Dal nazional-popolare dei rap alle trasmissioni tv totalmente americanizzate

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1 Settembre 2016

La formula “nazional-popolare” non è di Gramsci come in genere si crede, ma di Ruggero Bonghi, ministro della pubblica istruzione del Regno. Gramsci riprendeva una domanda di Bonghi: perché la letteratura nazionale italiana non è anche popolare? Come quella francese o russa, per esempio? E annotava che la risposta andava cercata nella particolare formazione degli intellettuali italiani tesa più al «cosmopolitismo e universalismo medievale e cattolico, che aveva la sua sede in Italia e che si è conservato per l’assenza di una “storia politica e nazionale” italiana».  Ciò per la semplice ragione che nell’Italia unita o unificata (scegliete voi) esisteva solo dal 1870 un pubblico, e noi diremmo oggi anche un “mercato”,  culturale  nazionale. Ma in subordine, ancora in capo agli intellettuali italiani restava, per Gramsci, una certa tendenza al “mandarinismo”,  una preziosità ridicola di corte ampollosa e vuota,  un discorso tutto interno al Palazzo e alla casta degli intellettuali totalmente lontani dal popolo-nazione e disinteressati ad avere con l’uno e con l’altra una comune preoccupazione estetica quando non pedagogica tout court.

Ovviamente nell’accezione di Gramsci la formula “nazionale e popolare” o “popolare nazionale” aveva connotati altamente positivi, se è vero che assegnava al moderno Principe (il partito politico) la funzione di « essere il banditore di una riforma intellettuale e morale, che è il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare nel terreno di una riforma compiuta e totale di civiltà moderna».

Veniamo a noi. Nel mercato dei prodotti estetici sorge pertanto la domanda: il western americano è nazionale e popolare? Certamente. Popolare e nazionale americano. Come  la canzone di Sanremo è popolare nazionale italiana. Espressione nazionale e nello stesso tempo popolare, nel senso sia che si raccorda al genio e alla mitologia del popolo come anche “ampiamente diffusa”.

Successe invece che in un famoso alterco televisivo di fine anni Ottanta tra Enrico Manca, presidente della Rai e Pippo Baudo,  il primo –  va ricordato un socialista!, cioè un uomo che per ideologia o per formazione mentale e culturale doveva essere vicinissimo al popolo-, rimproverava, invece che lodare, il secondo di fare programmi “nazional-popolari”! Da allora rimase attorno a questa formula  uno stigma di scadente prodotto culturale.

Ora, quando in questa estate italiana sentiamo Fedez e J-Ax nel  rap “Vorrei ma non posto”, che ci ha scassato i cabasisi per tutta l’estate, un  “E poi un tuffo nel mare. Nazional popolare”, in che accezione viene detto questo nazional popolare? In quella di Manca o di Gramsci? Io credo nella seconda, dopotutto, perché cosa c’è di più radicato nella sana tradizione nazional popolare di un tuffo nel mare, anche se non si tratta di prodotto strettamente culturale? Tuttavia già ai tempi di Gramsci, a partire dagli anni ’30 quanto meno, e basta vedere il delizioso film, tra i cento italiani da salvare,  di  Luciano Emmer “Domenica d’agosto” del 1950, eh sì, il tuffo nel mare fa parte della migliore tradizione  della cultura materiale nazionale e popolare, anche in questi tempi di crisi, declino e preoccupazione per il nostro popolo-nazione.

Viceversa di una certa tradizione “apratiottica”, mandarinesca, sprezzantemente non nazionale né popolare, è la trasmissione televisiva “Dreams road” (su Rai1) dove già dal titolo, del più bieco anglopovero (come “Fertility day” della Ministra della salute Lorenzin) si annuncia una trasmissione tutta americaneggiante, finta e dissimulata. È una trasmissione “universalistica e cosmopolita”? Sì ma lo è come una Marlboro, un prodotto totalmente exported, o la sala d’aspetto di un aeroporto, un non-luogo internazionale.  I due motociclisti alle prese con questi viaggi in giro per il mondo di cui ci fanno cronaca televisiva, sembrano, in sella alle loro moto, non staccarsi un attimo dall’iconografia yankee ormai più sdata, fissata per l’eternità da pellicole come “Easy rider”, ma  anche in quella raffigurazione di sé, così bolsa e ridicola che cogli nei cortei in moto che ogni tanto invadono le autostrade italiane  formati da tipi in libertà provvisoria domenicale. I Nostri Due motociclisti anche quando attraversano la placida e discretamente anonima Danimarca, sembra che stiano percorrendo la mitica route sixty six; salutano a ogni piè sospinto con il pollice dei top gun (di Ghedi?) o stendono le braccia con gli indici platealmente protesi,  e non ci lasciano mai privi di sonorità country lungo il tragitto. Insomma siamo nel più puro trash teorizzato dal compianto Tommaso Labranca: il fallimento dell’imitazione di un modello; ricavabile anche dalla formula: intenzioni meno risultati uguale trash.

 

 

TAG: Dreams road, Fedez, j-ax, nazional popolare, Vorrei ma non posto
CAT: viaggi

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