Mondo
La libertà? Mi scusi, che cos’è?
Come è facile dimenticare che cosa sia la libertà e come sia difficile difenderla oggi
Era il 1986 quando uscì lo spietato film di Denys Arcand Il declino dell’impero americano. Il film era canadese, quindi scritto e diretto coll’occhio del vicino di casa, per di più francofono, piuttosto critico nei confronti del vicino anglofono ingombrante, spaccone ed esibizionista.
I rapporti matrimoniali e amorosi sono la metafora utilizzata da Arcand per descrivere la fragilità di un patriarcato imperiale e imperialista, ormai superato dalla Storia, che oggi solo può sopravvivere in regimi oscurantisti come quelli mediorientali e derivati, non a caso dove la religione impone dogmi e costumi.
Perché oggi, a distanza di quarant’anni, può essere utile rivederlo? Il risveglio di questo imperialismo patriarcale americano, ove per americano si intende usoniano, usando una sineddoche per molti americani fastidiosa. E già, perché l’America, anzi le Americhe, sono due continenti ben precisi, e anche gli argentini o i messicani hanno tutto il diritto di sentirsi americani. Ma quando si dice Make America great again, per America si intende unicamente gli U.S.A., ossia una parte, forse consistente per l’America del Nord, ma, se proprio vogliamo fare le pulci, il Canada è più esteso degli U.S.A. e il Brasile di poco inferiore. Eppure viene anche cantato God bless America, ed è un dio piuttosto esclusivo, com’è sempre stato, anche nella Bibbia, libro osceno alla base di tutti i conflitti: il dio biblico era quello degli eserciti, che voleva vendetta, che uccideva i suoi figli se non era soddisfatto del loro libero arbitrio, che proteggeva il suo popolo eletto e che gli apriva il Mar Rosso per tornare nella terra promessa, no? Lo stesso dio benedice Donald Trump (dice lui), che si sente investito direttamente dalla divinità per riportare l’America (ossia gli U.S.A) a una grandezza imperiale insidiata da tutti, prima tra gli altri l’Europa, seguita dalla Cina. MAGA. Acronimo stampato perfino sul cappellino da pirla che viene esibito ovunque e in ogni momento per far capire che l’artefice di questo progetto è solo lui, il Superdonald.
Non è Putin, non è più la Russia il nemico principale della grandezza usoniana, e nemmeno l’Iran o il Medio Oriente, dove c’è sempre qualcuno che fa la guerra santa all’altro, anche tra gli stessi mussulmani. L’Europa, pur così divisa ma essendo un’unione economica, è il maggior avversario di un impero che vuole risvegliarsi dal declino senza capirne le ragioni profonde. E, proprio perché divisa, è da mantenere così: divide et impera. All’imperatore non interessa un alleato forte e compatto ma piuttosto tanti piccoli leccaculi, lo ha detto lui stesso, vengono a baciarmi il culo, la principale dei quali è la nostra Giorgia superstar, la pontiera, se l’è scelto lei. È il ruolo degli adulatori del Principe, proprio coloro da cui il Principe machiavellico dovrebbe guardarsi, ma a quanto pare anche Rutte, altro ciclopico adulatore, e gli altri, tranne Sánchez, pensano che sia meglio così, è un culo estremamente ambito. E l’imperatore, che sta cercando di risalire una china abbastanza erta, sempre di più, e che s’illude che poi il conto lo pagheranno gli altri, incrementa questo lecchinaggio colle sue follie economiche, agitando lo spauracchio dei dazi e della difesa senza una visione razionale a largo raggio. È l’incubo americano, baby.
La struttura fragile dell’Europa, davanti a blocchi imperiali come gli U.S.A., la Cina e le frattaglie della Russia, è particolarmente cara all’imperatore che fa di tutto per mantenerla divisa e servile nei suoi confronti. E, per farlo, le spara grosse, dichiarando di voler impadronirsi della Groenlandia e del Canada, espressioni geografiche senza senso, secondo lui. E, se da un lato si vuole espandere a Nord, verso il sud delle Americhe preferisce erigere muraglie, memore di Qin Shi Huang (259 a.C. – 210 a.C.), imperatore della Cina che voleva impedire le invasioni degli Unni e dei nomadi in generale nel suo Celeste Impero. Rendere l’America grande di nuovo però con dei limiti, a tutto c’è un limite, tranne che alle sue manie di grandezza. I muri vengono sempre eretti da imperatori, anche per il Vallo di Adriano fu così. In questo delirio simil imperiale s’inseriscono anche le smanie condominialmente provinciali di Giorgia, che voleva imporre il famoso blocco navale nel sud del Mediterraneo, assecondata dall’ineffabile Salvini, altro pseudo imperatore di una Padania inesistente che credeva di avere sessanta milioni di figli: ve lo ricordate, poveretto, il suo delirio di paternità italica? Non l’ha più detto, gli serviva per propaganda sua personale, imperatore di una provincia sempre più provinciale. Ma c’era sempre la voglia di spezzare le reni di qualcuno, il manuale su cui hanno studiato è quello.
