Gli attentati a Barcellona? Il colpo di grazia alle relazioni con Madrid

23 Agosto 2017

Tutto è politica, si dice. E in effetti anche gli attentati del 17 agosto in Catalogna lo sono diventati. A causa del referendum sull’indipendenza catalana previsto per il 1° ottobre. Un progetto “radicale e foriero di divisioni” secondo il premier spagnolo Mariano Rajoy, conservatore; “il legittimo diritto all’autodeterminazione di una nazione millenaria”, per il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont. In effetti, «era impossibile che non diventasse una questione politica – spiega a Gli Stati Generali il giornalista del quotidiano catalano La Vanguardia Eusebio Val –. Prima degli attentati non si parlava d’altro che del referendum, era il tema centrale dell’estate».

Le polemiche hanno spazzato via l’immagine di unità trasmessa alla Spagna e al mondo il giorno dopo l’attentato. Quando il re Felipe VI, Rajoy, Puigdemont e la sindaca di Barcellona Ada Colau hanno partecipato fianco a fianco alla manifestazione per ricordare le vittime degli attentati. Un’immagine, nient’altro che un’immagine. O almeno così la pensa Jordi, giovane catalanista che sottolinea: «Ha ragione Trapero, gli spagnoli mi fanno davvero pena. Pensa che Rajoy è rimasto a Madrid fino a tarda sera, è venuto qui solo a mezzanotte. Incredibile!»

In effetti gli esperti intervistati da questo giornale tendono a distinguere fra la cooperazione tra forze dell’ordine regionali e nazionali, e quella tra poteri politici. Mentre i giudizi sulla prima sono sostanzialmente positivi, sulla seconda c’è più cautela. «La cooperazione tra forze dell’ordine è stata molto fluida sin dal primo momento – dice Fabio García Lupato, docente di scienze politiche all’Università Complutense di Madrid –. Quella politica è stata un po’ più lenta. All’inizio la Generalitat [il governo catalano] e il governo centrale comunicavano tra loro ma non comparivano mai assieme. Ciò dimostra come fosse politicamente difficile, per la Generalitat, apparire a fianco del tanto vituperato governo centrale». Il professore ha ragione: negli ultimi anni i toni tra Barcellona e Madrid si sono andati inasprendo, sempre di più.

Secondo Pere Ortega, presidente del think-tank catalano Centro Delàs di studi per la pace, l’immagine di unità data il 18 agosto è stata positiva. «Tuttavia – nota – non poteva essere altrimenti. Ci mancava solo che dopo degli attentati le amministrazioni non collaborassero per assicurare la sicurezza della cittadinanza e informare sull’accaduto». Insomma, giovedì scorso Madrid e Barcellona hanno messo da parte le polemiche sul referendum. «Ma – sottolinea Ortega – si tratta solo di una pausa. Il conflitto continuerà».

In realtà è già ripreso. Sin dal giorno successivo agli attacchi, il tema del terrorismo era impregnato di politica. Talvolta con toni a dir poco esasperati. Sul quotidiano conservatore El Mundo appariva una columna de opinión dal titolo “Sangue per i civettuoli” [sic]. L’autore dell’articolo accusava Barcellona di avere una lunga storia di “flirt” con la violenza ricordando le elezioni generali del 1987, quando quasi 40mila «catalani civettuoli votarono Herri Batasuna [il principale partito nazionalista basco] e 9 giorni dopo l’ETA ringraziò lasciando 21 cadaveri» in un supermercato della città catalana.

Più moderato El País, il principale quotidiano progressista spagnolo, che in un editoriale di sabato 19 scriveva: «questo crimine dev’essere un campanello d’allarme che faccia tornare la politica catalana alla realtà». E ancora: «Rivolgiamo un appello al governo catalano perché si metta al servizio dei reali problemi della Catalogna».

Era solo l’inizio. Seguivano le beghe tra Madrid e Barcellona in merito all’annuncio sull’avvenuto smantellamento o meno della cellula terrorista responsabile della strage. Scoppiavano poi polemiche sulle parole del consigliere degli interni catalano Joaquim Forn, che parlava di vittime “catalane” e “di nazionalità spagnola”. Ancora, gettavano ulteriore benzina sul fuoco le critiche rivolte da alcuni giornalisti al capo dei Mossos d’Esquadra (la polizia catalana), Josep Lluís Trapero, per le conferenze stampa svolte un po’ in spagnolo e un po’ in catalano. Non è finita: pioggia di critiche anche sulla sindaca di Barcellona Ada Colau, per non aver dato retta a Madrid che raccomandava di “isolare fisicamente con oggetti o agenti di polizia i punti strategici che possano essere oggetto di attentati”. E non ci vuole certo un genio dell’anti-terrorismo per capire che la Rambla era uno dei potenziali obiettivi.

L’elenco potrebbe continuare, lo risparmiamo al lettore. Più interessante quello che ci ha detto una funzionaria dell’amministrazione catalana che, temendo rappresaglie professionali, ha preteso un assoluto anonimato. «Entrambe le parti [Madrid e Barcellona] stanno strumentalizzando gli attentati terroristici per fini politici. È un errore gravissimo, che questo paese ha già commesso in passato, con l’ETA. Speravo che avessimo imparato la lezione».

