Cambridge Analytica: l’alibi perfetto per non fare politica

20 Marzo 2018

Ormai i fatti, quanto meno quelli forniti da Guardian, NY Times e dagli altri media dovrebbero essere conosciuti. Riassumendo: l’azienda privata Cambridge Analytica è accusata di aver acquisito da Facebook i dati personali di oltre 50 milioni di utenti e di averli utilizzati per profilare potenziali elettori e, successivamente, sottoporli, durante le presidenziali americane, a messaggi mirati ad accrescere in ciascuno determinati percezioni/sentiment/emozioni al fine di manipolazione a favore della vittoria di Donald Trump.

Facebook e Casa Bianca al momento negano ovviamente un diretto coinvolgimento/consapevolezza rispetto a quanto accaduto. I media (quanto meno americani, un po’ meno a casa nostra) ci si sono buttati a capofitto. I partiti politici italiani oscillano tra due approcci di eguale opportunismo, ovvero tra l’indignazione e il silenzio. Il popolo del web (più o meno profilato…) sposa al momento due atteggiamenti apparentemente opposti (Dove sarebbe la novità? Lo ha fatto anche Obama vs I social hanno ucciso la democrazia!), ma in ultima analisi convergenti rispetto al giudicare superflua e/o inutile qualsiasi attivazione.

E invece, a ben vedere, alcuni elementi dell’affaire Cambridge Analytica potrebbero indurre a ben altre posizioni e movimenti. Vediamoli:

 

Difficile chiedere ad altri di proteggere i nostri dati, se siamo noi i primi a non esserne particolarmente gelosi

Sembrerebbe che CA abbia acquisito i dati dei primi utenti attraverso un game online di profilazione psicologica. Siamo spesso annoiati o abbiamo bisogno di distrarci, dieci domande che alla fine ci dicono se siamo più “sportivi” o “pantofolai” non hanno mai fatto male a nessuno. Solo che qui non si tratta del quiz dell’estate dell’Espresso a cui si risponde sotto l’ombrellone e poi subito si dimentica. Ogni nostra preferenza, commento, simpatia è registrato e conservato dal social per un tempo indefinito. Lo sappiamo tutti, eppure allo stesso tempo non lo sappiamo. O fingiamo di non saperlo quando siamo annoiati o abbiamo bisogno di un diversivo on line. I social funzionano così bene perché, in fondo, assecondano il bisogno assai umano di raccontarsi ed esprimere i propri gusti, opinioni, interessi.

 

Poco importa quanto ciascuno protegga i propri dati, nella rete siamo tutti connessi

CA è accusata, tra le altre cose, di aver acquisito, a partire dai dati dei primi utenti, anche i dati dei loro contatti che pure non erano cascati nella “trappola” del quiz online. Intendiamoci, se confermato, è giusto considerarlo un atto illegale. Allo stesso tempo, questa è l’ennesima riprova di come sia davvero ingenuo oggi l’atteggiamento di chi pensi sia possibile, a livello individuale, tutelarsi da più o meno malevole invasioni di privacy. In altre parole, nell’era dell’accesso di Rifkin, disconnettersi, per giunta da soli, è praticamente impossibile, mettiamoci l’animo in pace.

 

Per tutti noi il wall coincide con il world

Non bastano 10 e passa anni di frequentazione dei social e nemmeno essere dei nativi digitali… Per ciascuno di noi è davvero molto complicato capire che le informazioni che riempiono la nostra pagina ogni giorno non sono che una piccolissima parte di mondo e, passaggio ancora più decisivo, una parte di mondo che è stata intenzionalmente organizzata in quel modo per me e solo per me. Qualsiasi tentativo di manipolazione, a partire da quello del mago che fa sparire il coniglio nel cilindro, si basa su quanto poco il destinatario della manipolazione sia consapevole del trucco.

 

Le percezioni sono importanti, ma non sovrastimiamole

Come dicevamo, un po’ come già avviene rispetto al tema delle fake news, da più parti si sta cavalcando il caso CA con un entusiasmo eccessivo e un po’ sospetto. Oppure si coglie l’occasione per ricordare l’analfabetismo o la supponenza con cui alcuni partiti (specie di sinistra) guardano al web, ai social, alla PNL… e in generale a tutto quanto riguardi la manipolazione del consenso.

Intendiamoci, le percezioni sono importanti, altrimenti non si capirebbe come da anni in Italia, pur calando quantitativamente omicidi e altri reati, cresca costante la paura di poter essere vittima degli stessi nei nostri connazionali. Sempre che, però, quella paura non sia da ascriversi unicamente a una percezione soggettiva, più o meno manipolata da media più o meno tradizionali, ma anche, ad esempio, alla crescente insicurezza sociale ed economica che, lungi dall’essere una percezione, è confermata da oggettivi dati di realtà.

Perché, ad esempio, non sono percezioni i dati sull’aspettativa di vita negli USA. Perché non sono percezioni le statistiche che non a caso riempiono Elegia americana di Vance . Perché chi ha votato Trump sarà stato anche manipolato, ma allo stesso tempo ha visto effettivamente peggiorare le proprie condizioni sociali ed economiche nell’ultimo decennio.

 

E se fosse l’ennesimo alibi per non confrontarsi con la realtà?

Così come per tutti noi è molto più facile scrivere un post infervorato (o un’approfondita analisi come la presente…) rispetto al confrontarsi con i lavoratori di una fabbrica che sta per essere delocalizzata, un quartiere in cui si vuole aprire un inceneritore o anche solo dialogare con chi vede in ogni persona di colore una potenziale minaccia, allo stesso tempo sarebbe in fondo assai più semplice per qualsiasi figura od organizzazione politica occuparsi solo delle percezioni e non della realtà. Se contano solo le prime, allora, potrebbero dire in molti, a che pro tentare di confrontarsi e trasformarla, la realtà? Non conviene a questo punto battere in ritirata, diventare degli abilissimi strateghi di psychological warfare, disporre della propria personale ed efficientissima Cambridge Analytica?

 

Spiacenti di deludere, ma le percezioni non sono poi così decisive.

Ad esempio, guardando a quanto successo nelle presidenziali americane o nelle recenti politiche nostrane, gli elettori avranno anche sovrastimato la minaccia migratoria o terroristica, ma se si incrociano i dati socio-economici e quelli di voto, si scopre che la “pancia” dell’elettorato è stata, a suo modo, assai razionale.

Oppure diversi studi concordano ormai sul fatto che le fake news impattino assai meno di quanto si pensi o si voglia far pensare.

Piuttosto, se vogliamo, individualmente e insieme, che i nostri dati siano effettivamente protetti, se vogliamo essere tutti ben consapevoli dei trucchi messi in campo da chi vuole manipolarci, se vogliamo infine che il mondo là fuori sia un po’ meno terribile, non resta che una sola strada…

 

Tornare a fare politica

Incredibile a dirsi, ma sembra funzionare.

TAG: cambridgeanalytica, fakenews, guerrapsicologica, Manipolazione
CAT: Big data

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