“Aspettando Godot”, la poesia di Terzopoulos svela Beckett

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18 Gennaio 2023

Aspettando Godot alle porte dell’Ade. Soltanto qui, se verrà, è possibile incontrarlo. Ma forse no, non verrà… Così è come stare in un guado, un gioco a perdere in un luogo, in un tempo e in uno spazio indefinito dove si può condividere solo la comune agonia del vivere. Cosa accadrà a quei quattro viandanti sperduti in un dedalo di incroci che si perpetuano a uso e consumo delle loro paure? Nel buio della scena spuntano squarci di luce: è una luminosità ridotta all’essenziale che si libera da angusti loculi per perdersi nello spazio. “Aspettando Godot” scritto da Samuel Beckett così come non l’avete mai visto. Potente e definitivo. Ha la firma di un maestro, Theodoros Terzopoulos, e dietro le spalle un lavoro serrato di oltre un mese intenso di prove, au bout de souffle, fino all’ultimo respiro. Un cast di attori di livello che nella coppia Stefano Randisi-EnzoVetrano trova il perno di un meccanismo oliato. Con loro hanno lavorato in un’opera da inserire negli annali del teatro contemporaneo anche Paolo Musio, collaboratore di una vita di Terzopoulos e i promettenti giovani Giulio Germano Cervi e Rocco Ancarola. Prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale e Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini in collaborazione con Attis Theatre Company è andato in scena in prima nazionale nei giorni scorsi nel bellissimo Teatro Storchi di Modena.

“Aspettando Godot” di Samuel Beckett, regia di Theodoros Terzopoulos. Stefano Randisi, Paolo Musio (in alto) Giulio Germano Cervi (in basso) ed Enzo Vetrano (foto di Johanna Weber)

Proprio un bel gruppo di attori guastatori al servizio di una ri-scrittura inedita del capolavoro di Beckett: ha contribuito a sollevarne i veli e trovare vie inedite al montaggio di un allestimento che è un gioiello sia dell’arte dell’attore _ raramente se ne vedono così motivati e ispirati _ come quella della regia. E non si tratta di semplice adattamento ma di creazione originale tout court. Si stravolge “Godot” restandogli incredibilmente fedele. Si restituisce cioè all’opera la sua forza originaria. Non è soltanto il merito del sapiente taglia-cuci di Terzopoulos che ha trasformato il copione in un abito snello ed elettrico. Ma anche grazie ad una partitura fatta di ritmo sostenuto, incisive sonorità e magica coralità. Mantenendo intatta l’atemporalità del “Godot” il regista greco si è infatti concentrato sulla sua poesia, mettendo in rilievo il travaglio interiore dei personaggi, risucchiati dentro un vortice continuo che sembra tutto travolgere. Divertente e incalzante il rimando di specchi: rivelatore di passioni degli uni e degli altri. Lo scontro e la riconciliazione, l’acidità e la mordacità, la frustrazione di non riuscire a realizzarsi e tutto quanto non è possibile catturare e fare proprio. L’albero del testo diventa un bonsai e anche l’immobilità originale dei personaggi scompare. C’è voglia di superare gli steccati e ansia di libertà. Il desiderio e la paura dell’ignoto. Porte che si aprono, fessure che si chiudono. La scenografia è un evidente richiamo al segno del geniale Jannis Kounellis con cui Terzopoulos ha lavorato tantissimo e in sintonia. Un artista, diceva Renato Barilli “di grande coerenza e creatività” _ in grado nelle sue creazioni _ “di inserire di volta in volta nuovi elementi a far corpo coi precedenti, e disponendo il tutto, in ogni caso, con un grandioso senso dello spettacolo”.

Enzo Vetrano e Stefano Randisi dentro dei loculi collocati in un  cubo nero in “Aspettando Godot”, regia di Theodoros Terzopoulos al Teatro Storchi di Modena (foto di Johanna Weber)

Una imponente struttura sorge come un totem nel centro del palcoscenico: un parallelepipedo dipinto di nero che consta di quattro pannelli mobili sia in senso orizzontale che in verticale. Un geometrico marchingegno dal cui interno filtra una luce che, quando è chiuso, emana raggi a forma di croce. Si apre per prima una coppia di simil acquari dentro i quali galleggiano e agiscono testa-testa gli attori Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Le ante scorrono e diventano costruzioni di altezze diverse per accogliere i volti e le persone. Estragone e Vladimiro stanno in alto mentre Pozzo e Lucky (Paolo Musio, Giulio Germano Cervi) quasi sempre in basso, sbucano dal praticabile e spesso in posizione eretta: marcano il territorio indicando la terra, la realtà. Ma qual’è il plot di questa pièce? Due persone attendono una terza. E’ Godot, che non arriva. Vladimiro ed Estragone incontrano Pozzo e Lucky. Quest’ultimo si lancia in un monologo. Il secondo tempo è uguale al primo. Tutto è già scritto, niente è imprevisto. Godot manda ogni volta un messaggero per dire che verrà il giorno successivo ma… Nel frattempo gli attori parlano, ridono, raccontano, e non vanno via. O si insultano a vicenda con accuse ed epiteti colorati. Le musiche originali di Panaylotis Velianitis accompagnano in sottofondo, come colonna di echi cinematografici, l’evolversi di quella che appare come una tragicommedia (e, in lontananza, sirene ed echi di guerra ricordano  la vicinanza con il mondo reale). Tutti stanno sulla corda. Tutto cambia ma niente cambia. Si continua ad attendere come in una coinvolgente apocatastasi (il termine significa restaurazione. Nella filosofia dell’ “Eterno ritorno” degli stoici è la ricostituzione del mondo dopo la sua distruzione ndr).

