Non è Speranza, è il virus

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14 Aprile 2021

Da ormai mesi si assiste a una quotidiana campagna contro il ministro Roberto Speranza. Quando la crisi innescata da Matteo Renzi e Italia Viva sul MES- di cui nemmeno Mario Draghi  ha usufruito, mostrando quanto fossero inconsistenti le critiche di IV- ha portato alle dimissioni di Conte e alla nomina di Mario Draghi, i critici si aspettavano un deciso cambio di passo nella gestione della pandemia, rimpiazzando quindi Speranza.

Il ministro Speranza, infatti, è accusato di essere il principale sostenitore, all’interno del governo, della linea dura nel contenimento del virus. Non solo: le misure invocate da Speranza non sarebbero prese sulla base di dati scientifici e di valutazioni quanto più oggettive, ma sarebbero motivate da interessi ideologici e strettamente politiche. Le dimissioni di Speranza, quindi, porterebbero a maggiori aperture in grado di dare una boccata d’ossigeno a settori- come quella della ristorazione- che da mesi vivono in una situazione estremamente delicata. Una corrente più estremista è arrivata addirittura a mettere in discussione le stesse misure restrittive. Secondo questa narrazione, il lockdown aumenterebbe la household transmission, di fatto non contribuendo al contenimento del virus.

Quanto hanno di vero le critiche mosse al ministro Speranza? Ben poco in realtà.

Partiamo dalle misure di confinamento e dalla loro efficacia. Su questo tema ho scritto in maniera più approfondita su YouTrend con Lorenzo Ruffino. Qui ne darò una spiegazione più concisa.

In primo luogo le misure restrittive- che ovviamente variano da paese a paese per intensità e per le differenti applicazioni- sono necessarie per bloccare la trasmissione del virus. La diffusione del contagio, come ormai si sarà capito, è un fenomeno sociale. Gli infetti hanno contatti- a lavoro, al bar, a scuola- con i suscettibili che quindi si infettano e diffondo, a loro volta, il contagio. L’obiettivo delle misure restrittive è ridurre il numero di contatti, agendo sul numeratore dell’esponenziale che descrive l’andamento di un’epidemia. Poiché parliamo di un fenomeno esponenziale- ovvero un fenomeno che dipende dalla quantità di persone infette presenti nella popolazione- un minor numero di infetti porta la curva a piegarsi. Proprio perché, essendoci meno infetti, la probabilità di incontrarne uno diminuisce.

Alcuni paesi hanno preso una strada diversa dal lockdown generalizzato. Svezia e Brasile con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Altri, come la Corea del Sud, hanno implementato una strategia di Testing and Tracing aggressiva in grado di arginare la diffusione del contagio con misure meno stringenti.

L’efficacia delle misure di contenimento non è, quindi, in discussione. Si può, al massimo, discutere di particolari limitazioni: ad esempio quella sul divieto di attività motoria se non nei pressi della propria abitazione. Ma bisogna sempre tenere a mente ciò che, qualche mese fa, scrisse l’epidemiologo Adam Kucharski: abbiamo bisogno di discussioni sulle policy da adottare, invece si discute sulla realtà dei fatti.

La critica che si può svolgere a Speranza e, in generale, ai governi Conte II e Draghi è quella di non aver implementato le misure di contenimento in modo tempestivo. Come scrissi qui su Gli Stati Generali, nella seconda ondata avevamo bisogno di un lockdown nazionale il 15 di ottobre. L’Italia a zone arrivò due settimane dopo. Chiedersi quante vite si sarebbero potute salvare implementando quelle restrizioni in tempo è una di quelle domande di cui parlò Simone de Beauvoir: non avendo la forza di ascoltare le risposte, meglio non farsele.

Veniamo ora alla situazione di questi ultimi mesi. In Italia la B.1.1.7., la variante inglese, associata a una maggior trasmissività e, probabilmente, a una maggior severità, era già prevalente a metà febbraio in certe regioni, come mostra la mappa sotto riportata.

Abbiamo visto, in UK, quali effetti può avere questa variante. Ospedali al collasso, migliaia di morti al giorno. Se avessimo preso delle misure più blande per tempo, come io stesso che di certo non sono un esperto, ci saremmo risparmiati morti e sofferenze. Anche nel resto d’Europa, ovviamente, i paesi sono corsi ai ripari per via della B.1.1.7. La Germania, che sembra intenzionata a eradicare il virus, è in lockdown da dicembre e vi rimarrà, probabilmente, fino a maggio/giugno. Il Regno Unito è recentemente uscito da un lockdown di quasi 4 mesi: lo stesso Johnson ieri ha dichiarato che proprio le restrizioni hanno contribuito a migliorare la situazione, non la campagna vaccinale. Qualcuno ha affermato che le restrizioni in UK sono state meno stringenti rispetto all’Italia. I dati, però, dicono altro.

Grafico di Matteo Villa, ricercatore ISPI

 

Di certo il ministro Speranza ha commesso errori nella gestione di questa pandemia, così come la struttura sociale e la situazione della Sanità italiana non hanno aiutato. Criticare il ministro Speranza è legittimo. Ma le critiche che gli vengono rivolte in questi giorni si basano, appunto, su una mistificazione della realtà.

Le chiusure non sono causate da Speranza. Sono causate dal virus.

 

 

TAG: dimissioni, Draghi, lockdown, Speranza, virus
CAT: società

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