Il Contemporaneo e il Barocco: intervista a Elena Rivoltini

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23 Febbraio 2020

Debutta questa sera, al Teatro India, in apertura del vivace e curiosissimo progetto “Oceano indiano” che Francesca Corona ha fortemente voluto per le sale del Teatro di Roma, uno spettacolo-concerto davvero interessante. Sto parlando di Oratorio virtuale, una “riscrittura” dell’Oratorio San Giovanni Battista scritto da Alessandro Stradella nel 1675. È stato il regista Fabio Condemi – uno degli artisti che prendono parte attiva alla residenza del teatro India – a volere questo anomalo concerto: anomalo perché la composizione seicentesca di Stradella diventa un percorso videomusicale elettronico assolutamente originale.

A firmare il lavoro sono il compositore Alberto Barberis e Elena Rivoltini, classe 1994, giovane attrice poliglotta e nomade, regista, cantante. Abbiamo incontrato Rivoltini, per farci raccontare meglio questo progetto. Lei, forte di un doppio diploma, come attrice al Piccolo e come cantante barocca e rinascimentale al Conservatorio Verdi di Milano, ha mostrato coraggio e consapevolezza nel tessere le fila di un percorso di ricerca piuttosto originale.

Allora, Elena, perché ha scelto questo Oratorio?

È un oratorio “virtuale”: l’oratorio è un genere sacro di fine Seicento e in questo caso è una nostra rielaborazione elettronica dell’arrangiamento musicale. Ci sono le arie, cantate in stile lirico dal vivo, da me, e una interpretazione moderna dei recitativi: non il “recitar cantando” ma dei veri e propri testi che affronto con un approccio teatrale contemporaneo. Se le arie sono tratte dal libretto originale di Ansaldo Ansaldi, i recitativi invece sono tratti dalla Salomè di Oscar Wilde con piccole interpolazioni dalla Salomè di Carmelo Bene. E anche questi, ovviamente, interpretati da me. La nostra drammaturgia prende spunto dalla prassi barocca: già nel libretto originale e in genere nella struttura operistica, le arie hanno un stile maggiormente lirico e poetico rispetto al recitativo, che funzionava invece da “riassunto” per un pubblico che in teatro mangiava, dormiva, si distraeva. Volevo provare a trasporre in un linguaggio attuale la stessa discrepanza linguistica: un linguaggio più aulico, poetico, scritto in versi per le arie, e trovare una lingua più immediata, comprensibile, meno paratattica nel recitativo. Dunque, sempre seguendo la vicenda di Erode, Salomè e di San Giovanni Battista, abbiamo attinto a fonti più recenti: ed ecco allora Wilde e Bene, che risuonano certo nostri contemporanei, i più interessanti nell’affrotare e nel narrare a loro modo quella vicenda. E avevamo, poi, l’esigenza di ridurre tutto il testo a un solo personaggio, anche per evitare un disorientamento dello spettatore di fronte a una molteplicità di segni che mettiamo in gioco. Dunque, la nostra linea guida era di chiarezza e essenzialità per tutto lo spettacolo…

Oratorio Virtuale

Dunque un lavoro fruibile?

Speriamo! Nonostante la ricerca storica su un alto repertorio musicale, vogliamo che lo spettacolo sia accessibile a tutti. Il tutto, poi, è immerso in un ambiente virtuale. Alberto Barberis, compositore, performer elettro-acustico e docente di Musica elettronica e Programmazione presso il Conservatorio della Svizzera Italiana, ha elaborato un algoritmo insieme a Rajan Craveri (video-sound artist), che traduce in tempo reale le onde sonore in un output visivo. Dunque, c’è un video in cui scorrono le immagini: siamo in scena con una consolle e un maxischermo in cui viene proiettata in 3D la traduzione visiva dell’onda sonora. Il che è molto “rinascimentale” e molto “oratoriale”! Il genere sacro infatti si è sempre appoggiato molto alla “illustrazione”, all’apparato iconografico che mostrava al fedele le “immagini” della fede. Ci interessava recuperare questa attitudine di unione tra Religione, Verbo – con il “teatro di parola” della Messa – e illustrazione, iconografia, immagine…

Ma in un approccio laico o sacro?

Laico, certo. Ma sto pensando spesso al fatto che gli unici due ambienti in cui permane un retaggio sacrale, comunitario, di raccoglimento delle persone sono il teatro e la chiesa. Però il teatro sembra perdere colpi. Sarebbe bello, invece, ricreare un ambiente rituale, sacrale, che sappia ricollegarsi alle origini greche classiche del fare teatro. Anche per questo, nell’assetto scenico dell’Oratorio, ho eliminato la quarta parte: siamo in una scatola nera all’interno del quale c’è una quadrifonia in cui si immerge il pubblico.

Questo progetto si colloca in un percorso più ampio e articolato, che ha fatto tappa anche alla Biennale Teatro diretta da Antonio Latella. Ce ne vuole parlare?

