Dagli Urali alle piramidi, la resistibile ascesa dello Zar Putin

17 Marzo 2024

La resistibile ascesa di Vladimir P. era prevedibile e quali possono essere le chiavi di lettura? 25 anni di potere assoluto possono essere distinti in almeno due fasi. Una prima fase è identificabile tra 1995 e il 2000. In quegli anni si stava guadagnando strada Anatolij Aleksandrovič Sobčak, giurista e docente del Dip. di Common Law in Socialist Economics che intercettò il giovane Putin negli ultimi anni ottanta e lo cooptò nel suo gruppo che contribuì alla stesura della Costituzione Russa dopo lo scioglimento dell’URSS nel 1991. Sindaco di S. Pietroburgo, e pur destinato a incarichi di alto rilievo, fu fermato da una serie di scandali e costretto a rifugiarsi in Francia. Nel frattempo il suo vice Putin accedeva alla presidenza del Consiglio e poi dopo la morte di El’cin  a quella della Repubblica. Il secondo step, consolidamento del potere interno, fu l’alleanza con il “mondo degli affari”, coagulando attorno a sé affaristi, o reduci del KGB, a caccia delle risorse della Russia. Con costoro, poi definiti oligarchi, raggiunta la cupola del potere, P. stabilisce una sorta di patto di ferro in cambio del loro esplicito sostegno e dell’allineamento indiscusso con il suo governo. Affari, vecchie amicizie di comodo, uomini del KGB, ognuno aveva il suo preciso ruolo come Vladimir Litvinenko o l’amico d’infanzia e insegnante di judo, Arkadij Rotenberg. Negli anni, la struttura oligarchica è rimasta coesa con un’abile mediazione. I più riottosi venivano anche incarcerati, utilizzando la leva del crimine fiscale, come un antico sodale come Michail Chodorkovskij della Jukos. I più fedeli come Alexei Miller, Igor Sechin e pochissimi altri erano posti alla dirigenza delle principali compagnie petrolifere, GazProm, Lukoil, Rosneft.
La terza fase è la proiezione esterna, inizia dopo il 2001, con rapporti personali di natura politica con George Bush jr. e in Europa con Angela Merkel, mentre cresceva il rapporto, in odore di petrolio, con Berlusconi, Erdogan e Gheddafi. In quel periodo, l’espansione ideologica-militare dell’URSS si mimetizza di attività commerciale e affaristica con l’Eurasia. Da qui origina la promozione del CSTO, Collective Security Treaty Organization, un patto di organizzazione militare a sei Paesi, che vede in Nursultan Nazarbayev il principale alleato e il Kazakhstan la principale fonte di approvvigionamento di oil. All’epoca, il dittatore kazako, assai simile a P., era uomo della nomenklatura sovietica, infarcito d’ideologismo vetero-stalinista, ma non gli mancava la conversione verso più convenienti e fruttuosi paradigmi del nuovo secolo. Ne derivò un deciso indirizzo di integrazione eurasiatica, che vede il Kazakhstan in prima linea nel quadro dei principali organismi intergovernativi guidati dal Cremlino: la già citata Organizzazione per il trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO) e la Comunità economica eurasiatica (Eurasec), pilastri della costruzione del colosso eurasiatico.

Nasce l’EurAsia politica 

In quegli anni, in Putin si percepisce la volontà di costituire un’area economica, politica e perché no anche militare comune tra Russia, Kazakhstan, Bielorussia, Kirghizistan e Tagikistan (e forse Armenia e Moldavia) che inizialmente avrebbe dovuto includere anche l’Ucraina, anch’essa cruciale in questo gioco di interscambi ma poi il Paese fu schiacciato dal conflitto. L’EurAsia infatti altro non è che una riedizione del Patto di Varsavia in chiave moderna, basata su patti economici in prevalenza sul settore energetico.

