La speranza di rivedere le ‘ragazze di Chibok’, mentre tornano libere 300 donne

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29 Aprile 2015

Una campagna con una vasta eco. Al momento #bringbackourgirls è entrata nella storia con questa onorificenza mediatica. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale ha avuto un impatto importante, facendo affiorare quella che è la minaccia di Boko Haram, il gruppo jihadista che sta seminando terrore e morte nel nord est della Nigeria. L’organizzazione è stata a lungo ignorata – colpevolmente – dall’occidente. Tuttavia la verità resta ineludibile: dopo oltre un anno non c’è traccia delle “ragazze di Chibok”.

Sintetizzo i fatti, perché nel marasma delle news quotidiane rischiano di essere dimenticati. Il 14 aprile del 2014 l’organizzazione islamista ha compiuto uno degli atti peggiori da quando ha avviato la sua offensiva: il rapimento di 276 studentesse a Chibok, nello Stato del Borno la roccaforte di Boko Haram che in quei territori ha fatto proseliti, sfruttando povertà e ingiustizie sociali. Ma nelle ultime è arrivata una notizia che fa ben sperare: circa 300 donne sono state ritrovate nella foresta di Sambisa, nel Borno, dopo l’arretramento dei guerriglieri comandati da Abubakar Shekau. A quanto pare non sono le studentesse rapite, ma ciò non sminuisce il valore della liberazione: si tratta di tante giovani e meno giovani che tornano ad avere una vita dignitosa.

La mobilitazione globale di #bringbackourgirls , sui social e non solo, ha così prodotto quindi quel fascio di luce che ha irradiato dramma, senza che però le autorità nigeriane riuscissero a risolvere il problema liberando le giovani finite in mani ai jihadisti. L’anniversario è stato celebrato con una grande attenzione in tutto il mondo e soprattutto in Nigeria. Oltre alle manifestazioni c’è l’aspetto sociale e militare, a lungo ignorato dal governo centrale. Una posizione che è costata cara all’ex presidente Goodluck Jonathan.

La Nigeria ha infatti eletto un nuovo presidente, affidandosi all’ex dittatore di metà anni Ottanta Muhammadu Buhari, di fede musulmana. Non è stato proprio una svolta epocale, visto il profilo del leader asceso (o meglio dire tornato) al potere, ma resta un cambiamento nei confronti del passato. In particolare per quanto riguarda la lotta al terrotirmo. Di recente il presidente, che entrerà in carica il 29 maggio, ha rilasciato una vera e propria dichiarazione di guerra.

Boko Haram non ha nulla a che fare con la religione. Sono terroristi e ci accingiamo a trattare con loro come si trattano i terroristi. Nessuna religione permette l’uccisione di bambini in un dormitorio della scuola, nei mercati e nei luoghi di culto. La frode chiamata Boko Haram può essere sconfitto negando una base di reclutamento.

Le parole di Buhari sono molto dure e arrivano soprattutto da una figura accusata dagli avversari di ‘parteggiare’ segretamente per i terroristi di Boko Haram. L’aspetto principale del discorso, tuttavia, risiede nel principio di “sottrarre” la base di reclutamento all’organizzazione islamista. In altre parole, la prima vera guerra da combattere è quella della povertà che ingrossa fila dell’estremismo. Solo in un secondo momento è necessarie la guerra sul campo, quella che – per intenderci – deve consentire il ritorno a casa delle ragazze di Chibok, coronando la campagna #bringbackourgirls.

Insomma, la partita in Nigeria è complessa ma fondamentale perché, nonostante la lontananza geografica, tocca molto da vicino il mondo occidentale. Da Abuja, difatti, può arrivare un modello politico da seguire. Sempre nell’auspicio che il generale-presidente non ceda alle antiche tentazioni autoritarie.

TAG: boko haram, nigeria
CAT: Africa, Questione islamica

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