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Salvare i naufraghi, proteggere i deboli
Giuro che pensavo che fosse una cosa normale. Vedi una barca alla deriva, ci trovi sopra uno che se lo lasci lì morirà. E quindi invece che lasciarlo lì lo porti in salvo e poi prosegui il tuo viaggio, la tua vita.
Lo racconti agli amici, ti dicono wow ma insomma è gente che ti conosce. Un pomeriggio ne scrivi la storia, un giornale te la pubblica, la mette su Facebook e tu ti aspetti le solite critiche dei marinai da tastiera, puntigliosi e litigiosi. Invece, applausi e passaggi di post in post.
E poi si finisce in prima pagina grazie a qualche buon giornalista che ama il mare ma anche verificare le notizie e risalire alle fonti e aggiungere informazioni alla tua cronaca e confezionare un buon video con le tue riprese.
Nel video si vede per l’appunto un naufrago britannico che viene salvato in Oceano atlantico. Nei commenti invece si leggono insulti agli italiani che hanno il vizio di non lasciar morire la gente in mare, a quelli che in mare non hanno il buon gusto di morire, a quelli che difendono quelli che salvano quelli che muoiono.
I più teneri sono quelli che puntualizzano: Ma che c’entra, non vedi che è bianco? Ma non hai letto che è in Portogallo?
Molta tenerezza fa anche l’amico complottogrillista che, pur conoscendo già la storia, quando la vede sul quotidiano a tiratura nazionale sghignazza e ne conclude, convinto, che quindi non era vero niente. Dis-autorevolezza di ritorno.
Il meno tenero di tutti è il giornalista inglese da tabloid, famoso per aver speculato su notizie false, che mi tampina da ieri per avere l’indirizzo del naufrago. Ma se ho detto e scritto (è persino nei titoli) che non si ricordava nemmeno il proprio nome.
«Ma forse tu sai dirmi quando è nato, o dove abita, posso chiamarti?»
No guardi, chiami la Policia Maritima e chieda a loro.
«Ah ma forse non mi danno questa informazione posso chiedere a te?»
(E che, c’ho scritto Isolaria?)
«Puoi darmi il numero del giornalista che ha scritto l’articolo?»
(Ma chi sono, la segretaria? Se tu giornalista d’assalto non trovi il contatto di un collega…)
«Gli ho parlato. Mi ha detto il comandante che tu hai l’indirizzo».
(Ah furbetto ci provi in tutti i modi, e mica tanto corretti)
No. Non ce l’ho l’indirizzo del naufrago. E se ce l’avessi non te lo darei. E non so il suo nome. Non solo perché non se lo ricordava nemmeno lui, ma anche perché non ci interessava chiederglielo.
Ci interessava che si salvasse, ci interessa aver saputo che è stato dimesso e che quindi sta bene. Ci piacerebbe che lo lasciaste in pace. Speriamo che possa tornare alla sua barca e avere – anche un pochino grazie a noi – la sua vita.
Mi piace pensare che se fosse capitato a me di perdermi in mare per qualunque ragione sarebbe venuto in mio aiuto, chiunque io sia.
Qualunque sia il mio nome, il mio indirizzo, la mia storia, la mia faccia, la mia pelle.
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