Abc della Fabbrica Duttile

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7 Luglio 2016

Secondo il dizionario Treccani, l’aggettivo “duttile” può riferirsi sia a “un materiale che può subire, sotto l’azione di forze di trazione, deformazioni plastiche rilevanti in modo da poter essere ridotto con facilità in fili o anche in fogli sottili” (sono duttili metalli nobili come il platino e l’oro), sia a una persona che apprende con facilità, e che può applicare la propria intelligenza ad ambiti e settori diversi.

Da ingegnere alla guida di un’azienda manifatturiera, nel tempo mi sono occupato di duttilità soprattutto nella prima accezione del termine. Negli ultimi anni però ho iniziato a interessarmi sempre di più alla seconda accezione della parola. E ho capito che oggi, in un mondo globalizzato e competitivo, dove non esistono più rendite di posizione (almeno nel secondario) e dove la customizzazione è ormai un obbligo, una piccola azienda come la mia può sopravvivere solo se osa trasformarsi in ciò che definito fabbrica duttile. Si tratta di una lezione appresa con fatica, e che desidero condividere.

Ovviamente sono tante le PMI manifatturiere ibride che potrebbero essere definite duttili. Entrando un po’ più nei dettagli, mi riferisco a quelle aziende lontane dalle tipiche fabbriche specializzate nella produzione di massa di un unico prodotto, per quanto di altissimo livello. Fabbriche che invece sanno usare le stesse risorse e competenze per fare prodotti e/o servizi molto diversi tra loro. Fabbriche furbe, veloci, allenate alla multidisciplinarietà. Fatte per progettare, prototipare e produrre pezzi unici o piccole serie (magari ad alto livello di personalizzazione), da vendere poi sui mercati globali.

Il fondamento di qualsiasi fabbrica duttile sono, naturalmente, le persone che vi lavorano: uomini e donne con background professionali e formativi spesso diversi, ma accomunati dall’intelligenza, dalla multidisciplinarietà e dal desiderio di imparare; persone con una forma mentis elastica, plastica, che sanno mettersi in discussione (l’umiltà è un metodo più che una virtù, come diceva Cartesio), e che reagiscono in modo positivo e proattivo al cambiamento.

La duttilità del personale diventa la personalità dell’azienda. La fabbrica duttile, quindi, è l’azienda intelligente, che grazie a un sapere e a un saper fare diffusi sa adattarsi a mercati in costante evoluzione, ed è in grado di affrontare con successo sfide nuove anche in ambiti nuovi. Questo non significa diluire la propria offerta produttiva in mille rivoli, perché la tuttologia non è purtroppo di questo mondo; alla capacità di apprendere si deve affiancare la consapevolezza dei propri limiti, perché l’obiettivo è offrire una gamma di soluzioni limitata ma di grande pregio, affidabilità e spessore innovativo. In altre parole non si deve passare dall’iper-specializzazione del passato a una genericità un po’ vacua, ma rispondere alle domande di alcuni mercati con una sorta di multi-specializzazione intelligente.

D’altra parte la richiesta di customizzazione e personalizzazione (termini come bespoke sono ormai un leitmotiv nel nostro business) implica quanto già teorizzato dall’economista Stefano Micelli, autore del bel saggio “Futuro artigiano”. Ossia la necessità di aziende con una doppia anima, artigiana e digitale: laddove non arriva la potenza abilitante delle nuove tecnologie provvede la sapienza perfezionatrice e affinatrice dell’artigiano, e viceversa, in un’integrazione virtuosa, spesso a “geometrie variabili”. Ma in entrambi i casi “alla guida” c’è sempre l’intelligenza della persona.

Duttilità come metodo, dunque. Con due ricadute importanti. La prima è la preferenza per un’innovazione aperta, che accetti il fallimento. Ciò significa a) imparare a prototipare l’innovazione, in un’ottica try-and-learn che ammette l’errore, purché su scala limitata e purché lo si sappia trasformare in esperienza e nuova conoscenza b) contaminare le proprie idee con quelle delle altre imprese, degli enti del territorio, delle startup e dei centri di ricerca, senza timori né insicurezze. La seconda ricaduta è l’attenzione per il cliente, e la concreta possibilità di plasmare il proprio sapere e il proprio saper fare sui suoi bisogni, desideri e richieste. Customizzare, alla fine, significa questo.

La fabbrica duttile sa osare. Oltre a esplorare nuovi saperi e nuove tecnologie, non teme di esplorare nuovi mercati, perché l’ignoto comporta dei rischi, ma può riservare enormi opportunità di business agli audaci prudenti. Il desiderio di esplorare però deve conoscere il vincolo della concretezza di cui si accennava prima, e anche quello delle risorse; tuttavia quest’ultimo vincolo è ben più elastico, perché la fabbrica duttile, grazie al suo patrimonio di intelligenza, riesce a ottimizzare le proprie risorse, riuscendo a fare di più con quello che ha.

TAG: bespoke, customizzazione, fabbrica duttile, HSL, innovazione
CAT: Innovazione, PMI

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