“In Arte son Chisciottə”, un mondo al rovescio tra i sogni e la realtà

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23 Febbraio 2022

Il segno formalmente più evidente sta in quella “e” rovesciata (ə) per la quale si stanno accapigliando, intellettuali e linguisti di mezza Italia, e cioè una vocale neutra il cui uso si è via via affermato all’interno del movimento transfemminista e queer con lo scopo evidente di superare il corrente linguaggio dominato in prevalenza dal genere maschile. Tutto è partito dall’adozione dello schwa in un concorso universitario e l’immediato lancio di una petizione contro il suo abuso a cura del linguista Massimo Arcangeli che ha raccolto la firma tra gli altri di Ascanio Celestini, Alessandro Barbero, Massimo Cacciari e persino Claudio Marazzini presidente dell’Accademia della Crusca. Ma in questo caso serve per identificare una storia rivisitata, e un po’ al rovescio, del cavaliere del grande scrittore spagnolo Miguel de Cervantes.In Arte son Chisciottə” la “e” rovesciata del finale assurge a simbolo di un racconto squisitamente al femminile con due attrici che, vestendo i panni dei protagonisti principali del romanzo si destreggiano tra scenari di sogno e fantasia, partoriti da una intelligenza beffarda e ironica, responsabile della trama delle avventure di un eroe anticonvenzionale e il suo fedele scudiero colti nelle loro scorribande lungo le assolate contrade della Mancia. E’ il filo elettrico di un allestimento godibile e coinvolgente della compagnia aretina Officine della Cultura che, dopo la prima al teatro Verdi di Monte San Savino a metà febbraio, ha debuttato nei giorni scorsi in Sardegna al teatro Tse di Cagliari ospite del Circuito Cedac che l’ha inserito nella rassegna “Il Terzo Occhio” dedicata al Contemporaneo. distribuendolo poi nei palcoscenici di Macomer, Lanusei, Meana Sardo e Arzachena. Interpretato in modo asciutto ed efficace da Elena Ferri che con levità veste i panni di uno stralunato e frastornato Cavaliere e da Luisa Bosi, un solido Sancho, quintessenza dell’animo popolare e contadino.

Elena Ferri e Luisa Bosi rispettivamente nelle parti di Don Chisciotte e lo scudiero Sancho Panza” protagoniste di “In arte son Chisciotte” (foto Ilaria Costanzo)

Assieme alle due attrici anche i Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo che dal vivo eseguono le musiche originali di Massimo Ferri (chitarra, oud e mandolino) in formazione con Gianni Micheli (clarinetto e fisarmonica), Mariel Tahiraj (violino) e Luca Roccia Baldini (basso e cajon) anche il regista di un allestimento (la scrittura è di Samuele Boncompagni, le scene di Lucia Baricci) che mette assieme, su diversi livelli prove d’attrici e teatro di figura, immagini filmate e trasmesse in tempo reale sopra un telone bianco che ha anche la funzione di quarta parete. Questo si può muovere e ridurre, aprendo varchi e finestre improvvise su una scena simile a un set di un film d’animazione, con al centro l’azione che si svolge prevalentemente sui tavoli in cui sono stati posizionati dei plastici dove si agiscono spezzoni di micro teatro che costringono continuamente lo spettatore a spostare il proprio punto di vista. Ora sulle figure di Don Chisciotte e Sancho Panza, ora individuando i mulini al vento che il cavaliere vede come giganti ostili, nemici da combattere in sella sul proprio Ronzinante. Salvo finire poi a pezzi, marionetta sbilenca come l’asta della lancia resa inutile dal folle combattimento. Si passa continuamente da un campo lungo a un primo piano. Dalla marionetta che riproduce Chisciotte caduta sul tavolo all’attrice che stesa che lo interpreta. Lo scivolamento è continuo e viaggia sul doppio binario di realtà e illusione, giganti esorcizzati e piccoli castelli bianchi, alti un pugno di pollici, sopra uno dei tavoli dove si animano i libri e prendono forma degli oggetti, si agitano ombre e si accendono luci.

Un tavolo di microteatro con i mulini a vento e la marionetta del Cavaliere con il suo cavallo Ronzinante in “Arte son Chisciotte” (foto Ilaria Costanzo)

Chisciotte, finito dentro un tunnel, è risucchiato in un universo parallelo dove la sua  incredibile avventura diventa possibile, la fantasia è realtà e anzi, proprio i sogni definiscono i contorni degli spazi in cui le attrici agiscono. In apertura di spettacolo autentiche e vere, vicinissime al pubblico, alla luce dello specchio del camerino, ripassano la parte per finire un attimo dopo, in un colpo di vento, inghiottite all’interno del palcoscenico. Ma ecco,  di nuovo si vedono! I loro volti fanno capolino sullo schermo ripresi in un piano ravvicinato cinematografico. Eh sì questo atto unico con il cinema sembra avere molto in comune per l’uso di inquadrature e tagli di immagine: quasi spiazzanti per lo spettatore intento a seguire il filo impazzito della storia del cavaliere filosofo e un po’ folle. Ma è soprattutto il teatro a raccontare, dall’inizio alla fine, un originale e intrigante meccanismo di incastri fatto di visioni e colpi di scena. Cade la quinta e si coglie il lavorìo di chi nel backstage opera indaffarato. Dai musicisti in formazione apparentemente casuale, che eseguono le belle musiche dal sapore etnico di Ferri che rimandano ad atmosfere di vita popolare, alternando suoni di festa a malinconiche melodie. Sul palco si aggirano con le telecamere due operatori di ripresa che non smettono mai di girare da diverse angolature mentre i macchinisti sono intenti a tirare corde e sistemare funi incuranti nello svelare i segreti della scenografia.