Ma la guerra in Ucraina che trova le sue origini nel 2014 con l’annessione dei territori essenziali per l’accesso al mar d’Azov, cambia tutto e trasforma una guerra regionale in un vero e proprio conflitto europeo che poi coinvolge l’economia e la finanza mondiale. Questo accelera la costituzione dei BRICS e lo sguardo di Putin ora si volge verso l’Africa per un primo coinvolgimento e successivamente per creare legami economici e politici che farebbero della Russia il collante politico di una mega area politicamente inserita nei BRICS : l’EurAfrica che fa pendant con l’EurAsia ma con potenzialità emergenti assai più considerevoli, come quelle demografico-politiche. Si assiste in quello scacchiere ad un recente youth bulge con una sorprendente finestra demografica che consentirà al Continente di ridurre considerevolmente la dipendenza senile e infantile. Basti pensare che le risorse umane lavorative raggiungeranno a breve il culmen di 700 milioni di nigeriani e più di un miliardo nell’intero continente. La rispondenza di questa esplosione demografica è ben visibile nel prospetto economico che mostra notevoli incrementi del GDP di numerosi paesi africani e le loro incoming possibilità, future quando le criticità attuali siano state sanate, come il debito africano.

Di questi, alcuni sono considerati “chiave” nel determinismo economico-politico africano. Innanzitutto il Sudafrica, da sempre la più grande economia africana in termini nominali, con un PIL stimato di quasi 400 miliardi di dollari e difatti subito tra le nazioni fondatrici dei BRICS. Le risorse minerarie sono state oggetto di intenso interesse in epoca coloniale e ora rappresentano quasi il 60% delle esportazioni totali nella prima metà del 2023 data la estrazione di oro, diamanti, platino, manganese e altri minerali.

Fig. 1 Classifica del GPD dei primi 10 paesi africani.

Subito dopo il Sud Africa, la Nigeria il cui GDP si aggira sui 395 miliardi di dollari. Attualmente il calo della produzione di petrolio e l’inflazione che dilaga ci consegnano un’economia in relativa crisi ma sarà la sua esplosione demografica a renderla protagonista tra alcuni decenni. Ci sono certamente criticità in numerosi altri Paesi ma le previsioni sono comunque favorevoli e in linea con la crescita demografica. L’attuale crisi non risparmia l’Egitto, specie per la dipendenza del paese dalle importazioni di cibo da Ucraina e Russia. Secondo il FMI, l’inflazione di fondo in Egitto ha raggiunto quasi il 40% nel 2023, mentre l’inflazione alimentare ha superato brevemente il 70%. Né attualmente è in buone acque l’Algeria, quarta classificata, con una produzione economica del paese, pari a 239 miliardi di dollari. Emergerà senz’altro anche l’Etiopia, quinta classificata, la cui agricoltura rappresenta oltre il 40% del GDP del paese, pari a 192 miliardi di dollari, con il caffè prodotto di maggiore esportazione, senza escludere l’estrazione dell’oro e delle pietre preziose, importante diversificazione dell’economia del paese. Queste criticità tuttavia non impediscono il ruolo di cerniera nella fase di adesione ai BRICS la cui futura banca di sviluppo (New Development Bank) sanerà i debiti in cambio di fedeltà politica.

Le mire di P. dunque sono imperialiste e continentali e fanno parte di un piano perfettamente predisposto in epoca non sospetta. Non più le ambizioni territoriali e di confine europeo di Stalin, bensì longa manus stabile sull’Eurasia e potenziale mano destra sull’EurAfrica alla quale può accedere solo controllando il Mar Nero e il Mediterraneo Orientale. L’EurAfrica è il suo “contro-Piano Mattei” per proiettare l’ombra russa ad Ovest sull’Europa, a Sud sull’Africa e ad Est sull’Eurasia, nel mentre che nel Continente asiatico il profilo economico della Cina appare in difficoltà crescenti e per converso quello demo-politico dell’India in pieno sviluppo.

 

TAG: Economia e Geopolitica, Eurafrica, eurasia, Valdimir Putin
CAT: Africa, Russia

2 Commenti

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  1. paolo-fusi 1 mese fa

    Bellissimo ed importante articolo. Grazie di cuore

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  2. aldo-ferrara 1 mese fa

    Carissimo Paolo, Ti ringrazio delle Tue parole con le quali è più facile dire anche a sè stessi ” tiremm innanz”. AF

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