Cinema
Cinema e ambiente, nelle sale “Breath”, l’ultimo respiro del mare
MILANO _ Il mare sta morendo. Ad ucciderlo è l’uomo. Siamo noi stessi, ognuno con diversi gradi di responsabilità, a prosciugare quella grande ricchezza dell’acqua che ci dà la vita. Esattamente come sta accadendo con le foreste. Pure queste stanno scomparendo. C’entra il cambiamento climatico, certo. Ma soprattutto l’uomo. Il livello di impoverimento è già molto avanzato, figlio di un avvitamento inesorabile determinato dalla bramosia di fare soldi. Soldi, soldi, soldi. Eppure ci deve essere ancora una via d’uscita. Un modo di fermarsi e dire “basta” riprendendo a respirare seguendo il ritmo della natura. Lo racconta “Breath”, appunto “respiro”, primo importante film documentario della cineasta Ilaria Congiu- ma già con un robusto curriculum alle spalle come aiuto regista e sceneggiatrice- questi giorni nelle sale co-prodotto da Mediterraneo Cinematografica, la tunisina Propaganda Production, il sostegno del Mic, Ministero della Cultura, Le Centre National du Cinéma et de l’Image, le Film Commission calabrese e siciliana, in collaborazione con My Movies e Legambiente-Extinction Rebellion con le belle musiche di Lorenzo Tomio che accompagnano in modo lirico le migliori sequenze.
Film, che segue l’incipit biografico dell’autrice, “Breath” è -assieme al tenero e forte rapporto padre-figlia – innanzitutto un atto d’amore per il mare e le sue creature, i pesci, assediati da nuovi, sofisticati sistemi di tortura e decimazione. Mette a nudo i perversi meccanismi di un business incurante della salute del mare stesso e dell’umanità in nome del profitto. Una logica che nel volgere di poco, gli ultimi quaranta anni, sta progressivamente facendo terra bruciata di posti di lavoro e ricchezze naturali, logica che nel film viene denunciata nella sua crudeltà. Ilaria Congiu è nata in Senegal, dove il padre capitò per caso negli anni Ottanta, mettendo su una azienda di pesce congelato. La giovane filmaker vive la fanciullezza e prima giovinezza in Africa costruendo un personale e profondo rapporto con il mare “diventato presto compagno di vita”, prima di approdare, per gli studi, in Italia e poi in Francia, dove si laurea in giornalismo iniziando la carriera cinematografica e documentaristica. “Breath”, dopo un incipit privato in cui si vedono immagini girate in Super 8 di Ilaria bambina con il padre e la madre, inizia proprio dal ritorno a casa. A Dakar. La città bianca con un lunghissimo litorale sabbioso dove si allineano le decine e decine di piroghe colorate dei pescatori, alcuni dei quali conferiscono il pesce all’azienda del padre che vive stabilmente laggiù.
Un’azienda ancora sostenibile da filiera corta iniziata in un’epoca il cui l’oceano prospiciente il Senegal era assai pescoso. Piroghe piuttosto che battelli di altura e l’utilizzo di un prodotto che ha un giorno di vita. “Ora -lamenta il padre Francesco Congiu– tutto sta cambiando. Il mare non dà i frutti di un tempo e le aziende multinazionali hanno cambiato il sistema introducendo logiche da azienda metalmeccanica produttrice di bulloni”. La litanìa è simile a quella di Ibrahima Samb, imponente pescatore senegalese: “Da dieci anni è la stessa storia; non c’è più tanto pesce e in compenso tira molto vento.. ma teniamo duro”.
I pescatori lasciano le barche sulla battigia e, con le cassette piene di pesce sulla testa, vanno verso il mercato, un enorme spazio vuoto dove inizierà la trattativa.
Storie di uomini e mare.
“Il pianeta è composto dal settanta per cento di acqua. E anche il corpo umano lo è. Questo è uno dei motivi per cui occorrerebbe portare rispetto al mare”. Così spiega agli studenti Silvio Greco, biologo marino, dirigente di ricerca della Stazione zoologica A. Dohrn, docente di Sostenibilità ambientale presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, E’ anche autore di diversi libri. L’ultimo è “Un’onda di plastica” scritto con Raffaella Bullo (Manifestolibri).
“Siamo nati sulla terra ma è dall’acqua che veniamo” afferma Ilaria Congiu.
“Ho bisogno di questo mare. Ho bisogno di questa vista, di questo contatto. Quando mi immergo realizzo quanto sia piccola in questo universo. Siamo un piccolo elemento in mezzo al grande blue che ci circonda. Quanto siamo fortunati a essere vivi e poterci godere ogni istante della vita!” sostiene la tunisina Rym Benzina Bourguiba, presidente dell’Associazione La Saison Blue, voce influente del Mediterraneo.
La cinepresa si sposta in Sicilia in una notte di lavoro nel battello di Domenico Mendolia. “Devi avere il mestiere nel sangue. Andare tutti i giorni a pescare: prendi qualcosa oppure no. Esercito una pesca locale a dodici miglia dalla costa che viene fatta nei periodi regolamentati. Si pesca anche all’amo…”
Alessia Zecchini, apneista, la “donna più profonda del mondo”, ben 17 ori olimpionici, 38 record mondiali, ha toccato la profondità di 123 metri in assetto costante. E’ mattino presto: a bordo di un’imbarcazione si concentra sulla preparazione atletica prima di scendere in acqua. “Controllo le emozioni, cerco di non pensare a nulla prima di lanciarmi. Mi concentro sull’aria che respiro, la tranquillità e la voglia vivere” spiega, mentre infila una tuta nera. Un attimo e si tuffa nel blu. L’occhio della telecamera la segue mentre scende lentamente in profondità. Praterie di alghe e fiori ondeggiano al passaggio: pare che respirino allo stesso ritmo dei branchi argentei di pesci. Una razza gigantesca vola maestosa tra la sabbia e la vegetazione. Cernie, sgombri velocissimi, e tonni.