L’Orchestra multietnica di Arezzo nette suona in diretta durante lo spettacolo di Officine della Cultura ispirato all’eroe di Cervantes (Foto di Ilaria Costanzo)

E d’incanto si cambia ancora: torna la vita quotidiana di una compagnia che interrompendo lo spettacolo si prende una pausa per banchettare solidale. In questo frangente di normalità quotidiana Sancho Panza è vigile e vorrebbe far tornare nel mondo di tutti i giorni il prode cavaliere. Lo scambio e gli intrecci tra i due sono poetici. Raccontano di un universo mica tanto poi lontano da quello dei nostri giorni. A unire i due improbabili eroi, sembra sia un mistero, qualcosa di magico che rende possibile anche il ribaltamento dei ruoli maschile-femminile, femminile e plurale e giustifica inediti punti di incontro e vie di fuga.
Dice Sancho. “Guardiamoci intorno. Il mondo è tutto storto, lo abbiamo ammaccato noi. E per trovare una via, che sia d’uscita o d’entrata, o semplicemente una da percorrere, serve una corda e qualcuno che ti aiuti a immaginarla. Io sono di quelli “chi a buon albero s’appoggia, buon ombra lo ricopre”. Io mi sono appoggiato a un buon padrone. Lui cercava la fama, io avevo fame. Con una lettera di differenza ci siamo incamminati insieme”. Ed è quasi in dissolvenza che prende forma la narrazione di una fiaba che narra di un Grisostomo suicida per amore e di Marcella donna bellissima. I ritmi si fanno leggeri, le atmosfere rarefatte. Quelle musicali suggeriscono di nuovo l’impalpabilità dei sogni mentre tutto sembra accadere nel fantastico mondo rovesciato di un racconto in cui “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori” sono le ombre di un tempo che fu. Ma incantevole è il ricordo triturato dentro il vortice di una poesia amara e visionaria.

Dentro “In arte son Chisciotte” recitazione, ripresa video che sullo schermo mostra ciò che accade nel backstage e teatro di figura costruiscono uno spettacolo originale

“In arte sono Chisciottə” nato come spettacolo di teatro digitale, nel tempo del lockdown, riprende _ nella messa in scena in presenza _ lo spirito e in parte la magia di quello straordinario esempio di invenzione e trovate che colpì al suo apparire su schermi e monitor il cuore degli spettatori (vinse tra l’altro il contest di Agis e Facebook “#Social Live”). Nell’uno e nell’altro resta nel cuore l’avventura di due eroi  che loro malgrado sfidano l’impossibile. Un’avventura iniziata come viaggio di iniziazione con Don Chisciotte che con una corda si cala nel buio di un pozzo alla scoperta di un mondo sospeso tra sogno e realtà. E che governa quel meraviglioso romanzo di Cervantes con al centro un eroe resistente a tutte le censure. Gianni Celati in un dialogo sulla fantasia con Massimo Rizzante, tenutosi nel maggio del 2005 all’Università di Trento segnalava del Cavaliere della Mancha  quel “suo passare imperturbato attraverso le critiche degli intenditori che vorrebbero ricondurlo sulla retta via della coscienza “realistica”. Ed è proprio per questo che Don Chisciotte è “così illuminante” rilevava ancora Celati “perché qui si affaccia per la prima volta la questione della “realtà”, posta in un contrasto con l’immaginazione e le tendenze fantasticanti. E si affaccia anche l’idea che il “nuovo” sia qualcosa che spazza via le inutili anticaglie (i romanzi cavallereschi che hanno invaso il cervello di Don Chisciotte). Ma, posto questo schema, dove Don Chisciotte ha sempre torto in quanto invasato da fantasie passate di moda, poi succede che sono proprio le sue tendenze fantasticanti ad arricchire di senso il mondo. Sono le sue fantasie e le sue riflessioni a farci intravedere l’aperto mondo sotto l’aperto cielo come la nostra unica vera casa. Tutto il Don Chisciotte rimane un esempio meraviglioso di questa potenza del pensiero figurale che ci guida verso un’apertura al mondo esterno”.Laddove si trova il fedele scudiero che nel dramma mette così in guardia. “Ci sono. Ci sono. Non li vedete ma ci sono. I giganti intorno a noi, a voi, sono ovunque. I giganti sanno nascondersi sotto maschere innocenti. Come quelle di un mulino a vento. Quindi se avvistate un maledetto mulino a vento, attaccarlo è i-nu-ti-le., ma proprio per questo è giusto farlo. Facendo attenzione però, parlo per esperienza, stateci attenti! L’ho visto con il mio Don Chisciotte. Le pale girano veloci e possono lanciarvi lontano gettandovi nella merda o facendovi volare fin sopra le stelle”.

In primo piano Luisa Bosi nei panni dello studierò Sancho Panza e (di spalle)  il Cavaliere Don Chisciotte  interpretato da Elena Ferri  (Foto Ilaria Costanzo)

 

TAG: Arezzo, cagliari, Cedac, Gianni Celati, Massimo Rizzante, Miguel de Cervantes, Officine della Cultura, sardegna, Trento
CAT: Teatro

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