Diario di un’attrice: un’intervista a Federica Bognetti

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9 Maggio 2023

Venerdì 19 e Sabato 20 maggio ad Alta Luce Teatro andrà in scena “Diario di un’attrice – alla ricerca di momenti di essere”, spettacolo teatrale di e con Federica Bognetti, liberamente ispirato da “Diario di una scrittrice” di Virginia Woolf.
Lo spettacolo, un flusso di coscienza sui temi di memoria, creazione e guerra, è il secondo di una trilogia (La trilogia della creazione) e prende ispirazione da “Diario di una scrittrice” di Virginia Woolf. Il lavoro pone l’attenzione sullo scambio continuo di punti di vista tra l’ attrice, Virginia Woolf e alcuni personaggi della vita (la madre Julia) e delle opere dell’autrice (La madre di Jacob in “Jacob’s Room”).

Abbiamo parlato dello spettacolo con l’autrice e attrice Federica Bognetti.

“Diario di un’attrice” parte dal diario di una scrittrice, Virginia Woolf, considerata, per i suoi scritti e lo spirito precursore dei tempi, un’icona del femminismo. Cosa ti ha portato a scegliere questo personaggio?

Nel prologo dello spettacolo faccio a me stessa questa domanda: “che cosa si è in scena? Un personaggio, una persona, un’attrice, energia? Tutte queste cose insieme?” Essendo il tema della creazione e del processo creativo centrale nel diario della Woolf e tema forte anche del mio spettacolo sicuramente posso dire di non avere trattato Virginia come un personaggio o come un ruolo nel senso classico. Piuttosto nella stesura della mia drammaturgia e nel portarla poi in azione ho proprio voluto che i confini tra me attrice e Virginia non fossero mai netti. Chi mi vede deve poter rimanere nell’incertezza di chi stia effettivamente parlando.

È l’attrice o è il “personaggio” Virginia? O forse è una Terza Creatura che nasce dal loro incontro?  A guidarmi e a spingermi a lei sono stati i temi presenti nel suo diario e che sono ciò’ che abbiamo in comune. Tramite il suo diario io ho scritto il mio attraverso il linguaggio del teatro. Per questo, trattando temi come quello della creazione o della memoria non ho sentito un divario temporale.  Siamo due donne, due persone. L’artista Virginia ha portato nel diario le sue domande riguardanti la forma; le sue riflessioni sui doveri dell’artista; affida ai suoi diari le sue cadute e le sue incertezze per poi ritrovarsi “al di sopra del tempo e della morte perchè mi sento di nuovo in vena creativa”. Cit. V.W. Diario di una scrittrice.  Mi sono specchiata, a mia volta, in  questi temi e mi sono chiesta cosa mi riguardasse veramente. La scena diventa il luogo del mio processo creativo. Mi sono sentita molto vicina a lei come donna e artista proprio perché’ alle pagine del diario Virginia confida il suo pensiero più’ intimo: la vera vita è nell’arte, nel processo; la vita vera è quando si scrive, quando si crea.

Viviamo in un periodo storico in cui – finalmente – in tanti, donne e uomini, si interrogano a livello artistico, sociale, politico, sul ruolo della donna e gli ostacoli ancora presenti rispetto al percorso di parità di genere. I tempi di Woolf erano decisamente meno favorevoli all’espressione artistica e alla piena realizzazione femminile, ma anche oggi, secondo molti, i limiti sono tanti. Che significato ha portare in scena una riflessione su questa figura?

La creazione è lo spazio segreto che ogni essere umano dovrebbe poter coltivare per sollevare la propria anima. Sappiamo pero’ che il processo creativo  necessita di  circostanze favorevoli. In “Le Tre Ghinee” e in “Una stanza tutta per sè” la Woolf mostra tutte le limitazioni che impediscono alle donne di creare. (Nel mio spettacolo NON sono presenti riferimenti a queste opere). La spinta a creare è spinta di vita. Per gli artisti è complicato trovare le condizioni ottimali per lavorare. Ma, nonostante tutto, continuano a creare perchè “rimangono incatenati alla loro roccia” (cit. Diario di una scrittrice), la creazione appunto.

