Genova, il tamburo di Kattrin sveglia contro le guerre

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23 Maggio 2023

Torna a rullare il tamburo di Kattrin contro le ingiustizie e la guerra soprattutto. Accade proprio nei giorni in cui cade Bakhmut la città ucraina messa a ferro e fuoco dall’esercito russo e dai mercenari della Wagner. Ormai non resta più niente di quella città di 77 mila abitanti dove lavoravano metallurgici, vignaioli e, nel grande stadio, si allenavano gli atleti per le Olimpiadi. Quelle rullate richiamano il presente. Risvegliano le coscienze per quel conflitto alle porte di casa, nel cuore dell’Europa. Tornano così a girare le ruote del carro di “Madre Courage e i suoi figli”, possente capolavoro di Bertolt Brecht in scena questi giorni al Teatro “Gustavo Modena” di Genova, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova diretto da David Livermore, regia precisa di Elena Gigliotti che ne ha tratto un allestimento originale, quanto sostanzialmente rispettoso, all’opera riscritta dal grande drammaturgo tedesco. Dramma teatrale, per inciso, particolarmente caro al Teatro di Genova che l’allestì nel 1969 in una memorabile messa in scena di Luigi Squarzina con Lina Volonghi e nel 2002 con Mariangela Melato e la regia di Marco Sciaccaluga.

“Madre Courage e i suoi figli”. Simonetta Guarino con Sebastiano Bronzato, Alexsandros Memetaj e Didi Gabaccio Bogin (Foto di Federico Pitto)

Un’opera come la saga di “Courage” va raccontata come una vera storia, specchio dell’animo umano dentro i giochi di guerra. Sono passati infatti più di trecento anni da quando iniziò a diffondersi la leggenda della vivandiera che viaggiava a seguito degli eserciti. E la vicenda fatta di crudeltà e violenza, torna miseramente ancora una volta d’attualità, fedele all’antico adagio che gli uomini sembrano non aver memoria dei propri danni. Liberamente ripresa da “Vita dell’arcitruffatrice e vagabonda Coraggio”(1670) dello scrittore tedesco H. J. Ch. von Grimmelshausen, è la cronaca della Guerra dei Trenta anni narrata in dodici scene e con musiche di Paul Dessau da Bertolt Brecht nel 1939, quando si trovava esule in Svezia, e rappresentata per la prima volta a Zurigo nel 1941. Ma non è il quadro storico di quegli scontri bellici, supposti di “religione”, tra svedesi e polacchi nel 1624, che interessa principalmente il drammaturgo tedesco, ma il fatto che, come accadde nel conflitto dei Trenta anni, ci si troverà davanti a una guerra annunciata, la seconda mondiale, con l’occupazione della Polonia da parte dei nazisti che rivendicavano il loro “spazio vitale”. La Guerra dei Trenta anni ha preparato quelle del presente. Non a caso quando Brecht scrive sta per esplodere il caos in Europa. Se le prime preannunciavano il cambiamento, la modernità, quella successiva ha anticipato la globalizzazione. Adesso è l’epoca della spettacolarizzazione dei media. Dai piccoli schermi dei cellulari ai monitor televisivi presenti e installati persino sul carro di Courage in cui vanno in onda no stop i tiggì, o in alto, incombente sulla scena, uno schermo che invia le immagini in bianco e nero della lunga teoria di edifici distrutti a Mariupol, altra città come Bakhmut, preda dell’esercito russo in Ucraina.

Una scena dal dramma di Bertolt Brecht “Madre Courage e i suoi figli” In scena al Teatro Gustavo Modena di Genova (Foto di Federico Pitto)