Un primo piano degli attori Stefano Randisi ed Enzo Vetrano in “Aspettando Godot” nei giorni scorsi al debutto a Modena (foto di Johanna Weber)

Quanto è messo in azione da Theodoros Terzopoulos e questi formidabili attori è un teatro a forte impatto. In questo modo lo definisce lo studioso e critico Andrea Porcheddu, che il giorno successivo alla prima ha presentato nel foyer del teatro il suo volume “Il respiro di Dioniso” pubblicato da Luca Sossella editore in cui si racconta l’arte del regista e drammaturgo greco.

In tutti gli spettacoli di Terzopoulos la cornice spaziale _ scrive Porcheddu – è “il preludio emotivo: significa porsi di fronte a un abisso affascinante e seduttivo, pericolosissimo. E’ l’anticamera dell’Ade. Basta poco per perdersi e sprofondare”.

Accade anche in questo “Aspettando Godot” che nello sviluppo del tempo teatrale, anche nella sua ripetizione apatica, diventa gioco sinistro, infernale. Baluginano i coltelli, si scorge il rosso rubino del sangue mentre ogni destino, ogni vita tragica riverbera in cento e mille altre vite. Il cuore sta nelle ultime sequenze del dramma, quando le pagine di un libro vengono strappate e gettate via e dal cielo cala una corda a cui sono legati volumi aperti con le pagine insanguinate.

Illuminante quanto scrive ancora Porcheddu: “Il segreto è l’essere-per-la-morte di Heidegger, è l’anticamera dell’Ade che tutti accoglie. Il teatro di Terzopoulos non risente del tempo, non è contemporaneo: non c’è tecnologia, ma corpi e vita, memoria e inconscio” .

Proprio così: “Aspettando Godot” del maestro greco è in controtendenza, se ne frega di quello che nel tempo è divenuta la tradizione della messa in scena beckettiana. O che si richiama al drammaturgo inglese. In questo allestimento tutto diventa inatteso (in opposizione all’attesa, appunto) e Beckett viene tradito a ogni nuovo passo. Ma, paradossalmente, esaltato nel suo hardcore poetico, nell’essenza stringata del suo testo, illuminante e diretto che non cela mezze verità e quindi così drammaticamente attuale e dentro il nostro tempo stesso.

Il giovane attore Giulio Germano Cervi nel ruolo di Lucky in “Aspettando Godot” di Beckett, regia di Theodoros Terzopoulos (Foto Johanna Weber)

Verso la fine di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett:

Vladimiro: “Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, che dirò di questa giornata? Che col mio amico Estragone, in questo luogo, fino al cader della notte, ho aspettato Godot? Che Pozzo è passato col suo facchino e che ci ha parlato? Certamente. Ma in tutto questo quanto ci sarà di vero? (Estragone, dopo essersi invano accanito sulle proprie scarpe, si è di nuovo assopito. Vladimiro lo guarda) Lui non saprà niente. Parlerà dei calci che si è preso e io gli darò una carota. (Pausa). A cavallo di una tomba e una nascita difficile. Dal fondo della fossa, il becchino maneggia pensosamente i suoi ferri. Abbiamo il tempo d’invecchiare. L’aria risuona delle nostre grida. (Sta in ascolto) Ma l’abitudine è una grande sordina. (Guarda Estragone) Anche per me c’è un altro che mi sta a guardare, pensando. Dorme, non sa niente, lasciamolo dormire. (Pausa). Non posso piú andare avanti. (Pausa). Che cosa ho detto?”

Prossime date della tournée di “Aspettando Godot”.

21 gennaio, Teatro Comunale – Casalmaggiore; 25 gennaio, Teatro Comunale – Teramo; 27 gennaio, Teatro Comunale – Russi;  29 gennaio, Teatro Amintore Galli – Rimini; 31 gennaio – 5 febbraio, Teatro Vascello – Roma;  8 febbraio, Teatro Comunale Manini – Narni; 14 – 16 febbraio, Teatro Comunale Chiabrera – Savona; 18 febbraio, Teatro Comunale – Belluno; 24 febbraio – 5 marzo, Teatro Bellini – Napoli.

Stefano Randisi, Giulio Germano Cervi e Enzo Vetrano in una scena di “Aspettando Godot” di Beckett, regia di Theodoros Terzopoulos (foto di Johanna Weber)

TAG: andrea porcheddu, ERT, Jannis Kounellis, Martin Heidegger, modena, Panaylotis Velianitis, Renato Barilli, Samuel Beckett, Theodoros Terzopoulos
CAT: Teatro

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