Per quel che  concerne il tema  dell’espressione artistica e l’indipendenza necessaria, non faccio una distinzione tra donne e uomini. Mi spiego meglio: oso dire che oggi la figura dell’ Artista in generale corrisponde a ciò’ che era la Donna all’epoca di Virginia Woolf. L’artista oggi fatica a trovare La Stanza tutta per sè, che è anche indipendenza economica che la/lo rende consapevolmente indipendente nello sviluppo del suo pensiero e nella sua ricerca, non asservito a nessuno. Sempre in ambito artistico vediamo che non esiste un welfare che garantisca diritti ai lavoratori dello spettacolo. Un’ attrice non ha nemmeno un sussidio di maternità’.  Oggi Virginia, forse, parlerebbe anche di questo. Trovo che non sia un caso che nella nostra società’ gli artisti siano colpiti dal disinteresse della politica. Sono proprio gli artisti coloro che possono portare un cambiamento concreto e dare alle persone,  attraverso le loro azioni artistiche, attraverso la didattica, gli strumenti per modificare il pensiero.  In “Diario di un’attrice” è presente una scena che incarna la solitudine dell’artista, la sua forza e la sua volontà’ di trasformarsi in “una mente che pensa”. Con tutto quello che significa “pensare”.

Sicuramente leggere le parole che Virginia affida al suo diario mi ha spinta a iniziare questo viaggio per abbandonarmi a vivere la mia pagina bianca;  Mi esorta a credere nella mia indipendenza creativa, accettando e comprendendo il senso del mio essere un outsider. Non faccio parte di un sistema di potere. Ho una scelta davanti a me: sentirmi schiacciata dall’esserne esclusa oppure scoprire le mie risorse e cavalcare la mia libertà’. Lei stessa si definiva un outsider. Creare è la risposta proattiva alla cultura patriarcale. Quello che possiamo fare è rispondere attraverso il linguaggio artistico proponendo una diversa idea di mondo. La Woolf, inoltre, diventa un esempio perché’ lotta contro due nemici. Lotta contro un nemico esterno, la società dell’epoca e lotta contro il suo nemico interno che la tiene “avvinta a letto” il nemico che le fa dire “ ho visitato di nuovo i regni del silenzio”. Queste dinamiche distruttive, che sono ormai interiorizzate da tutt@ noi, sono forse anche loro figlie di una cultura patriarcale Ecco che torno a dire che la spinta a scrivere, recitare, dipingere, fare regia… ci sottrae a dinamiche interiorizzate  e l’anima finalmente può’ volare. Ovviamente questa è una riflessione filosofica. Poi dobbiamo confrontarci con le varie micro realtà’ e micro società’ presenti nella nostra vita quotidiana.

La pièce ha un forte carattere metateatrale. Interrogarsi su Virginia e sul suo processo creativo porta a un approfondimento del processo artistico autoriale e attoriale in scena. Quali sono i punti di contatto e quali le differenze più evidenti nella genesi creativa a cavallo di due epoche?

Io scrivo relativamente da poco tempo. E la mia scrittura esiste per essere messa nel corpo e nella voce, nello spazio e nel tempo. Ho passato mesi a nutrirmi del suo diario e delle sue opere, come Le Onde e Momenti di essere che, non a caso, è il sottotitolo del mio spettacolo – Essere o non essere  è un tema che attraversa il teatro da secoli – . Ciò che mi interessava, e che cercavo da tempo di concretizzare, è uno dei cardini della scrittura della Woolf,  il flusso di coscienza. E di nuovo torna “Una mente che pensa” e che, in questo caso, ‘dice il pensiero ad alta voce.” In teatro, un training interessante per l’attore quando è in fase di ricerca, è quello di fare Speak out, dire ad alta voce esattamente quello che sente, quello che sta facendo. In merito all’epoca. Virginia era una voce, appunto, fuori dalle altre voci! Era nel suo tempo ma lo sovrastava. E questo si esprimeva nella ricerca incessante dello stile, della forma. E questo è per me un tema caldo.