Così nell’arco di dodici anni, dal 1624 al 1636, vengono inseguite ed esposte le tribolazioni e i momenti di vita della vivandiera originaria della Franconia. A scandire l’incedere degli eventi, alla maniera brechtiana, sono i cartelli proiettati al centro della scena, delimitata da un sipario costruito come un patchwork con giacche, pantaloni e cappotti e, attaccata con una spilla, la foto ritratto di quelli che ne furono i proprietari. Un muro mobile del pianto. Il catalogo del vissuto di chi non c’è più. E’ qui, in un tempo indefinito (ma richiama il nostro presente), nel centro della scena che cogliamo la figura di Anna Fierling o Madre Courage – magnificamente interpretata da Simonetta Guarino– che, stanca di attendere ha deciso di andare in Polonia incontro alla guerra. Va assieme ai suoi tre figli, ciascuno avuto da un amante diverso, incontrato nel suo vagabondare: Eilif seguito da Schweiserkas e Kattrin mutilata da un soldato quando era bambina. Sono i due maschi, alla stanga, che tirano il carro pieno di mercanzie e oggetti frutto di baratto e acquisti a buon prezzo realizzati dove la guerra bussa alle porte e si devono abbandonare di corsa le botteghe, il lavoro, la casa. La guerra è quindi per Fierling una ghiotta occasione di affari, il modo ideale per tirare su dei soldi, dando da mangiare ai figli cresciuti sulla strada, tra un conflitto all’altro.

Una donna d’affari dura e rotta a tutto che sfrutta le ingenuità di chi le sta davanti, incapace di sentire pena o solidarietà per chiunque. Qualunque sia la situazione o il pericolo corso, non recede e mette in campo tutte le strategie possibili per salvare l’unico suo vero bene e fonte di guadagno: il carro. D’altra parte perchè è stata soprannominata “Courage”? Perchè, sfidando i tiri di cannone è corsa a consegnare delle pagnotte ammuffite prima che andassero completamente a male.

Anna Fierling alias Madre Courage (Simonetta Guarino) e il figlio ucciso (Sebastiano Bronzato) Schweiserkas (foto di Federico Pitto)

Ma come qualcuno le ricorderà, la guerra esige i suoi interessi. E Anna li pagherà amaramente, perdendo i suoi figli. Uno dopo l’altro come le rate di un terribile prestito. Impossibile tenerli lontano e proteggerli dai pericoli in arrivo: i figli maschi uccisi in battaglia o la figlia Kattrin che potrebbe incamminarsi sulla strada di Yvette, prostituta sul viale del tramonto, alla quale la ragazza ruberà le bellissime scarpe. Ma Yvette ha una scorza che la ragazza non avrà mai. In fondo è simile a Madre Courage. L’una vende il proprio corpo, l’altra le carabattole. Badano al prezzo e a fare soldi. Il più possibile. Anna Fierling è nei fatti una misera capitalista che punta al massimo risultato, convivendo in simbiosi con la guerra. Per cui, nonostante cerchi di proteggere Eilif -un ottimo Alexsandros Memetaj– dai tentativi di un arruolatóre, dovrà rassegnarsi a vedere il figlio partire per le armi. Così sarà anche per Schweiserkas, meno sveglio del fratello maggiore, a cui la madre ha insegnato ad essere onesto fino alla fine (un modo di proteggerlo dalle insidie del mondo) che viene preso come furiere in un battaglione. Tutto si ritorce contro. A partire da Kattrin (la risoluta e poetica Didi Garbaccio Bogin) che, aggredita sessualmente, perderà un occhio per le botte ricevute dai soldati. Poi c’è Eilif che si era fatto un nome tra i generali per l’astuzia e la ferocia con cui uccideva i contadini per sottrarre loro ricchezze e animali. Ma quel che è un atto eroico in guerra diventa assassinio in tempi di pace. Chi è stato tirato su come un killer per aggredire e uccidere in effetti non riesce a capire la differenza quando giunge la pace. Così, durante una breve tregua per la morte del sovrano Gustavo II Adolfo ucciso a Lutzen, Eilif che, come suo solito, rapinava e uccideva i contadini verrà condannato a morte per omicidio.

La prostitua Yvette (Esela Pysqli) parla della durezza della vita in guerra nel dramma brechtiano in scena a Genova (Foto Federico Pitto)

