Biennale di Venezia, isola di maestri
Venezia, all’imbrunire, ci accoglie al suo meglio: tuoni all’orizzonte, ventaccio che si infila burbero nelle calli, una luna splendida in cielo. E l’acqua, inesorabile, che comincia a salire. Per la Biennale Teatro 2015 tutto, o quasi, è pronto.
Il cartellone allestito dal direttore Àlex Rigola, al suo ultimo mandato, è scintillante di nomi d’eccellenza: si comincia stasera con il Leone d’Oro, Christoph Marthaler, che presenta il suo personalissimo allestimento di una farsa di Labiche, e si finisce il 9 agosto, con gli esiti scenici dei tanti workshop che si tengono questi giorni.
In un laboratorio sono coinvolto anche io, dunque i miei resoconti saranno forzatamente “dal di dentro”: sono titolare, con la giornalista catalana Anna Pérez Pages, del laboratorio di critica teatrale. È un progetto che curo ormai da anni: una occasione per creare una “redazione” – con giovani e giovanissimi aspiranti critici provenienti da mezza Europa – che segue le varie fasi del Festival. Ma anche un’occasione per riflettere sul senso e sugli sviluppi futuri della critica teatrale: e nell’incontro con le giovani generazioni c’è sempre da imparare (soprattutto per chi è chiamato a insegnare). Alla Biennale, poi, c’è la possibilità di confrontarsi con il lavoro di maestri come Ostermeier, Ravenhill, Castellucci, Pasqual, Lauwuers, Latella, Richter, e molti altri: ascoltare e verificare il pensiero in azione di simili artisti è sempre foriero di sviluppi.
Sono tanti i “percorsi”, le chiavi d’accesso possibili a questa edizione.
C’è un filone di teatro segnatamente politico, o meglio “politico postmoderno” come lo definisce il 38enne regista e autore Milo Rau, già passato per il festival di Santarcangelo, che sarà a Venezia con Hate Radio, una ricostruzione “filologica” di una delle trasmissioni di RTLM, la Radio delle Mille Colline, che per molti fu uno degli strumenti più potenti del genocidio in Rwanda nel 1994. È politicamente estremo anche il percorso di Agrupaciò Señor Serrano, gruppo catalano Leone d’argento 2015, che presenta A House in Asia, riferendosi non senza ironia a una casa decisamente particolare: l’ultima dimora di Bin Laden. Impegno politico e poetico anche per Jan Lauwers, ormai ospite fisso della Biennale, che porta la sua nuova creazione, The Blind Poet, in cui mette in gioco l’Europa del XI secolo, colta e laica, con quella attuale. E se Antonio Latella dà spazio – in un trittico di spettacoli – alla figura di A.H. ovvero Adolf Hitler, la brasiliana Christiane Jatahy rilegge la Signorina Julia di Strindberg alla luce delle violente dinamiche di coppia.
Ed è qui che si innesta l’altra possibile chiave di lettura della Biennale 2015: il personale come politico, ovvero l’indagine mai risolta sui confini labili della individualità. Le inquiete e mai sopite ricerche di Romeo Castellucci (che torna alla Biennale con il Giulio Cesare. Pezzi staccati), di Falk Richter – artista tedesco apprezzato in tutto il mondo ma ancora non conosciuto né tradotto da noi –; del belga Fabrice Murgia, dello stesso Latella (negli altri due pezzi del trittico: Caro George e MA) o dell’Amleto lituano di Korsunovas, pongono al centro della scena l’Uomo, in tutte le sue ambigue contraddizioni. La natura umana, complessa e volubile, eterna e definitiva, è il perno attorno cui gira lo sguardo indagatore del regista-compositore. Tema quanto mai attuale: e non importa se lo si declina nella rilettura di un classico, come fa il Maestro LLuis Pasqual con El Caballero de Olmedo, di Lope de Vega, opera capitale del teatro barocco spagnolo; oppure lo si rimpasta nei sapori terrigni di una fantomatica e orwelliana fattoria, come succede in El Régimen del pienso dello storico collettivo spagnolo La Zaranda.
Intanto, nello spazio del Teatro Fondamenta Nuove, una sezione dedicata al giovane teatro italiano aprirà nuovi orizzonti di riflessione sulle tendenze creative (tra danza e drammaturgia) della scena nazionale con Collettivo Cinetico, Anagoor, Helen Cerina e Babilonia Teatri.
Quest’anno, purtroppo, non ho potuto frequentare i festival di luglio. Da Spoleto a Castiglioncello a Santarcangelo, da Kilowatt di San Sepolcro a Dro a Volterra: ho perso spettacoli importanti e appuntamenti significativi. Ma la full immersion biennalesca mi ridà entusiasmo. Se i miei quaranta lettori vorranno continuare a seguirmi, di questo parleremo nei prossimi giorni.
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