Uscire dalla maledizione del letteralismo coranico

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29 Marzo 2016

Giuliano Ferrara coi suoi modi spicci e conclusivi scrisse  una volta “Il problema è il Corano”. Non nel Corano. Perché in verità per quante atrocità si possano leggere nei testi religiosi essi dicono contemporaneamente che Dio è sia misericordioso che vendicativo (si apra a caso la Bibbia). Tuttavia Ferrara non va lontano dalla verità. Tutte le “religioni del libro” si involvono nel fondamentalismo dei testi.  Ce l’ha spiegato molto bene Élie Barnavi in  “Les réligions meurtrières”, Le religioni assassine, Flammarion 2006.

Il fondamentalismo è vecchio come la religione stessa. Perché ci sia fondamentalismo è necessario un corpus di scritti sul quale ci si possa “fondare”. Non esiste infatti un fondamentalismo sciamanico come in passato non c’è stata una religione romana fondamentalista. Il meccanismo è semplice. I testi sacri di base sono volutamente oscuri, richiedono delle interpretazioni, queste interpretazioni sacralizzate a loro volta si accatastano l’una sull’altra per formare un imponente corpus di testi che chiedono la loro interpretazione, fino al parossismo. La tentazione allora è grande di “ritornare” alle “fondamenta” della fede. Il termine “riforma” etimologicamente è il ritorno alla forma primitiva, un’attitudine volontariamente passatista e letteralmente reazionaria. E’ il caso del fondamentalismo wahabita che perora il ritorno al “puro” islam.
La china scivolosa del purismo è che si trova sempre qualcuno più puro (“che ti epura” direbbe Nenni, ndr). Così in una cattiva infinità senza requie.

Il problema del letteralismo coranico è vecchio e sembra aver fatto tutt’uno con  la religione islamica  almeno da quando vinse nel XIII secolo la corrente asharita che sosteneva – attenzione – la coesistenza del Corano con Dio, ossia un Corano increato, contro quella mutazilita che perorava invece il Corano creato da Dio e non coesistente con lui ab aeterno .

La tesi rigida del Corano increato e coesistente con Dio è stata poi corroborata da successive ondate di purismo coranico: soprattutto da Ibn Taymiyya (1263-1328) e dal “riformatore” che è il teologo di riferimento dell’Arabia Saudita ossia Ibn ‘Abd al-Wahhâb (1703-1792) i quali si richiamavano come tutti i successivi puristi fino ai giorni nostri, vedi Al –Ala Mawdudi e il suo allievo egiziano Sayyid Qutb – al capostipite di tutti i letteralisti, ossia Ibn Hanbal (780-855) che è l’ispiratore  primo della corrente vincente asharita fondata da Abu al-Hasan al-Ash’ari
L’intellettuale tunisino di lingua francese Abdelwahab Meddeb ha tentato disperatamente di ripristinare, suggerire, perorare la proposta Mutazilita (per semplificare quella “razionalista” cui aderì Averroè) con queste parole nel suo prezioso volume Sortir de la malédiction. L’Islam entre civilisation et barbarie , Seuil 2008.

 La tesi Mutazilita del Corano creato, dono prezioso della tradizione, merita di essere rianimata per aiutare il soggetto islamico a evadere dalla cella dogmatica che lo condanna a credere che il Corano è un’opera divina. Dicevano i mutaziliti di Bagdad nel IX secolo, il Corano non è qadîm non porta la parola divina nella sua anzianità pre-eterna; è piuttosto hadîth , attuale, muhdith , contingente, makhlȗq , creato in una lingua umana, per quanto ispirato da Dio. Ciò assimila il Corano a un accidente (‘araz’), come tutte le cose create. Il Corano è una cosa avvenuta nel tempo a seguito di un hadath , a un evento. In rapporto al Corano Maometto si troverebbe nella stessa situazione di Mosè di fronte alla Torah: è un uomo investito dall’ispirazione divina che parla una lingua intesa dai suoi per trasmettere loro una parola rivelata. I mutaziliti utilizzano il verbo che ha radice in hdth dalla quale gli Arabi estraggono il sostantivo che designa la modernità hadâta .

Meddeb fa appello alla tradizione dei Muta’zila del “Corano creato” (e non coesistente con dio ab aeterno ) perché ha delle conseguenze preziose in quanto liberano dalla rigidità l’approccio alla legge rivelata, la sharia, la quale non ha più eternità essa stessa. Così essa è affrancata dalla fissità che la congela. Sottomessa alla maçlaha, questa utilitas che i vecchi giureconsulti invocavano per rivendicare la capacità giuridica di modificare la legge in funzione della congiuntura, una sorta di duttilità interpretativa,  la Legge (sharia) soggiace all’inevitabile  destino di adattarsi al contesto in movimento e cambiare secondo l’evoluzione umana.

Siccome il problema dell’islam sta diventando, seppur contro la nostra volontà, un problema anche nostro, non possiamo che perorare una visione di questo genere. Ma ostano a ciò le masse illetterate islamiche  (il termine di semi-lettrés torna spesso nella prosa di Meddeb)  che nella stragrande maggioranza nulla sanno dei rovelli degli intellettuali  e si accostano alla propria religione con lo  spirito invasato dei “puri” e dei semplici.

 

TAG: Abdelwahab Meddeb, Élie Barnavi, Letteralismo coranico
CAT: Teologia

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