Destino tragico anche per Schweiserkas _ interpretato credibilmente dal giovane Sebastiano Bronzato _ che, fuggito durante un attacco nemico con la cassa del reggimento, cerca un luogo sicuro per nasconderla e proteggerla. Onesto fino alla fine verrà rintracciato e torturato da dei malfattori, tra cui il suo stesso sergente, affinché confessi dove ha collocato il malloppo. Trascinato davanti alla madre prima di essere giustiziato negherà di conoscerla e altrettanto farà Courage per salvare se stessa e Kattrin, in una delle scene più forti e tragiche dell’opera. Prima di quel momento Courage è stata al centro di una compravendita. Impegnare il carro per salvare Schweiserkas, corrompendo i guardiani. Ma l’affare, mediato da Yvette (Esela Pysqli), va in fumo perché Courage tira troppo la corda: mercanteggia cioè sino al punto in cui quella finestra improvvisamente si chiuderà. Anche lì il suo cinismo nel tirare il prezzo è causa indiretta della morte del figlio. Tentenna per salvare il carro. Che è poi tutta la sua vita. In fondo è per non rinunciare a perderlo che farà credere a Kattrin di aver rinunciato all’offerta di seguire il suo ultimo compagno, un cuoco olandese diventato erede di una osteria, per restare accanto a lei. Quale amore di madre? Quale lezione di vita ne tira fuori dalla scomparsa dei due figli e l’aggressione alla figlia? Alcuna. La vita prosegue, gli affari arrivano e le ruote del carro tirato ora da Kattrin continuano a girare da un campo di battaglia all’altro. Nelle soste il carro diventa luogo di incontro tra personaggi improbabili e oscuri come il cappellano (a vestirne i panni è un preciso Alfonso Postiglione), lo squallido sergente (Ivan Zerbinati) e l’affamato e misero cuoco (Aldo Ottobrino) e Yvette diventata nel frattempo la vedova del Colonello. Gente che nella guerra ci vivacchia, immersa fino in fondo nel fango come tanti personaggi senza patria e amor proprio. Sono personaggi, tutti, compresa Madre Courage, avvolti in una coperta oscura, un manto nero che li avvicina a certe disperate e sinistre figure disegnate dalla mano di Francisco Goya. Illuminate in scena da una luce fredda che ne rivela il malanimo. Servitori del mostro Leviatano della guerra, assetato di distruzione.

Il carro di Courage nelle soste tra gli spostamenti da un campo di battaglia all’altro diventa un punto di ritrovo (Foto di Federico Pitto)

E’ Kattrin, solo Kattrin, sfregiata e muta l’unica ad avere dei sentimenti, dall’amore per i fratelli che inutilmente cercherà di salvare e mettere in guardia, a mostrare tra le righe la voglia di una vita normale, il bisogno dell’amore vero di un uomo che la faccia diventare madre. La determinazione nel fermare la guerra e cercare la pace la farà martire. Unica tra i tanti a compiere un gesto eroico. Battendo con forza il tamburo avviserà i cittadini di un attacco imminente dell’esercito nemico (nello spettacolo darà anche fuoco a mortaretti, bengala e girandole d’artificio). Un gesto coraggioso che manderà a monte l’imboscata spingendo in ritirata i soldati nemici; ma alla ragazza costerà la vita, colpita in fronte da un proiettile. Un atto di resistenza per salvare vite di uomini, donne e bambini. Tentativo estremo di spezzare il cerchio infernale della guerra che chiama la guerra. Madre Courage davanti al corpo di Kattrin uccisa chiederà ai contadini di occuparsi del seppellimento e ripartirà per strada con il suo carro, ormai sola.

Nonostante sia vestito di contemporaneità questa “Madre Courage e i suoi figli” si colloca dentro il solco della tradizione del teatro epico brechtiano. Un allestimento di sorprendente rigore con un cast ben amalgamato. Su tutti spicca l’interpretazione di Simona Guarino dotata di bella forza espressiva nei panni della Madre Courage. Lucida, distaccata, un bel chiodo fissato al suolo, ritratto di una madre ambigua che alterna l’amore materno con gli interessi e gli affari. Donna cinica negli affari e in cerca di sopravvivere a dispetto di tutti, anche di se stessa. Ottimo lavoro anche degli attori alle prese con il metodo dello straniamento che per Brecht è necessario per avere una reale comprensione di un evento, in grado cioè di rompere la percezione superficiale del reale. Permette allo spettatore di non identificarsi con i personaggi e quindi di non assumere più uno sguardo non critico sulla realtà. Nel suo “Diario di lavoro” il drammaturgo osserva che “con l’effetto di straniamento il teatro non perde, ma rinnova il suo fine di insegnare e divertire. La rappresentazione torna ad essere naturale ed in essa si possono ritrovare gli stili più diversi. Solo l’occuparsi della realtà pone in funzione la fantasia in modo adeguato e piacevole. Nella critica creativa gaiezza e serietà prendono nuovo vigore”. Naturalmente queste indicazioni vanno riferite al loro tempo. Brecht, grande appassionato di economia, materia di cui raccomandava sempre la necessità di studiare, seguiva in modo impegnato gli insegnamenti del marxismo.

