Il cuore moderno di Venezia, grazie a Brugnaro

31 Ottobre 2015

Caro Gnech, bisogna cercare di prendere al volo l’occasione offerta dal sindaco Brugnaro e fare alienare dal patrimonio del Serenissimo Comune la Giuditta di Klimt, con un obbiettivo: tornare a vederla perché, pare anche Lei ma a me di sicuro, non la si riesce a vedere esposta a Ca’ Pesaro da anni. Riassumiamo: il sindaco Brugnaro si trova con un bilancio crivellato peggio di una galera dopo la sconfitta di Curzola e per esordio del suo mandato va sul ponte e sventola bandiera bianca pensando che l’anticonformismo sans culottes sia un bel vedere.

Come tanti nobili decaduti, e la città ne ebbe a iosa nella sua storia e nelle sue commedie, il suddetto decide che si potrebbero vendere i beni di famiglia per non fare affondare il Palazzo, in Laguna, a costo di ridurlo a un susseguirsi di stanze umide e vuote. Intendiamoci, si fosse fermato qui avrebbe avuto una qualche solida ragione ma non sarebbe stato un sindaco dell’italico centrodestra degno del suo lignaggio e quindi si è lanciato alla ricerca della giustificazione culturale attingendo all’immaginario leghista della estraneità di Klimt al Genius Loci della città più internazionalizzata d’Italia. Si sussurra, secolare sport nazionale in città, che lo stesso Genius Loci al riguardo si sia rivoltato in canal sacramentando in lingua peggio del secondo arrivato nella gara delle Caorline. Se si evitano però le giustificazioni culturali, a certe condizioni come in ogni vendita, la cosa non sarebbe per nulla da escludere.

In primo luogo la Giuditta II non credo possa mai avere la possibilità di vedere autorizzata una sua vendita all’estero, dove l’asta massimizza il valore ma rende la perdita inaccettabile, ed è quindi oggi “condannata” a continuare a viaggiare comunque molto fuori dai confini ma come prestito ad altre esposizioni per far cassa.

In secondo luogo, le amministrazioni comunali per i vincoli di bilancio non sono più in condizione di garantire una politica culturale da munifica committente, ed è un gran bene perché la committenza pubblica è stata destinata a pagare curatori e non artisti, contenitori e non contenuti, per vocazione e spesso senso dell’amicizia verso gli operatori del settore più ad essa vicini.

Terzo, perché se la politica culturale di una amministrazione locale è quella di ridefinire il genius loci come una icona stampata nel passato e non la capacità del divenire, coniugando il luogo con la modernità senza perderne la storia, allora è bene che di cultura il Pubblico non se ne occupi proprio più e a nostra tutela.

Non è un caso che i veri committenti, i protagonisti della cultura siano le fondazioni private, grandi e piccole, che non suppliscono la carenza del pubblico, come si direbbe con qualche mal di pancia a sinistra, ma che producono cultura sia come cura dell’esistente che di committenza contemporanea. È un gran bene sia così perché usciamo finalmente dalla antitesi secondo la quale la cultura se è pubblica è buona ma se il privato ci mette l’occhio magari col merchandising allora diventa il mercato nel tempio: la idiozia storica e culturale di questa affermazione è sesquipedale ma rieccheggia, si noti a destra quanto a sinistra, ogni volta che si parla della gestione dei grandi siti storici nazionali nonché della nomina dei loro dirigenti. Al contrario, le fondazioni riescono pur tra mille difficoltà a rendere pubblica l’arte non per ideologia politica ma per oggetto sociale proprio e autentica ambizione culturale del loro Dominus (se no perché dovrebbero esistere?) cercando anche di far quadrare i bilanci.

Ecco perché per vedere la Giuditta II di Gustav Klimt, opera nata a Venezia per l’esposizione d’arte nel 1909 e qui acquistata dal Genius Loci della Galleria d’Arte Moderna, sarebbe il caso che essa venisse messa in vendita con la clausola che non lasci la città lagunare almeno sino alla inaugurazione del Mose e cioè, con agile estrapolazione dei tempi fin qui trascorsi dalla ideazione dello stesso, direi per almeno un paio di secoli.

Una qualsiasi Fondazione se ne farebbe un tale orgoglioso vanto artistico e pubblicitario (“abbiamo tenuto la Giuditta a Venezia dove era nata”) da dedicare una sala solo all’opera, tenerla esposta permanentemente, promuoverla come suo gioiello tra i gioielli. E sono pronto a scommettere che anche Fondazioni non presenti a Venezia, magari anche una di Genova troverebbero questa come la migliore occasione per sbarcare trionfalmente in Laguna.

Per questo l’occasione va presa al volo, se avesse vinto Branzin Casson non se ne sarebbe nemmeno parlato e invece grazie all’inconsapevole Brugnaro stiamo affrontando un problema nodale per i beni culturali nazionali e, ancor più, ci confrontiamo sul significato di cultura, sulla sua nascita e sui giudizi morali e ideologici connessi. Brugnaro non lo sa, e non diteglielo, ma forse anche il Genius Loci finalmente felice chiederà asilo in una Fondazione.

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TAG: biennale di venezia, sindaco di venezia
CAT: Venezia

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