so. È invece essenziale sapere se ha prodotto scandalo, imbarazzo, soddisfazione Dopo, consenzienti o meno, sia per coloro che lì c’erano, sia per quelli che non c’erano, e che hanno a cuore l’inclusione e il diritto a ricominciare è cambiato qualcosa. Ovvero si tratta di prendere in carico una domanda: Vale per ogni perseguitato innocente e per ogni profugo il principio di tutela? Per trovare qualche risposta credo sia di grande aiuto un libro.
Ci sono libri che alle volte, senza che sia possibile prevederlo, sono molto più spiazzanti delle intenzioni dichiarate che stanno alla base della loro scrittura. Non accade sempre. Non dipende solo dal libro. Dipende anche dal momento in cui si legge quel libro. Quel libro è Sarei stato carnefice o ribelle? (Sellerio), di Pierre Bayard.
«Papà, spiegami allora a che serve la storia. Così un giovinetto, che mi è molto caro, interrogava, qualche anno fa, il padre, uno storico». Sono le parole d’esordio di Apologia della storia (Einaudi) l’ultimo libro incompiuto di Marc Bloch.
Serve il racconto della storia? In che modo serve? Da quali domande ha senso indagare il passato?
Pierre Bayard, professore di letteratura francese all’Università di Parigi VIII (a Vincennes) e psicoanalista ha scritto un libro immaginando di trovarsi in guerra, nella seconda guerra mondiale, di vivere le stesse situazioni di scelta in cui si trovò suo padre e a chiedersi quali scelte avrebbe fatto.
Sarei stato carnefice o ribelle? (Sellerio) è un libro che pone molte domande a chi voglia apprendere dalla storia non le soluzioni, o è in cerca di scena da citare, ma abbia la voglia di scavare negli atti che le persone compiono, e dunque comprendere che cosa (e soprattutto se) mettono in discussione la loro stabilità sociale; quanto siano disposti a mutarla o a metterla a rischio, oppure a essere indifferenti rispetto a eventi, valori, attori che non toccano direttamente la qualità della loro vita.
Il quadro è a Francia tra crollo politico e militare del giugno 1940, occupazione, collaborazionismo di Vichy, delazione, oppure emigrazione, clandestinità, opposizione. Dentro stanno tutte le scelte che ogni volta al cambio o all’innalzamento della posta in gioco si presentano
Il tema nell’indagine e nello scavo che propone Bayard, infatti, non è quanto si è disposti a rischiare o quale sia il livello della propria rivolta morale, ma: quante domande si fanno al proprio presente? fino a che punto si è disposti ad accettare ciò che il presente ci propone? quanti elementi siamo disposto a mettere in gioco? Che cosa siano, o quali riteniamo siano, le scelte da fare? Bauatd fornisce vari poercorsi individuali di persone che mettono inn gioco se stesse, e alo stesso tempo creando percorsi non previsti aprono a possibilità di azione che consentono di bloccare il processo persecutorio, di invertirlo.
Uno sguardo dentro la personalità potenziale dove in questione è che cosa si mette in gioco ogni volta: quali parti della propria persona, quali convinzioni, quanto si sia disposti a ridiscutere ciò di cui si è convinti perché la realtà dello scontro non è spiegabile con le categorie, i criteri, i valori che sono stati a fondamento delle nostre scelte precedenti. Quanto si è disposti a rischiare, ma anche quale sia il limite del sopportabile. E perciò a mettersi fuori dagli schemi perché la realtà dei fatti è stata più imprevedibile dello schema ideologico a cui si è aderito, e con cui ciascuno è capace di spiegare i fatti, anche controversi e imprevedibili della realtà, e dunque di sopportarli. Una condizione che, perciò obbliga a non rimanere inerti, a fare qualcosa anche oltre la logica e le motivazioni che stanno «dalla» e «con la» propria parte.
Questo per quanto riguarda il passato non solo nella Francia di Vichy, ma a Sarajevo nell’estate 1992, in Rwanda nel 1993-94.
Ora proviamo trasportare tutto questo nel nostro ora, qui.
Ieri era il “giorno del ricordo”. Ma l’occhio di tutti era a Macerata. Se quella scena doveva dare il senso dell’Italia civile che non ci sta, che non accetta la discriminazione e la persecuzione, allora credo si debba dire che ieri quella parte di Italia che rivendica la capacità inclusiva ha perso.
Più radicalmente. Alla domanda di Pierre Bayard, purtroppo quella scena dice che la risposta che da quella piazza resta sarebbe stata che della vita degli altri, di quei perseguitati e di quei profughi, non gliene potrebbe importare di meno. Comunque che quelle vite e non erano così importanti. E ciò nel momento in cui dichiarava che era lì per difendere il diritto alla vita e il diritto a ricominciare.
Qualcosa non torna.
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