La ribellione di Kattrin. La figlia di Madre Courage avvinerà con colpi di tamburo la popolazione dell’arrivo dei nemici (Foto di Federico Pitto)

Liberato da ideologismi vari, a buon conto, si può riferire a opere del valore di “Madre Courage” come a dei nuovi classici (non accademici evidentemente) che hanno comunque la forza, anche nella nostra epoca, di far filtrare significati e messaggi che vanno dritti alle problematiche del mondo attuale.

Facile in questo vedere nella sua opera anche una certa influenza della filosofia. Ma quale fu il vero rapporto del teatrante con questa disciplina? Per diversi studiosi Bertolt Brecht era da considerare un poeta e non certo un filosofo. Il suo rapporto con la filosofia da considerare come un atto esteriore. In un articolo scritto nel 1968 Hannah Arendt è stata perentoria. “Qualunque cosa abbiano pensato gli amici di Brecht, egli era un poeta e non un filosofo”. Per sostenere questa affermazione viene citato un passo del diario di Benjamin del 1934, dove Brecht appare un dialettico del paradosso: a proposito degli abissi di mistero delle “immagini” di Kafka, egli dichiarava a Benjamin che «La profondità è una dimensione per sé, è giusto la profondità, dove non riappare nulla».

Così infine nel 1955, Roland Barthes così riassume nella rivista “Théâtre populaire”. “Qualunque cosa si decida alla fine su Brecht, si deve perlomeno rilevare l’accordo del suo pensiero con i grandi temi progressisti del nostro tempo: che i mali dell’umanità sono nelle mani dell’umanità stessa, cioè che il mondo è governabile; che l’arte può e deve intervenire nella storia; che oggi deve contribuire agli stessi compiti delle scienze, con le quali è interdipendente; che ora abbiamo bisogno di uno strumento di spiegazione e non più solo di un’arte di espressione; che il teatro deve aiutare risolutamente la storia svelando il suo processo; che le tecniche del palcoscenico sono esse stesse coinvolte; che infine non esiste una “essenza” dell’arte eterna, ma che ogni società deve inventare l’arte che meglio la porterà via dalla sua stessa liberazione”.

Un confronto aspro tra il capellano (Alfonso Postiglione) e il cuoco (Aldo Ottobrino) a “Madre Courage” (Foto di Federico Pitto)

Anche in questo allestimento genovese, come in quello delle origini, che debuttò ottantadue anni fa, in piena guerra, a Zurigo, la musica è elemento strategico, cerniera tra scene e copione. Brecht non amava Schonberg e i suoi valori estetici, ma esigeva che le musiche avessero una loro “cantabilità”. Melodie per poterci cantare in modo chiaro. Tale fu l’asse di collaborazione inaugurato con il grande Eisler (per inciso allievo di Schomberg), che questi diventò il compositore abituale delle opere brechtiane. Volta per volta adattava le sue musiche per i cori, le singole canzoni e ballate inserite negli spettacoli. Negli “Scritti teatrali” afferma: “La musica di Eisler non è affatto quella che si potrebbe definire semplice. Come musica è piuttosto complicata, e non ne conosco una più seria”. Riferendosi alla musica creata da Paul Dessau per “Madre Courage” usò termini assai simili. Una partitura ampia che si sviluppa pari pari con l’opera teatrale e che è stata rielaborata in modo elettronico da Matteo Domenichelli che ha creato anche brani originali, molti dei quali assolutamente funzionali alle coreografie dei movimenti in scena degli attori, disegnate da Claudia Monti. Luci di Davide Riccardi, video di Daniele Salaris. Scene e costumi di Carlo De Marino. In scena in un cast multietnico essenzialmente di origine europea anche Andrea Nicolini, Matteo Palazzo e Sarah Pesca.

Scena corale di “Madre Courage” , dramma brechtiano al Teatro Modena di Genova con la regia di Elena Gigliotti (foto Federico Pitto)

TAG: Arnold Schönberg, Bakhmut, Bertolt Brecht, Eisler, Francisco Goya, genova, Hannah Arendt, Lina Volonghi, Luigi Squarzina, mariangela melato, Mariupol, Roland Barthes, ucraina, Walter Benjamin
CAT: Teatro

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