Il mito dei liberal Piketty è gialloverde o rossobruno?

11 Settembre 2018

Il valore delle categorie analitiche su cui si fonda l’attuale dibattito pubblico italiano è evidente anche dalle etichette attribuite agli avversari; immagini e parole sportive, che infatti denotano il quotidiano derby del reciproco rinfacciamento.

In questi anni, fra le citazioni dei progressisti europei e italiani, e nelle loro librerie, non sono mai mancati richiami al solito pantheon di pensatori economici: su tutti, i premi Nobel Krugman e Stiglitz, e poi, ad aggiungersi, i paladini Marianna Mazzucato e Thomas Piketty. Questi ultimi, anche per ragioni generazionali, imperversavano ricevendo inviti televisivi, per quanto propugnassero idee anti-mainstream; certamente molto più citate che condivise.

In questi giorni, “La Repubblica” ha pubblicato un articolo dell’economista francese (L’Ue mostri il suo lato Pop), in cui egli ribadisce la propria visione e la applica all’analisi delle questioni italiane del momento. In sintesi: in Italia esiste una coalizione di governo fra due partiti che hanno, l’uno, un radicamento negli strati geografici e sociali più affaticati dalla crisi economica e, l’altro, nelle tensioni e convulsioni egoistiche che essa ha amplificato per esempio in relazione a tasse e immigrazione. Questo ha prodotto un “cocktail ideologico” micidiale che rischia di propagarsi ulteriormente.

Ma attenzione: la tenuta di questo abbraccio apparentemente contro natura, è dovuta e favorita dalla stessa Ue e dal modo in cui si è comportata nell’ultimo decennio. Le politiche da essa imposte, infatti, ignorando, e anzi rintuzzando, il malessere economico e la frustrazione sociale dei cittadini continentali, hanno generato un conflitto tra centro e periferia geografica e anche metaforica (tra ceti, tra “elites” e “popolo”) che si sta sempre più consolidando e, chiaramente, se lasciato libero di correre non porterà a nulla di buono.

Queste tensioni, non rappresentate e poi mal rappresentate, infatti, prima diffuse all’est, in seguito nella periferia meridionale, si propagano ora, come il caso svedese e tedesco dimostrano, fino nel cuore dell’Europa che – aggiungo io – ha già sperimentato dinamiche e traiettorie simili.
Piketty termina con un messaggio di speranza: ossia che l’Ue, avendo compreso tale dinamica, ponga fine alla propria teutonica ottusità, e cambi politiche repentinamente, interrompendo tale processo, e riscoprendo il suo “lato pop(olare)”.

Poichè questo autore negli anni recenti è stato citato fino al luogo comune in ogni narrazione progressista anche nostrana, si ritiene che l’articolo debba essere stato letto e compreso da una gran parte della attuale opposizione.

Nondimeno, la condivisione di tale scritto prevede la accettazione delle analisi implicite che contiene. Per esempio: assumere che l’Ue ha promosso politiche economiche che hanno favorito i suddetti processi, significa ammettere che le politiche di austerità, condivise e difese strenuamente, sono errate e hanno contribuito, oltrechè alla devastazione della Grecia, al cattivo andamento dell’economia italiana, al suo non riuscire a risollevarsi dalla crisi, alla diffusione delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali.

Allo stesso modo, sostenere che l’Europa non ha arginato il malessere diffuso nei paesi di primo approdo nei confronti dei fenomeni di immigrazione, significa, mentre da un lato si osserva il comportamento dell’attuale governo che ferma inopinatamente le navi in mezzo al mare, anche constatare la evidente “ipocrisia” – afferma Piketty – del governo francese che chiude i confini all’ingresso, e di quello spagnolo che pattuglia le spiagge.

Insomma, nella sostanza, l’economista sostiene ciò che, nè più nè meno, sostengono alcuni apolidi della sinistra italiana, a turno tacciati di rossobrunismo o di gialloverdismo: che sia necessario e anzi improrogabile, per salvarsi dalla diffusione incontrollata dei “populismi”, produrre una reale e sostanziale differenziazione interna all’Ue in senso progressista. Ossia accettare che le politiche adottate in questi anni sono state sbagliate e cambiare direzione, per non restare stretti tra l’Ue dello status quo e la rabbia montante.

Certo, questo imporrebbe di produrre analisi con un certo grado di esplicita critica ed eventualmente di autocritica. Da oggi, in ogni caso, per lo meno si capirà chi condivide le opinioni sollevate da Piketty e chi, invece, smetterà di citarlo.

Facendo un pò di ordine nel groviglio culturale di questi anni, forse, prima o poi si vedrà una lucina anche politica, là in fondo al tunnel.

TAG: europa, Germania, Unione europea
CAT: Istituzioni UE

3 Commenti

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  1. enrico-bonfatti 6 anni fa

    Però la UE ha promosso quelle politiche economiche perchè i trattati su cui si fonda glielo impongono. Se obiettivo fondante è: a) il contenimento dell’inflazione e solo in seconda battuta il perseguimento di una “piena occupazione” compatibile con bassi tassi di inflazione; b) il divieto alla limitazioni di merci servizi e capitali di ogni sorta; c) il divieto per gli stati di indebitarsi oltre un certo limite; è normale che: a) paesi che avrebbero bisogno di un’inflazione più alta (Grecia) di altri (Germania) b) che i capitali e il lavoro si rarefacciano dove il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) è più alto, cosa che succede nei paesi con strutture produttive un po’ più arretrate di altre e i cui stati magari si pongano come obiettivo la tutela dei diritti del lavoro (Grecia, Italia) e c) che la raccolta di risparmio si diriga verso impieghi più da sala scommesse che produttivi (vedi le varie crisi bancarie), processo che l’assenza di rischio conseguente alla rigidità del cambio (euro) favorisce in modo plateale. ERgo “fare un’altra europa” vuole dire rivedere i trattati da capo a fondo tenendo ben presente queste cose. Ce li vedete questi 27 paesi mettersi d’accordo oggi su principi diversi da quelli sbandierati per 35 anni e firmare accordi ispirati a principi socialisti?

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  2. silvia-bianchi 6 anni fa

    Non mi pare che siano solo i “gialloverdi” o i “rossobruni” a sostenere che le politiche adottate dall’UE in questi anni siano sbagliate: in realtà lo dicono un po’ tutti, dagli europeisti convinti agli eurofobi più accaniti. La differenza, ovviamente, sta nell’analisi delle ragioni per cui tali politiche sbagliate sono state promosse e nelle soluzioni proposte.

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  3. gianmario-nava 6 anni fa

    Se capisco bene ciò che dice Enrico Bonfatti non sono le politiche dei trattati che sono sbagliate ma la politica di implementazione degli stessi. Le politiche prevedono di ovviare ai guasti citati
    ma la Germania, una certa parte della politica tedesca, si è sempre opposta a rispettare i limiti al surplus e a socializzare i guadagni puramente finanziari, tanto maggiori quanto gli altri affondavano, che il sistema ha generato. Certo sono effetti collaterali del sistema Euro ma dobbiamo riconoscere che senza quel sistema la Germania sarebbe stata sempre fortissima e la Grecia debolissima, per non parlare di un Est Europa allo sbando. Ora, con l’Euro e con la UE, abbiamo uno spazio e strumenti per evitare di risolvere i problemi con la guerra. Ucraina insegna.

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