In Spagna non è sfuggito a quasi nessuno che l’attentato sia arrivato a poco più di un mese da un voto cruciale. Una storia già vista anche in Francia, Inghilterra e Germania. È chiaro che lo Stato Islamico vuole influenzare la politica dei paesi europei, spiega Lurdes Vidal, direttrice dell’area mondo arabo e islamico del think tank IEMed di Barcellona. «È lampante. Il terrorismo islamista vuole che aumenti la popolarità dell’estrema destra e di partiti xenofobi capaci di aggravare le tensioni interne all’Europa». Vidal non è la sola a pensarla così. «Pare che lo Stato Islamico voglia che in Europa crescano e conquistino il potere partiti molto più radicali e anti-Islam perché essi rafforzerebbero il suo discorso di vittimismo religioso e politico», nota da Madrid García Lupato.

Secondo vari analisti sentiti da Gli Stati Generali, probabilmente gli attentati finiranno per influenzare il referendum del 1° ottobre. Se non altro perché possono aggravare le divisioni, già assai profonde, tra Barcellona e Madrid. «Per una parte degli indipendentisti catalani – continua García Lupato – il ruolo centrale dei Mossos [nelle indagini] dimostra che la Catalogna è in grado di agire come uno Stato, e che non ha alcun bisogno di Madrid. Per altri, il fatto che siano stati i Mossos, in qualità di forza dell’ordine principale in Catalogna, a dirigere le operazioni, dimostra che la Spagna è uno Stato federale in cui l’autonomia funziona (più o meno) bene».

Una fonte diplomatica occidentale in Spagna fa notare che «la presunta autosufficienza catalana in questioni di sicurezza è, appunto, solo presunta. Non si costruisce una rete di intelligence dall’oggi al domani. Già faticano paesi più capaci e con lunga esperienza, come la Germania o l’Italia, figuriamoci l’ultimo arrivato». E del resto il backfire pro-unità è dietro l’angolo: per Gabriel Colomé, docente di scienze politiche all’Autònoma di Barcellona, gli attentati «potrebbero influire sui moderati indecisi, che a seguito di eventi simili potrebbero decidersi per il no all’indipendenza. Per quelli più convinti, invece, credo che non cambierà niente».

John Hooper, corrispondente di The Economist in Italia ed ex corrispondente in Spagna (nonché autore del saggio “The New Spaniards”, Penguin), pensa che gli attentati «porranno il nazionalismo catalano in una nuova prospettiva, forse ne eroderanno anche il sostegno. La distinzione tra il definirsi “catalano” o “spagnolo” sembrerà piuttosto meschina di fronte a un nemico comune così letale».

Sui social media e per le strade, fioriscono le opinioni più disparate. «Io sono a favore del referendum e voterò a favore dell’indipendenza – dice a Gli Stati Generali la catalana Ana, di professione notaio –. L’attentato non ha cambiato le mie idee, il popolo catalano ha già dimostrato di essere forte molte volte». Patricio, anche lui catalano, scrive a El País: «Ora più che mai dobbiamo restare uniti. Questo è il maggior danno che possiamo infliggere ai terroristi in modo che la nostra libertà e democrazia ne escano più forti».

Ortega tiene a sottolineare che «è improbabile che il referendum si faccia davvero, il governo centrale è assolutamente contrario». Un’opinione condivisa da Val. «La cosa più probabile è che il referendum non si faccia affatto. Non si sa ancora come, ma credo proprio che Madrid alla fine lo bloccherà. Potrebbe persino ordinare alla polizia di ritirare le urne».

Una cosa è certa. Nella comunità autonoma con più musulmani di tutta la Spagna (oltre 500mila), gli attentati di giovedì scorso hanno messo in evidenza dei gravi problemi di sicurezza, e forse anche di integrazione. Soprattutto perché, come si legge su tutti i quotidiani spagnoli, gli attacchi sono stati compiuti da dei giovani apparentemente “normali”, che non avevano mai destato alcun sospetto a Ripoll, la cittadina catalana dov’erano cresciuti. Un’educatrice sociale che aveva lavorato con alcuni di quei ragazzi, ha scritto loro una lettera che ha fatto sensazione: “non riesco a trattenere le lacrime”; e rivolgendosi a Younes Abouyaaqoub, il conducente del veicolo ucciso ieri dalla polizia: «Come può essere Younes? Non ho mai visto nessuno responsabile quanto te…”.

Vidal avverte: «Adesso c’è il rischio che l’islamofobia aumenti, anche se sono felice di poter dire che il discorso sui musulmani è stato molto corretto e per nulla generalizzante, sia da parte della polizia che delle istituzioni». In effetti gli attentatori hanno colpito una città tradizionalmente molto aperta e solidale. Che ha immediatamente replicato con grandi manifestazioni al grido di “Io non ho paura”. «Questa violenza non ci piegherà– dice Natalia, un’impiegata catalana –. Confido che Barcellona continuerà a essere aperta e cosmopolita come sempre, ma anche che Ada Colau diventi più cauta e intelligente».

Su tutto però prevarrà la politica. Un esempio: il ministero degli interni spagnolo alla fine ha deciso di mantenere il livello d’allerta 4, nonostante la gravità della situazione. «Questa decisione è stata presa per motivi politici – commenta la già citata funzionaria dell’amministrazione pubblica catalana –. Il livello 5 implica l’impiego dell’esercito spagnolo, come è successo in Francia dopo le stragi. Provi a immaginare i soldati di Madrid per strada a Barcellona con un referendum così importante alle porte, e con i ricordi del franchismo ancora vivi. Basterebbe una minima provocazione per portare a situazioni davvero pericolose».

 

 

 

Immagine in copertina: Manifestazione indipendentista “Som una nació. Nosaltres decidim”, autore: Xenaia

TAG: attentato a Barcellona, barcellona, Catalogna, indipendenza catalogna, intelligence, isis, la Rambla, referendum, spagna, stato islamico, terrorismo
CAT: Terrorismo

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