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Partiti e politici

Affinché possa cessare l’agonia del PD

di Emanuele Telesca
14 Giugno 2019

Il silenzio del PD e del suo segretario Nicola Zingaretti in merito alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto Luca Lotti è imbarazzato, certo, ma non sorprendente. L’afasia Democratica scoppiata dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 si è protratta sino al 4 marzo 2018 quando, a seguito della debacle elettorale, si è aggravata in un assoluto mutismo. Da quasi diciotto mesi attendiamo che il maggior partito di opposizione batta un colpo. Qualcuno ha creduto di vedere nei risultati delle ultime consultazioni europee e amministrative un segno di guarigione. Ma si è trattato di un falso allarme, una suggestione che si è diffusa in ampia parte della stampa e dei commentatori. La realtà è che prosegue l’emorragia di voti e di consensi che affligge i dem, parzialmente contenuta grazie allo spessore delle candidature messe in campo capaci addirittura di realizzare il sorpasso ai danni del M5S. Il problema è che l’andatura è dettata dalla lepre Lega Nord, al momento irraggiungibile per chiunque.

Fanno sorridere le esternazioni di numerosi esponenti del PD volte a sottolineare l’esigenza di riallacciare il dialogo ora con questa e ora con quella parte della cittadinanza. Si susseguono le veline dal tenore pressoché identico ma dai destinatari più eterogenei. “Torniamo a parlare ai lavoratori”, “Guardiamo ai moderati”, “Ripartiamo dai giovani”, “Tendiamo la mano ai pentastellati delusi”, “Ripartiamo dalla sinistra”. Mi torna alla mente una delle frasi epiche del film Matrix: a che serve telefonare quando uno non è neanche capace di parlare? Per un partito che ha smarrito il dono della parola, e nelle rare volte in cui lo riacquista è per lanciare strali tra le correnti nel proprio seno, invitare al dialogo è un esperimento naif. Sempre che tweet e post non vengano confusi con l’avvio di un ampio dibattito nazionale alla Macron.

Il Partito Democratico ha smarrito la propria identità e la propria vocazione, se mai ne ha avuta una. I primi mesi della segreteria Zingaretti sono lì a dimostrarlo: il compito non sta tanto nel rilanciare il partito quanto nel tenerne assieme i pezzi, contenendo le pulsioni di chi vorrebbe imbarcarsi in nuove avventure, procedendo a vista senza inimicarsi questa o quella corrente. Sparito il sistema elettorale maggioritario, affondato il bipartitismo, la soluzione più logica appare quella di mettere fine a questo PD. Come suggerito da alcuni politologi potrebbe rivelarsi più opportuno ritornare ad una situazione ante 2008 spendendosi per una coalizione di centrosinistra che comprenda più soggetti capaci, ognuno per le proprie inclinazioni e sensibilità, di unire il fronte progressista rappresentandone le molteplici istanze e peculiarità, catalizzandone le voci disperse in mille rivoli. Proseguire col teatrino delle leopolde e dei gigli magici gioverebbe unicamente alle destre a cui è stato concesso sin troppo vantaggio.

lega nord m5s Nicola Zingaretti Pd
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