Virginia era un’artista che ascoltava l’atmosfera del suo tempo ( fondo’ insieme alla sorella Vanessa e ad altri membri del gruppo Bloomsbury, come Roger Fry, gli Omega Workshop dove la creazione era a tutto tondo e fuori dai canoni.) Anche se le novità artistiche in Europa arrivavano qualche  tempo dopo in terra inglese quelle novità’ scorrevano già’ nel suo sangue, quei cambiamenti erano già’ vivi in lei. Le  forme già usate non bastavano; ma non si trattava di una velleità: la forma è anche sostanza; il “come” vuole  rispondere ad  un’idea che ancora non si sa cosa sia. Allora si prova, ci si ascolta, si fa una pausa, si torna in sala, si cancella la lavagna finché non c’è un’adesione tra l’idea e il mezzo, il modo. Nel prologo dico “io non so quello che farò…vorrei che questo spettacolo contenesse dialogo, canzone, poesia…”  e questo è uno dei miei desideri continui in relazione al mio teatro. Sono le stesse cose che Virginia chiedeva a se stessa.

Il sottotitolo dell’opera è “Alla ricerca di momenti di essere”: questo lavoro ti ha portata a elaborare anche un percorso individuale sull’essenza dell’essere attrice in scena? E può, a tuo parere, il processo creativo, rappresentato sul palcoscenico, avvicinare più facilmente il pubblico ad un approfondimento sul sè rispetto ai temi essenziali dell’essere quotidiano?

Essere o non essere, verità o imitazione della vita, immedesimarsi o guardare da lontano. Sono questioni per me sempre aperte, non c’è una risposta certa. Non c’è metodo o approccio che mi diano la garanzia che ciò’ che faccio in scena è vero poichè la ricerca di questa verità è la ragione dello stare in scena. E che cos’è la verità? Ci sono degli strumenti che mi possono aprire e aiutarmi nel percorso. Ma la cosa fondamentale è arrivare in scena con domande aperte e non con risposte o certezze. Lavoro da sola ai miei progetti. Significa che studio, immagino, scrivo, entro in sala, sola. Seguo una traccia, compongo, da sola. La sua domanda è bellissima. Perchè c’è sempre un indirizzo a cui mandare ciò’ che si fa. Quando sono nel ruolo di pubblico, credo e sento se assisto a qualcosa di vivo. Vivo è per me qualcosa che cambia, che si trasforma, qualcosa che è nel qui e ora e al contempo non qui e non ora. Vivo è qualcosa che trasporta e mi accompagna a vivere un’esperienza e a fare delle associazioni, ad aprire delle domande dentro di me. Vivo è per me qualcosa che si contraddice, che non è risolto.

Il mio esperimento, attraverso questo spettacolo, è quello di stare, di dialogare tra il voler essere e il non essere. Desidero sfidarmi nel mio modo di stare in scena; desidero seguire la stella cometa dei temi e non la Luna bugiarda delle emozioni. E se esse nasceranno saranno una conseguenza della vita organizzata in scena. Il mio nome è Cassandra e Diario di un’attrice, alla ricerca di momenti di essere sono due spettacoli sulla creazione. Entrambi vedono un’attrice come protagonista. Non posso farne a meno. Non a caso giro con Gabbiano di Cechov in borsa. Diario di una scrittrice dove la protagonista è l’autrice stessa è dal mio punto di vista uno dei più bei “romanzi” della Woolf.

 

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CAT: Eventi, Teatro

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