Con il compasso della mia parola, misuro il mondo. Cercando l’eleganza perduta

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2 Gennaio 2022

Eccola che arriva a farmi compagnia, ritorna come da un viaggio lontanissimo…la mia inquietudine…che mi tiene all’erta, rende la mia presenza vibrante, mi ricorda che sono viva.
Chiudo gli occhi e provo ricordare le sensazioni, i miei stati d’animo, i colori che mi spingevano ad agire in fretta, a farmi attraversare, a non arrendermi alla ragione, a non morire.
Il mio sguardo non può spegnersi, il mio sguardo ha sempre vissuto di passione per tutto, anche per ciò che non doveva. Non posso tradirlo con i paraocchi, veleno instillato dai manipolatori emotivi.

La mia inquietudine, quando mi passa a trovare, senza preamboli, punta dritta al cuore. Ci diamo un da fare eroico per comportarci come i migliori animali sociali, tutto un adattarsi alla famiglia, alla società, allo stare seduti composti. Ma, quando ti innamori pazzamente della vita, non riesci ad obbedire alla legge, al copione, non te ne importa niente, dopo un po’.

L’amore ci avvicina alla vita, l’amore ci allontana dalla vita ma è sempre lì al centro di noi.
Vince chi ama di più, perché rimane vivo…i suoi pensieri, le sue emozioni sono piene, respirano ferine, irresistibilmente forti.
Amo il disordine, perché l’ordine maniacale, il mio inconscio lo percepisce come la morte, mi terrorizza, lo combatto con tutte le mie forze.
Voglio terminare la mia recita terrena con un cuore che ha amato tanto ed è rimasto disordinato perché ha conservato ogni taglio, ogni graffio, ogni lacrima versata, ma pienamente sentita.
Gli sbagli che ho fatto possono diventare le mie lezioni di vita più importanti, ma ne rifarò di peggiori probabilmente, perché sono questa, una tormentata, non riesco a non sedermi al tavolo da gioco della vita, e giocare con le carte che mi sono state date. Una è la mia natura, dannatamente inquieta, ma a cui riconosco la bontà, la perseveranza e la coerenza di bastare a se stessa, di fare male il meno possibile a chi ama a chi incrocia, a chi la stringe, a chi la sente.
Credo nel perdono della vita stessa, della sua magnanimità, di quel che è stato senza ghigliottina. Non ho mai volutamente e convintamente cambiato il compasso con cui misuro il mondo. L’apertura massima verso il mondo è la mia parola. Io seduco con la parola, io amo con la parola, io vivo di parole, io muoio con le parole.
Il mio fascino è la parola , la reggo con le mie labbra, la nutro con i miei occhi, la filtro con il mio cuore.
Ma non la dimentico, la fermo su di un foglio, la faccio mia per sempre.
Solo così poi posso distaccarmene.
La mia inquietudine a volte mi porta a spasso, ci sediamo in  riva al mare, le onde sbattono sugli scogli, e lei si agita, mi urla di non starmene zitta, di parlare, di non arrendermi. Decido di ascoltare lo “sciauro” che rigira i pensieri, il sangue, la vita.
La rimescola, la leviga, la insaporisce, la indurisce, la possiede, la strapazza, la fa tremare, lo osserva, la placa per un po’, la culla per farla riposare, ma non la doma.
Questa carta mi è stata data quando qualcuno ha aperto la mia partita con la vita, al tavolo da gioco io e
la mia inquietudine siamo due sette di cuori…due sette di vita.

Con il mio compasso, che disegna parole, vado alla ricerca dell’eleganza perduta. L’eleganza, quel mix di grazia e disinvoltura che non attiene esclusivamente al vestire bene, indossare capi di lusso. La griffe da esibire esasperatamente. Ad ogni costo.

Quel modo di essere così ostentato, ricercato, emulato. Svilito, ormai. Dimenticato.
Anche un incedere sicuro, cadenzato, pulito, può essere elegante: come un calcolo aritmetico che va avanti senza incertezze. Solca la vita, superando i naturali ostacoli che vi si presentano, inevitabilmente, durante lo scorrere della stessa. Ciò che frattura l’eleganza della interiorità, che si traduce poi in turpiloquio dell’esteriorità, in eccessi ed atteggiamenti stereotipati che non ci appartengono ,è il divario tra ciò che pensiamo e facciamo. Il nostro essere sbilanciati dalla parte del pensiero, quando la pancia ci dice altro. Stimolando in maniera compulsiva la parte del nostro cervello razionale, giudicante, che divide e separa. Condanna.
Ritrovarsi uniformati alla cultura collettiva delle sicurezze, della forma intesa come elemento imprescindibile per affermare il proprio Io; asserviti agli ordini sociali che non ammettono errori.
Elegante è provare ad indagare se stessi, accogliendo, con comprensione, le proprie durezze, debolezze e perché no, incapacità. Permettendosi di poter compiere passi in direzioni inesplorate, guidati da curiosità di sperimentare senza chiusure.

Voglia di costruire sentieri da percorrere con i propri ritmi, le proprie priorità. Senza lo spasmodico desiderio di paragonarsi alle vite degli altri, per uscirne sconfitti e frustrati. Ignorando quelli che sono i propri talenti, le proprie virtù. L’eleganza della mera esteriorità diviene così presto superata, rimossa , se non appartenente ad una armonia interiore. Esistono uomini e donne giudicati come “eleganti” semplicemente perché indossano ed accostano capi d’abbigliamento di qualità, non accessibili a chiunque. Pezzi unici, a volte, disegnati e realizzati appositamente per soddisfare le richieste viziate di ricchissimi fashion victims. Poi esistono uomini e donne che non essendo schiavi di se stessi e dell’apparenza che, se basata prettamente sul desiderio di stupire, diviene artificio, volgarità ed implode scomparendo, manifestano in maniera quasi inconsapevole la propria mascolinità o femminilità.

Nutrendola di spontaneità nel modo di porsi; sobrietà nel modo di vestire; sicurezza nell’incedere.
Anche un sorriso accennato può risultare elegante. Anche un risata inaspettata ma di gusto è elegante. Uno sguardo interessato, appassionato e scevro da pregiudizi e sovrastrutture sterili è elegante. Tutto ciò che ci pervade di bellezza interiore ed esteriore è elegante. La moda, come canale di comunicazione per eccellenza della esteriorità, assolve ad un compito molto importante con delle responsabilità enormi sui messaggi che trasmette. La moda è bellezza.

La bellezza della autenticità che passa anche dal corpo adornato con estro, sobrietà, scenicamente o in  semplicità.
Ciò che ci permette di poter definire un uomo od una donna eleganti è la rispondenza tra pensare e agire. Con il contorno del corpo che costituisce lo specchio di quella armonia non attribuibile alle tendenze, al piattume del pensiero, ad uno status sociale mostrato come trofeo che diviene ben presto fonte di insoddisfazione cronica , se non sostenuto da curiosità culturale, onestà e rispetto di se stessi ed altrui.
L’eleganza perduta, non è solo nel modo di vestirsi. L’eleganza è uno stile di vita, ormai scartato, da dover riscoprire. Per fare ciò occorre nutrire l’anima. Si sa, la bellezza dell’anima che si colora ancora di passioni è elegante. Un’anima elegante, non passa mai di moda.

E lo spartito musicale di cui si compone, permette ancora di ascoltare meravigliose melodie di vita.

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CAT: Qualità della vita, relazioni

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