In genere non amo l’uso disinvolto delle metafore in politica, eppure ieri sera, dopo una giornata di pioggia a dirotto, la mente è andata subito all’immagine di un diluvio particolare, per così dire, immagine che in una città nata, più volte salvata e sempre minacciata dalle acque assume una concretezza unica. Sarà il trauma della sconfitta, fatto sta che non riesco a non pensare a Felice Casson come ad una sorta di Noè chioggiotto. Felice/Noè ha fallito nel tentativo di portare in secca l’arca della Sinistra veneziana e, dopo ventidue anni, il governo della città passa alla Destra.
Sulle cause di questa sconfitta dibatteremo – anche ferocemente, tra militanti – per mesi e mesi, e ognuno troverà i propri capri espiatori – mentre sarà difficile trovare la forza per sopportare ancora i «ve l’avevo detto» di Massimo Cacciari. In attesa di puntare i riflettori su Brugnaro, che per quanto mi riguarda rimane ancora un oggetto non identificato, mi concentrerei su ciò che è andato storto con Casson, sconfitto per la seconda volta in dieci anni e in queste ore rimasto silenzioso – un silenzio condiviso da un centrosinistra attonito.
In primo luogo, sappiamo che esiste una fisiologia del consenso. Vent’anni sono un ciclo abbastanza lungo perché al suo termine ci si possa aspettare un cambiamento. Se poi quel ciclo corrisponde al declino della città, un cambiamento diventa ancora più probabile. Sottoscriverei l’analisi lucida ed onesta (e solitaria) fatta da Laura Fincato a spoglio non ancora terminato: la crisi di consenso del centrosinistra a Venezia inizia ben prima dell’arresto di Orsoni e segue di pari passo gli errori fatti e soprattutto l’incapacità di correggerli. Personalmente, volendo tentare una sintesi (forse un po’ brutale) che spieghi il “fisiologico” cambiamento di cui sopra, guarderei ai vent’anni nel loro insieme, anche oltre Venezia.
Il primo centrosinistra nato nel post ’89 è proprio il centrosinistra dei governi locali, quello della grande stagione delle autonomie e del “partito dei sindaci”. A Venezia, durante e dopo l’era Cacciari, i consensi si sono mantenuti attraverso la leva della spesa pubblica, che potremmo dividere in tre grandi aree: a) Servizi pubblici, welfare locale e produzione culturale b) posti di lavoro nelle partecipate e controllate, fornitrici dei servizi al punto precedente c) urbanistica contrattata e rapporto con i grandi contractor privati delle opere pubbliche. Un modello che, se ben bilanciato, riesce in teoria a garantire crescita economica e consenso politico.
Per ragioni varie e complesse (la mia vena reazionaria direbbe: semplicemente a causa della natura umana), questo modello ad un certo punto va in crisi. Le istanze ai punti b) e c) si mangiano quelle al punto a) e, proprio all’apice di una crisi finanziaria locale, nazionale e globale, emerge il sistema corruttivo relativo al punto c). Come sappiamo, la storia finisce con l’arresto del Sindaco in carica, giusto un anno fa, cui purtroppo non è seguita un’adeguata autocritica del gruppo dirigente del PD e del centrosinistra tutto.
Centrosinistra forse non del tutto consapevole della più grave crisi di consenso dei vent’anni del suo governo, e che tuttavia, dopo le primarie, si affida a Noè/Felice, alla figura del sindaco-magistrato-moralizzatore. Uno schema che altrove, almeno sul piano elettorale, ha funzionato. Non qui in Laguna. A Venezia si è letteralmente sbriciolato quel blocco di consenso che ha garantito la continuità al centrosinistra almeno sino all’elezione di Orsoni. L’astensione si è manifestata soprattutto in quel blocco, frutto di una disillusione e di un rancore ormai troppo profondi
Casson non è riuscito a coinvolgere gli indignati nemmeno attraverso la propria lista civica, un tentativo in realtà piuttosto goffo di marcare la distanza dal Partito Democratico. Il fatto è che la lista Casson non nasce da qualche spontaneo movimento della c.d. società civile, ma da una raffinata opera di ingegneria politica che oltre ad alcune (irrilevanti) rotture – vedi Pizzo e Seibezzi – aveva portato anche ad alcune importanti ricomposizioni – tra cui il capolavoro di Nicola Pellicani, già candidato della Ditta sconfitto alle primarie, divenuto capolista.
In una città in cui il nuovo corso renziano ha avuto sul partito locale riflessi debolissimi, e nelle cui vicende Renzi non è mai intervenuto direttamente, non è servito che una parte della coalizione prendesse le distanze dal “renzismo” – abbiamo letto candidati segnalare gli elogi di Brugnaro a Renzi per convincere il riluttante elettore antirenziano a votare Casson, mentre quest’ultimo ringraziava – giustamente – il governo per la disponibilità ad allentare i cordoni della borsa per dare respiro alle esauste finanze cittadine.
Soprattutto, si è rivelato del tutto inutile il tentativo, a tratti imbarazzante, di lisciare il pelo agli elettori del Movimento 5 Stelle, del quale certa sinistra dialogante non sembra ancora aver compreso bene la natura. Il rilancio compulsivo che i campaign staffer di Casson negli ultimi giorni hanno fatto delle dichiarazioni dei vari Imposimato e Travaglio è servito soltanto a infastidire quelli che, come il sottoscritto, hanno fatto campagna per Casson con e dentro il Partito Democratico, a volte sentendosi dei paria. La speranza è che per qualcuno – non tanto gli irrecuperabili grillini, quanto la “Sinistra dei puri” sia finalmente suonata la sveglia.
Il danno ormai è fatto. E, sia chiaro, lo scrivo più da cittadino preoccupato che da supporter colpito dalla sconfitta. Il problema non è infatti l’alternanza, che, come dicevamo, in democrazia va messa in conto. Il problema è che l’alternativa di centrodestra guidata – obtorto collo, in fondo – da Brugnaro non mi sembra minimamente in grado di affrontare gli enormi problemi della Sinking City. Non vorrei offendere nessuno, ma la qualità della classe dirigente del centrodestra cittadino è persino inferiore a quella nazionale. Se poi dovessi sbagliarmi, sarò il primo a riconoscerlo con piacere.
Nel frattempo, da cittadino prima che da oppositore, darei al Sindaco Brugnaro due soli suggerimenti non richiesti. Innanzitutto, fossi in lui, metterei subito a posto i più esagitati tra i suoi alleati destrorsi e leghisti, mossi soltanto da bassi sentimenti di revanche nei confronti dei “comunisti”. In secondo luogo, come Casson avrebbe voluto chiamare Arese, Daverio, Giavazzi e Rosso come “superconsulenti”, il vincitore provi a fare una scelta simile. Si circondi di gente diversa da lui e da ciò che rappresenta. Provi a stupirci.
Tornando infine agli sconfitti, dopo i primi inevitabili psicodrammi, questa potrebbe essere l’occasione per verificare se la Sinistra a Venezia sappia ancora fare opposizione, e se esista ancora una Sinistra al di là della gestione (anche) clientelare delle risorse pubbliche. Ciò che non ha fatto la crisi, farà la sconfitta elettorale. Non avendo un Comune da gestire, la sinistra cittadina potrebbe ricominciare a studiare davvero i problemi del Comune e recuperare un rapporto col proprio elettorato. Un paradosso tutto da verificare.
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