Cari imprenditori e manager: potenziate il vostro cervello con buoni romanzi

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22 Luglio 2017

Riannodate il filo della memoria, riprendete in mano I Buddenbrook e fermatevi nel punto in cui Thomas Mann, dopo aver fatto dire al signor Kesselmeyer, «un gioco da ragazzi! In quattro anni si può magnificamente andare in malora!», riporta la scena sul console Buddenbrook.

Lo descrive mentre guarda il signor Kesselmeyer «ad occhi socchiusi, senza né vederlo né udirlo. Egli non aveva espresso affatto, con le parole di prima, il pensiero sul quale in realtà rimuginava… Perché, si chiedeva sospettoso ma senza capire, perché tutto ciò proprio adesso? [Il genero] “B. Grünlich” si sarebbe potuto trovare già due, tre anni prima al punto attuale; lo si capiva alla prima occhiata. Ma il suo credito era stato inesauribile, aveva ricevuto capitali dalle banche, era sempre riuscito ad ottenere per le sue iniziative l’avallo di ditte serie come quelle del senatore Bock e del console Goudsitkker, le sue cambiali avevano circolato come denaro contante. Perché proprio adesso, adesso, adesso […] quel crollo da tutte le parti, quel ritiro di ogni fiducia […]».

Se riannodo il filo della mia memoria, questo passaggio mi riporta al 1987, quando lessi I Buddenbrook.

Avevo diciott’anni, ero uno studente diligente di Ragioneria e stavo imparando le basi del funzionamento dei sistemi economici e sociali. Leggere che già alla metà dell’Ottocento la «fiducia» poteva trasformare un titolo di credito (la cambiale) in denaro contante fu come buttare benzina sul fuoco della mia fantasia.

D’emblée, mi si aprì un mondo, ci entrai a piè pari e ci sono ancora dentro.

Due anni fa, mia moglie Margherita mi ha regalato l’audiolibro de «La vita davanti a sé» di Romain Gary, scritto nel 1975, e letto da Marco D’Amore. Non l’avesse mai fatto: l’ho ascoltato due volte; poi ho letto il libro in versione cartacea e l’ho regalato ad altre persone; poi ho cercato su Youtube il film del 1977 (in francese con sottotitoli in inglese) e l’ho già visto un paio di volte.

E ogni volta che ascolto, leggo o guardo «La vita davanti a sè», ci sono sempre anch’io là sulla scena insieme a Momò, e mi sembra quasi di essere come quei bambini che hanno visto talmente tante volte un cartone animato da riuscir ad anticipare le battute degli attori.

Perché a me e, ne sono certo, a milioni di altre persone, capita tutto ciò? La risposta ce la danno David Comer Kidd e Emanuele Castano, in un articolo apparso nel 2013 su Science.

L’ho scoperto a fine giugno, leggendo su Pagina99 un pezzo dal titolo «Cari manager leggete romanzi», che riprende l’articolo di Comer Kidd e Emanuele Castano dal titolo «Reading Literary Fiction Improves Theory of Mind».

La ricerca dei due studiosi dimostra che leggendo buoni romanzi, siamo trascinati dentro le storie e siamo indotti a immedesimarci nei personaggi (literary texts engage their readers creatively as writers). Poco importa quale sia il contenuto della storia (the content of fiction cannot account for these results). Quello che conta è che la lettura di romanzi di qualità porta a migliorare in modo stabile (suggest that reading literary fiction may lead to stable improvements) alcune nostre capacità affettive, come la capacità di rilevare e comprendere le emozioni degli altri, e cognitive, come la capacità di dedurre e descrivere ciò che gli altri pensano o hanno intenzione di fare.

Un ottimo allenamento per il nostro cervello.

D’ora in poi, quando ci ritroveremo assorti nel cercar di intuire come evolverà la storia che stiamo leggendo, o quando ci sentiremo anche noi lì accanto ai protagonisti della storia, avremo la conferma di avere tra le mani un buon romanzo. Chi tra voi ha letto «D’amore e ombra» di Isabel Allende, e si ricorda la strepitosa descrizione di Francisco Leal e Irene Beltrán quando entrano nella grotta e ritrovano il corpo di Evangelina, sa bene cosa intendo.

Fin qui tutto molto chiaro, molto interessante e fuori dal coro.

Resta da capire perché manager, e con loro imprenditori e professionisti in generale, dovrebbero dedicare del tempo a questo tipo di allenamenti. Detto in altri termini: chi sviluppa queste abilità «ci guadagna un po’ sul piano lavorativo»: leggere romanzi ci fa anche rendere di più sul lavoro?

Anche se in modo indiretto, involontario e fino a tre settimane fa anche inconsapevole, a questa domanda abbiamo risposto io, Alessandra Tognazzo e Fabrizio Gerli, in un articolo dal titolo «Fostering performance through leaders’ behavioral competencies: An Italian multi-level mixed-method study», pubblicato nel 2017 sull’International Journal of Organizational Analysis.

È un lavoro che cerca di capire quali sono le competenze imprenditoriali che impattano di più sulle performance delle imprese. Lo studio ha coinvolto un centinaio di imprenditori che hanno frequentato MBA Imprenditori di CUOA Business School e che occupano la posizione di leader nella propria azienda.

Emergono due gruppi di competenze distintive, cioè che pesano di più sui risultati dell’impresa.

Il primo è prettamente tecnico e riguarda le competenze che rendono più efficaci i comportamenti attinenti al ruolo di capo-azienda (task-oriented behaviors): orientamento all’efficienza, affidabilità, capacità di attribuire i compiti e di chiarire obiettivi e priorità, capacità di allocare le risorse in funzione delle reali esigenze. Chi riesce a fare queste cose, deve allenarsi nelle business school, leggendo libri di gestione d’impresa.

Il secondo, invece, riguarda le competenze che stanno alla base dei comportamenti orientati alle relazioni (relationship-oriented behaviors) e qualificano gli imprenditori che sanno supportare i collaboratori, sanno riconoscere i contributi altrui, sanno delegare e responsabilizzare le persone, sanno assumere il ruolo di coach o di mentor. Potremmo dire che sono persone capaci di «entrare nei personaggi della storia», di intrepretare le loro emozioni, di intuire i loro bisogni e di assumere ruoli diversi (capo gerarchico, collega alla pari, coach, mentor) a seconda del contesto. Sono esattamente quelle abilità che si possono allenare leggendo buoni romanzi.

E allora cari imprenditori e cari manager, leggete, e leggete tanti romanzi: saranno la migliore palestra per potenziare il vostro cervello.

[Nota: una prima versione di questa riflessione è stata pubblicata domenica 16 luglio su Monitor di Venezie Post]

TAG: Imprenditorialità, letteratura, Management, Romanzi
CAT: Imprenditori, Letteratura

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