editoria
Il Titanic di carta
Mentre la barca dell’editoria italiana fa acqua da tutte le parti, con i potenziali lettori in fuga per altri lidi, riparte l’orchestrina della stagione dei festival e dei premi.
Eccoci qui, giunti quasi a metà del 2025, a contemplare le macerie fumanti dell’editoria italiana mentre i vertici del settore sorseggiano prosecco nei salotti letterari, brindando alla “resilienza culturale”. Un termine elegante per dire che la nave affonda, ma almeno lo fa con stile.
I dati del primo trimestre 2025 parlano chiaro: vendite di quotidiani in calo del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una diffusione cartacea che ormai sembra più una reliquia archeologica che un mezzo d’informazione. “Extra! Extra! Nessuno legge più le notizie extra!”, potrebbe titolare un giornale, se solo ci fosse qualcuno a leggerlo.
Il panorama dei libri non è certo più roseo. Le vendite in libreria sono diminuite del 12,3% nei primi mesi dell’anno, mentre l’e-book, che doveva essere il salvatore della patria letteraria, ristagna a una quota di mercato del 7% – percentuale che, per inciso, include anche tutti quei download gratuiti di classici che la gente scarica per darsi un tono intellettuale sul proprio dispositivo, accanto alle app di giochi e social media.
Si sa, la propensione alla lettura degli italiani ha toccato un nuovo minimo storico: solo il 34% della popolazione dichiara di aver letto almeno un libro nell’ultimo anno. E scommettiamo che la metà di questi sta mentendo, nascondendo il fatto che quel “libro” era in realtà un manuale d’istruzioni o un menu particolarmente verboso.
Ma non temete! L’industria editoriale italiana ha la soluzione perfetta: ignorare completamente la realtà. Perché affrontare il problema quando puoi organizzare un altro festival letterario? Il calendario editoriale 2025 è più affollato che mai: dal Salone del Libro di Torino alla Fiera della Piccola Editoria di Montepulciano, dal Festival degli Scrittori Incompresi di Bellagio alla Sagra della Pagina Intonsa di Casteldimonte.
In questi santuari dell’illusione letteraria, editor e autori si stringono la mano con vigore, discutendo animatamente dell’importanza culturale dei loro prodotti, mentre i potenziali lettori – quelle rare creature mitologiche – vengono attirati con l’esca suprema: la firma dell’autore! Perché non c’è niente di più eccitante che possedere un oggetto che probabilmente non leggerai mai, ma che porta uno scarabocchio illeggibile di qualcuno che hai visto una volta in TV. “Vendiamo l’idea di possedere qualcosa di unico, non necessariamente l’esperienza di leggerlo” potrebbe dire uno di questi manager che provano a barcamenarsi sulla tolda della nave che affonda.
Il culto del libro firmato è ormai l’ultima spiaggia dell’editoria in crisi: gli editori sperano che ci siano sempre più file interminabili di persone che sborsano 25 euro per un volume che finirà in bella mostra nella loro libreria IKEA, fotografato per Instagram e poi dimenticato per sempre. Nel frattempo, contano i soldi, diversificano e fingono che questo sia ancora un modello di business sostenibile.
La verità è che l’industria editoriale italiana continua a curare una malattia cronica con cerotti griffati. Mentre il pubblico potenziale continua a svanire nel nulla, sedotto dalle sirene di TikTok e dalle maratone di serie TV, i grandi gruppi editoriali continuano a proporre le stesse ricette: bestseller internazionali tradotti in fretta e furia, influencer trasformati magicamente in scrittori, e qualche premio letterario autocelebrativo per sentirsi ancora culturalmente rilevanti.
E così, mentre i numeri continuano inesorabilmente a scendere, l’orchestra dell’editoria italiana continua a suonare sul ponte del Titanic, organizzando presentazioni, vernissage e dibattiti sul “futuro del libro” a cui partecipano sempre gli stessi addetti ai lavori, parlando a una sala semivuota di altri addetti ai lavori.
Ma hey, almeno abbiamo le firme degli autori! Quei preziosi scarabocchi che trasformano un prodotto invenduto in un feticcio da collezione. Perché in fondo, l’importante non è leggere, ma possedere. Non è comprendere, ma esibire. Non è la cultura, ma il suo simulacro.
E l’editoria italiana va avanti così, in questa grande illusione collettiva, aspettando un miracolo o, più probabilmente, l’ultimo lettore.
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