Mi piacerebbe realizzare una trilogia, affrontando un repertorio che va dal tardo Cinquecento al Seicento inoltrato. E attuare sempre un’analisi che si basa su uno studio accurato della parte musicale e tentarne una reinterpretazione moderna. Mi interessa, oltre la propensione personale e la passione per il Rinascimento e il Barocco, l’aspetto spaziale. Mi piace prendere le opere scritte dopo la nascita del “teatro” – inteso come struttura architettonica, ovvero dalla inaugurazione del San Cassiano a Venezia ne il 1637 – e portarle in un contesto “non teatrale”, ovvero più performativo, astratto, metafisico, elettronico. E invece, al contrario, prendere le opere precedenti alla nascita del teatro come impresariato teatrale e portarle in un ambiente canonico, teatrale, con la quarta parete. Così, L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi, è andato in scena alla Biennale di Venezia, grazie all’invito di Antonio Latella, in un teatro, ma ho abbattuto ogni “teatralità”: via le quinte, via entrate e uscite, con attori-non-attori come un bambino o un anziano di ottantatré anni. Ho cercato di scardinare qualsiasi elemento tradizionalmente teatrale. E l’esito, paradossalmente, è stato molto “teatrale” quasi più di altri lavori, presentati alla rassegna, che invece puntavano proprio sulla “teatralità”.

Alberto Barberis e Elena Rivoltini

 

Quali allora i passi successivi di questo percorso?

Adesso l’Oratorio Virtuale e L’incoronazione di Poppea che vorrei riprendere. Poi stiamo valutando nuovi spazi scenici e performativi, sempre all’insegna di un confronto con quel repertorio e quella tradizione. Ma con meno scenografi e più architetti, meno drammaturghi e più poeti! Non per sterile modernismo, ma per tentare un ritorno alla complessità di quei secoli.

Pare una ricerca in assoluta controtendenza rispetto alle tendenze d’oggi…

Sì, forse sì, e va bene. Quel che mi preme è creare una drammaturgia sonora, verbale, visiva. Mi interessa molto portare a teatro un pubblico che magari frequenta più club che sale teatrali: e sono stata sorpresa degli esiti. Anche tanti giovani, che non sanno cosa è il teatro, hanno fruito di questi esperimenti e li hanno apprezzati. Portiamo l’elettronica in ambienti di fruizione non abituali: oggi si sente tanta elettronica in teatro, sulla scia della moda berlinese, ma è una sorta di bordone continuo che non entra nella drammaturgia.

Al tempo stesso, lei lavora come attrice: recentemente nel Macbeth con la regia di Carmelo Rifici. Che tipo di percorso è?

È un percorso parallelo, ma fondamentale. Ed è bello lavorare con registi che riescono a darmi ulteriori stimoli. Ad esempio, con Fabio Condemi con cui lavorerò prossimamente. E intanto continuiamo la tournée con il Macbeth diretto da Carmelo Rifici. Infine, ci sono le date dell’Oratorio virtuale: la prossima è l’11 marzo a Milano, da Base, uno spazio non convenzionale, un ambiente molto bello, perfettamente immersivo. È uno spettacolo autoprodotto, costa poco! Il primissimo budget ce l’ hanno dato Eutopia Ensemble e  Elektropark, per la prima forma musicale dello spettacolo, poi è stato portato avanti in modo autonomo, senza un vero sostegno produttivo. Una volta terminata l’accademia, mi sono scontrata, come tutti, con la difficoltà di trovare un lavoro, in una situazione piuttosto scoraggiante. Ma ho sempre creduto di poter sperimentare qualcosa. La struttura dell’Oratorio virtuale riflette questa idea, è molto agevole, a costi bassissimi, e speriamo sempre al massimo della qualità contenutistica.

Cosa è la tecnica?

Lo studio, l’applicazione: penso alla tecnica canora, allo studio dell’arte lirica, del canto. È uno studio continuativo, paziente, sistematico: controllo del corpo, del proprio strumento. Ma per “tecnica” si intende, e si abusa, anche tutto quel che riguarda la tecnologia, ovvero gli apparati tecnologici. Mi piace puntare di più sulla tecnica artigianale, senza la quale non esiste quella virtuale.

Un’ultima curiosità. Il Barocco: perché tornare a Monteverdi e Stradella?

Vi trovo qualcosa che può dare molto, vicina alla nostra epoca: è la teoria della concordia discors, ossia trovare l’unione tra aspetti apparentemente lontanissimi. L’intuizione artistica risiede anche nel riunire ambiti distanti tra loro, non comunicanti. Il che significa attingere a un plurilinguismo creativo: se prendi il meglio del figurativo artistico, il meglio del musicale e compositivo, il meglio del cinematografico visivo, arricchisci un linguaggio che può parlare molto alla contemporaneità, che ha un riscontro forte con il nostro tempo. E infine vi è una centralità dell’Umanità: una spinta alla invenzione, alla creazione in continua transizione, in costante movimento…

 

 

 

 

TAG: Alberto Barberis, Alessandro Stradella, antonio latella, Carmelo Bene, Claudio Monteverdi, Conservatorio Verdi Milano, Fabio Condemi, Francescsa Corona, Oceano Indiano, Piccolo teatro di Milano, Salomè, Teatro di Roma
CAT: Teatro

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