Sono tremila e cinquecento le tonnellate di questi ultimi pesci pescati nel Mediterraneo e divisi tra una ventina di compagnie pescherecce. Secondo i dati di GreenPeace la maggior parte del tonno rosso del Mediterraneo (per un valore di oltre 200 milioni di euro l’anno) finisce in Giappone dove un singolo tonno può valere anche 50 mila euro. Nel Mediterraneo sono fioriti negli ultimi anni i centri di allevamento o di “ingrasso”. Il tonno pescato in mare viene trasferito dentro gabbie volanti dove aggiungerà grasso alla massa corporea. Lo scopo è naturalmente quello di realizzare più profitto. Così per la piccola pesca non resta alcuna quota disponibile. O quasi.
“Breath” mostra in tempo reale queste “migrazioni” di grandi gabbie che vengono spostate da pescherecci, dalla Calabria sino a Malta. Un viaggio lunghissimo: quattrocento miglia percorse in un mese.
Tutta questa mattanza si chiama economia dell’estinzione: vuol dire che gli animali in pericolo sono anche i più appetibili e innescano un processo apparentemente inarrestabile. Esistono aziende che stoccano questo tipo di pesce nella speranza di poterli vendere a caro prezzo quando la specie sarà estinta.
“Dovremmo eliminare dalla nostra dieta i tonni, i pesci spada…” invita Greco. “Un tonno ci mette cinque anni di vita per riprodursi. La triglia in due anni ha fatto tutto il suo ciclo”. Il tema della scelta alimentare diventa dunque un atto di responsabilità verso il Pianeta.
Dalla barca di Mendolia un’anziano tira su le reti. “Fare oggi il pescatore? Non lo rifarei più per nessuna ragione al mondo. Il mare è stato troppo sfruttato. E’ inquinato. Troppe fogne scaricano a mare”.
Il film di Ilaria Congiu diventa, fotogramma dopo fotogramma, un potente atto d’accusa verso chi sta distruggendo quella che era una grande ricchezza. Franco Congiu stigmatizza amaro: “Internet, telefonini, luce, corrente, cose che costano. Dove li prendi i soldi? Cosa danneggi per avere questo? La natura. Distruggi il rapporto fra uomo e natura”.
Liquidatorio Silvio Greco: “Cosa mettiamo dentro i nostri mari? Un’enorme quantità di contaminanti. Esistono isole di plastica grandi come la Francia. Nei fondali c’è un continente inquinato grande quanto l’Europa. Il risultato? Mangiamo ogni settimana 5 grammi di plastica: che poi è come inghiottire una carta di credito” E ancora: “ il mare è cambiato e cambierà ancora. Non è una buona cosa. Il mare è il grande regolatore del sistema planetario”.
Colpisce il racconto lucido e senza speranza di Ibrahima Samb. Racconta di come anni fa il governo del suo Paese puntò in modo massiccio sulla pesca. Vennero rilasciate licenze per ogni tipo di barca. Si stabilirono così in Senegal decine di aziende di trasformazione del pesce. Tutto questo senza dei limiti. “I soldi non si possono mangiare -osserva Ibrahima – abbiamo stretto accordi anche con l’Europa, dove il pesce scarseggia, ma se continua così dovremo accettare la triste realtà: moriremo insieme al nostro pesce. Noi siamo coloro che lo hanno sterminato con un abuso massiccio”. Un iper sfruttamento che nei grandi battelli d’alto mare non esclude nulla. I pesci piccoli non vengono più gettati in acqua ma vengono destinati al pet food.
“Abbiamo voltato le spalle al mare, tanto tempo fa -osserva Rym Benzima Bourguiba– Quando le cose non si conoscono non si possono amare né proteggere. Su chi si scaricherà lo scioglimento dei ghiacciai?La dilatazione causerà un forte innalzamento delle acque e questo si ripercuoterà sugli abitanti costieri del mondo e saranno costretti a rifugiarsi nell’entroterra”.
”Breath” è poetico e sconvolgente al tempo stesso. Immagini meravigliose di branchi in libertà si alternano a quelli di pesci gettati alla rinfusa dentro le enormi stive dei potenti traghetti che praticano lo strascico selvaggio. E’ il canto disperato di colei che, fanciulla cresciuta con il mare e divenuta adulta, guarda sgomenta ora il suo mare diventare una landa desolata. Un film da vedere più volte. Da mostrare nelle scuole perché l’allerta è diventata rossa e bisogna preoccuparsi per la salute di quelli che verranno.
Il futuro? “Si distruggerà prima l’uomo – preconizza amaro Francesco Congiu – poi il mare si ripopolerà. Questo non darà più pesci nè ossigeno: ma l’acqua resta e, piano piano, si purificherà. Mentre gli uomini scompariranno. L’idea non mi spaventa. Cosa si può fare? Sensibilizzare certamente. Se qualcuno mutasse d’atteggiamento, sarebbe già un bel risultato”.
Prima di tutto.
“Con il passare del tempo il mare si è fatto sempre più spoglio e silenzioso, da quel momento è cambiato qualcosa in me. Ho percepito che il mare stava cambiando. Lentamente, senza far rumore”. (Ilaria Congiu).
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