A.I.

Slopaganda: la costruzione del consenso sintetico ai tempi dell’IA

Gli AI slop sono ormai strumenti diffusi della comunicazione politica e contribuiscono alla costruzione del consenso attraverso contenuti artificiali e altamente emotivi.

10 Ottobre 2025

Chiunque abbia fatto un giro sui social di recente avrà notato che i feed sono invasi di immagini assurde generate dall’intelligenza artificiale. Nell’anno dell’Italian brainrot e dell’allucinante video di Trump Gaza, è chiaro che siamo entrati nell’era dell’AI slop: sbobba digitale di bassissima qualità che però riesce a plasmare immaginari culturali e politici contemporanei.

E sono gli stessi politici a utilizzare deliberatamente queste immagini per veicolare messaggi virali a forte impatto emotivo. Nasce così la “slopaganda”, un termine ibrido che unisce AI slop e propaganda e che segna una nuova fase della comunicazione politica, all’insegna del consenso sintetico.

La “slopificazione” del discorso pubblico

Il fenomeno nasce da una mutazione semantica. Se nel 2016 l’espressione “fake news” designava notizie false create per ingannare, oggi AI slop indica contenuti palesemente artificiali, grotteschi e spesso comici, la cui forza non sta nella credibilità, ma nella quantità e ripetizione.

Il ricercatore Alexios Mantzarlis ha proposto una tassonomia per descrivere il fenomeno. Da un lato l’AI slop espressiva, che mostra apertamente la propria natura artificiale – come il tweet del Ministro israeliano Katz che rappresentava la testa dell’Ayatollah Khamenei dentro un uovo (“duro fuori e molle dentro”). Dall’altro AI slop ingannevole, che nasconde la propria origine sintetica – come il video falso di un attacco missilistico iraniano a Tel Aviv.

Gli scopi sono spesso politici, volti a orientare opinioni e costruire consenso, ma in alcuni casi si traducono in profitto economico, attirando visualizzazioni, follower e guadagni. La persuasione avviene attraverso la saturazione sensoriale che non si basa su argomentazioni ma su simboli.

L’estetica dell’eroe nel potere digitale

L’immaginario politico tende da sempre a iconizzazione il leader come emblema di carisma e forza. Le foto di Putin a petto nudo a cavallo erano solo l’anticipo di un’estetica ora amplificata dalla generazione automatica.

Come ha scritto il New Yorker, Trump è diventato “l’imperatore dell’AI slop”. Infatti, l’account ufficiale della Casa Bianca lo ha già ritratto nelle vesti di Superman, papa o guerriero Jedi e milioni di utenti hanno rilanciato queste immagini come segni di appartenenza più che di ironia. La ripetizione di immagini iperrealiste e al contempo surreali svolge una funzione iconografica più che informativa, dove il leader mette in scena se stesso (Marcus Bösch parla di “ego staging”) e così facendo rinsalda il legame affettivo con la sua comunità.

In parallelo, l’IA viene usata anche per demonizzare gli avversari, come nell’immagine di Kamala Harris ad un raduno in slite sovietico o in quella in stile studio Ghibli che mostra le deportazioni da parte degli agenti dell’ICE. L’alternanza di idealizzazione e disumanizzazione costituisce la grammatica visiva del nuovo populismo digitale, dove la precisione dei fatti conta meno dell’effetto emotivo che producono.

L’ascesa della disintermediazione comunicativa

La slopaganda è caratterizzata dalla disintermediazione, per cui un account anonimo può avere la stessa influenza di un comunicatore professionista. Le piattaforme social fanno il resto, con algoritmi che premiano contenuti estremi, polarizzanti e cognitivamente “rumorosi”, indipendentemente dalla loro provenienza.

Un video generato per gioco (come quello di Macron che balla in una serata anni ’80) può diventare parte di una campagna politica, e viceversa. La propaganda diventa organica, incorporata nei linguaggi e meccanismi dell’ecosistema digitale, con costi ridotti ma ampissima portata. Tuttavia, questa disintermediazione non è neutrale; adattandosi alle regole dell’economia dell’attenzione, sposta il potere dalle istituzioni ai sistemi di distribuzione dei contenuti, guidati unicamente dall’engagement – dove il numero di clic viene facilmente confuso con il consenso politico.

Contromisure e vuoti normativi

L’UE ha approvato l’AI Act, il primo quadro normativo completo sull’intelligenza artificiale, che prevede l’obbligo di trasparenza e la valutazione dei rischi per i contenuti sintetici. Tuttavia, il focus resta principalmente sui deepfake, una categoria ormai minoritaria rispetto all’enorme flusso di AI slop che popola sui social.

Intanto, le policy sull’IA delle piattaforme sono più orientate a prevenire comportamenti inautentici (bot, account falsi, spam) che a gestire la dimensione semiotica del problema. Servirebbe allora un approccio più flessibile e multilivello: etichettare gli AI slop espressivi per limitarne la viralità, rimuovere rapidamente quelli ingannevoli e, soprattutto, pretendere trasparenza dai sistemi di raccomandazione. Ma finché la velocità di produzione dell’IA supererà quella dei controlli, ogni regolamentazione rischierà di arrivare troppo tardi.

La normalizzazione dell’artificiale nell’ecosistema informativo

La slopaganda non è solo un effetto collaterale della cultura digitale, ma un nuovo linguaggio politico che sostituisce l’argomentazione con la suggestione, la verità con la viralità e la ragione con la percezione.

In questo contesto, l’intelligenza artificiale non è più soltanto uno strumento per creare contenuti, ma un agente cognitivo che definisce cosa appare rilevante. L’effetto non riguarda soltanto la diffusione di disinformazione, ma la normalizzazione dell’artificiale come parte ordinaria del discorso pubblico.

Per questo la risposta non può limitarsi alla moderazione dei contenuti, ma deve ripensare la mediazione, ossia gli algoritmi che determinano cosa circola e in che ordine, plasmando la formazione dell’opinione collettiva e ridefinendo le condizioni della partecipazione democratica.

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