Non è solo Trump vs. Biden. Le elezioni americane del 2024
Ci siamo quasi. Mancano sei mesi al “primo martedì successivo al primo lunedì di novembre” quando, come vuole la Costituzione americana si terranno le elezioni. […]
Sul merito dell’iniziativa politica di Giuliano Pisapia – il Campo Progressista – ho già scritto in passato; ma l’intervista che ha concesso a RepTV mi ha fatto nascere qualche perplessità anche sul metodo.
L’ex sindaco di Milano insiste sul fatto che il suo non sarà un partito (perché “sarebbe contrario al mio modo” e poi “i partiti oggi non hanno quell’appeal, secondo i sondaggi hanno un livello di fiducia del 3%“), ma vuole diventare una “casa” per quel mondo di centrosinistra – “sindaci, amministratori, centri culturali” – che non si riconosce nei partiti attuali.
E’ però chiaro che l’operazione di Pisapia non è di tipo culturale: ci saranno le officine delle idee per la stesura del programma, ma lo scopo principale è avere un ruolo di rappresentanza parlamentare e soprattutto di governo (“voglio federare un nuovo centrosinistra per non abbandonare il Paese alla destra o al Movimento Cinque Stelle“).
Di qui l’ambiguità: con quali meccanismi verranno selezionate le idee da inserire nel programma tra le tante, forse non tutte compatibili, che emergeranno dalle officine? Chi sarà, nel non partito, a porre i “paletti” per le possibili alleanze e a scegliere i candidati?
Le anime belle obietteranno che l’importante sono i contenuti; i nomi e i programmi elettorali verranno dopo. Sono pienamente d’accordo: ma è essenziale che le procedure per deciderli siano chiare e condivise fin dall’inizio o si rischia che l’asino caschi proprio sul più bello, cioè al momento della formazione delle liste; e queste procedure, comunque le si vogliano chiamare, sono nella sostanza lo statuto di un partito.
Schifare la “forma partito” è molto di moda, da Mani Pulite in avanti: non lo era quello di Berlusconi; non lo è il M5S; persino i fuoriusciti del Pd, frammenti del suo organigramma, si definiscono pudicamente “Movimento” (anche se, per ora, l’unico movimento percettibile è lo spostamento dei parlamentari da un punto all’altro degli emicicli di Camera e Senato). Ma ammantarsi dell’aura del “civismo” può diventare un trucco per nascondere la polvere dei dissensi sotto al tappeto, per camuffare una macchina elettorale messa al servizio di un autoproclamato leader e dei suoi cooptati o per ingentilire un’ammucchiata di ceto politico in cerca di seggi parlamentari.
Spero che i tanti che – a dire di Pisapia – si stanno avvicinando con entusiasmo al Campo Progressista siano consapevoli di questi rischi e che qualcuno intenda mettere il problema sul tavolo. Certamente la costruzione di un partito è un lavoro lungo, poco affascinante e complicato, soprattutto se il tempo a disposizione è poco (anche per questo sarebbe meglio che le fasi fondative non avvenissero in vista delle elezioni…); ma è l’unico modo per garantire che le idee di ciascuno abbiano una chance democratica di affermarsi.
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.