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Partiti e politici

Il voto tra centro e periferia: i nodi globali e i vuoti locali

di Luigi Di Gregorio
31 Maggio 2019

Ormai ciclicamente ci fingiamo sorpresi per lo scarto tra voto “metropolitano” e voto “periferico”, il primo premiante per la sinistra, il secondo per la destra. In realtà, questo fenomeno va avanti da anni e coinvolge ormai diversi sistemi politici occidentali, non solo il nostro: Usa, Francia, Regno Unito ad esempio. E sistematicamente si (ri)tira in ballo la frattura “città-campagna”, un’ipotesi degli anni ’60 del secolo scorso che faceva risalire la genesi di alcuni partiti al conflitto tra settore primario dell’economia (campagna) e settore secondario (città). Cerchiamo di fare chiarezza una volta per tutte: quella frattura era basata sull’economia reale e aveva a che fare con la rivoluzione industriale e la conseguente urbanizzazione. Quella di oggi non può avere nulla a che vedere con quella dicotomia. Siamo nella società più terziarizzata di sempre (1 lavoro su 20 è nell’agricoltura e 1 su 5 nell’industria), la nuova urbanizzazione avviene a causa dei servizi e del terziario avanzato, la società è sempre più psicologica e sempre meno incentrata sull’economia reale.  Ciò significa che se c’è una polarizzazione dicotomica tra voto nelle grandi città e voto periferico, questa chiama in ballo prima di tutto variabili psicologiche, (sovr)alimentate dall’ecosistema mediatico, da “immagini” più che da “realtà”.  
Per tradizione (e abitudine) si continuano a leggere i comportamenti di voto utilizzando parametri tipicamente novecenteschi che non funzionano più: reddito, patrimonio, livello di istruzione. Quei fattori non spiegano perché in periferie molto ricche la Lega abbia il picco di voti o perché Salvini sia votato trasversalmente da tutti i livelli di istruzione. È ora di abbandonare quei criteri e di fare i conti con l’individuo contemporaneo: la mente politica è una mente emotiva, scriveva Drew Westen, e la società narcisistica di oggi è tutta incentrata sul percepito e sulla psicologia dei singoli. È molto frequente che si voti contro i propri interessi materiali, ad esempio. Se c’è una ragione che spiega quello scarto di voti, è lì che va cercata, nel nostro mondo psico-morfo, nel modo in cui percepiamo e interpretiamo le informazioni. E se proprio dobbiamo recuperare una delle tradizionali linee di frattura, la più interessante è quella culturale non economica: centro-periferia. Che diventa, nella globalizzazione, centri (nodi globali) – periferie (vuoti locali).
Nei “centri” regnano l’alta finanza, i mass media, l’editoria, il marketing, la pubblicità, lo show business, l’industria culturale, le agenzie internazionali. Sono “eventifici” di grande richiamo per la società dei consumi e sono l’architrave del terziario avanzato. In quel mondo lì prevale la sinistra liberal e global, il politicamente corretto, il modello universalista e “sovranazionalista”. Ma, per far funzionare quel mondo, in primis mass media e società dei consumi, occorre vendere informazioni e prodotti alimentando paure, rabbia, ansia e insoddisfazione. Senza quei motori, non c’è crescita perché non c’è consumo. Così facendo, per mere logiche di mercato, di concorrenza e di sopravvivenza, il mondo global ha creato i suoi anticorpi. Ha creato non tanto gli “sconfitti della globalizzazione”, quanto gli “invidiosi (e i timorosi) della globalizzazione”, coloro che vivono ai margini di un “telepresente” virtuale e ne subiscono tutte le ricadute emotive, incrementando incertezze e paure identitarie, senso di precarietà e di impotenza di fronte ai continui allarmi del “villaggio globale”, invidia sociale verso le elite globali.
C’è qualche altra ragione per cui Trump, Salvini, Le Pen o Farage trionfano con tematiche anti-immigrazione proprio laddove ci sono meno immigrati residenti?  Chi non ha modo di vivere un fenomeno direttamente, ne subisce solo il frame mediatico. E quest’ultimo è per definizione allarmante e sensazionalistico, altrimenti non vende. O ancora, c’è qualche altra ragione (che non sia l’immigrazione sempre in agenda politico-mediatica) per cui in tutto l’occidente si sovrastimano le presenze straniere rispetto ai cittadini, dei musulmani rispetto agli appartenenti ad altre religioni, dei delitti violenti a fronte di una loro continua decrescita?
Non c’è nulla di sconvolgente in questo sdoppiamento del comportamento di voto (centro-periferia), è in realtà un’eredità sistemica ed “evolutiva” della società dei consumi e della società della comunicazione. Seguendo le loro logiche basilari, hanno creato il loro opposto. E ovviamente qualche imprenditore politico ha intercettato quel target e lo cavalca a fini elettorali.
E spesso vince. Perché in una società egocentrica, spaventata, precaria e insoddisfatta, investire sulle paure e promettere protezione e riscatto sociale è di fatto una killer application: una narrazione cucita su misura per l’individuo contemporaneo, che cerca pillole psico-terapeutiche per sentirsi più sicuro, meno solo e più centrale in un mondo nel quale si autopercepisce come “periferico”.  

 

Credits: il grafico sulle europee 2019 è di YouTrend. 

elezioni europa matteo salvini politica
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