Ecco, è un po’ complicato spiegare il servilismo adulatorio di Giorgia e Salvini, che governano (governano?) nella stessa maggioranza, l’una ancella di Donald, l’altro fan sfegatato di Wladi, tanto da farsi stampare felpe e magliette colla sua effigie. Forse, in casa, avrà anche quadri con Putin ricamato a punto croce in ogni stanza, forse anche un capezzale a cui indirizzare le preghiere della sera.
Qualche tempo fa ho sognato che una statua di Salvini era portata in processione in una festa paesana, e i paesani tutti neri africani vi appendevano rosari d’ogni tipo e d’ogni forma mentre a breve distanza un’altra vara recava santa Giorgia vestita di nero collo stellario in capo, trafitta dai pugnali dei suoi dolori. Non me lo sono fatto ancora smorfiare, forse dovrei?
Alla gente sembra che gli imperatori piacciano, almeno a buona parte della gente che vota.
Ricordo, essendo un’anticaglia, che negli anni Settanta, quando andavo al liceo e avevo quindici anni, che i libri di lettura preferiti tra i secchioni erano vari: al primo posto Siddharta (mai sopportato) di Hermann Hesse , Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach (estremamente sopravvalutato, che io chiamavo “il fagiano J.L.”), due favole che agli adolescenti in erba potevano piacere perché fornivano dei modelli alla moda in quegli anni, e poi, udite, udite, due classici della filosofia psicanalitica moderna, dello stesso autore: L’arte d’amare e Fuga dalla libertà, di Erich Fromm. Se non li leggevi eri fuori dai giochi. Oggi, invece, non ho idea delle sciocchezze che leggano gli adolescenti per essere in maggioranza così anestetizzati. Forse perché non leggono, troppo impegnati a scrollare il minimonitor del telefono, o si limitano a fumetti bizzarri, guardando solamente le figure. Magari non tutti, per carità, ma dubito che le comitive di giovani che affollano le serate delle movide leggano qualcosa d’interessante.
Fuga dalla libertà. Oggi dovrebbe essere estremamente attuale vista l’accondiscendenza delle masse a un generico sovranismo, a una fascinazione per i regimi autoritari e illiberali, quasi non fossero capaci di discernere che le libertà che abbiamo oggi siano una conquista di chi ha lottato ieri per averle. Molti le danno per scontate e pensano che siano inossidabili perché fanno ormai parte del corredo etico, comportamentale, culturale dell’Occidente. No, non lo sono, e Fromm lo spiega benissimo nel suo saggio che, perbacco, è del 1941, ma che riletto oggi è inquietante. Essendo uno psicologo Fromm indagò sulle ragioni di questa smania delle masse per il nazismo e per i fascismi allora (così come oggi) assai in voga. Ma perché c’è quest’attrazione fatale per l’uomo forte, l’imperatore, il dittatore? Perché la libertà fa paura, in quanto implica una presa di coscienza e di responsabilità che l’uomo comune preferisce delegare a una persona forte, perché l’uomo comune forte non è e preferisce il conformismo come rifugio. Andate a parlare coi leghisti o coi fratelli d’Italia, sono la fiera del conformismo, irrecuperabili, hanno avuto fatto il lavaggio del cervello. Probabilmente era già difettoso in partenza, quel cervello.
Comunque, ai miei tempi di anticaglia, Fuga dalla libertà, a distanza di trent’anni dalla sua prima pubblicazione e in un decennio segnato dal 1968, rappresentava una lettura formativa, anche perché forniva delle risposte e una via per evitare di fuggire, appunto, dalla libertà, riprendendosi le proprie responsabilità.
Oggi sarebbe una lettura da rendere obbligatoria nelle scuole. Ma con ministri come quelli che abbiamo è un’eresia. Anzi, prima o poi aspettiamoci un rogo alla Savonarola delle opere eretiche.
In tutto ciò il declino dell’impero americano, ormai avviato senza speranza, si può riassumere in queste parole di Fromm:
“Il diritto di esprimere i nostri pensieri, tuttavia, ha un significato solo se siamo capaci di avere pensieri nostri; la libertà dall’autorità esterna è una conquista duratura solo se le condizioni psicologiche interiori ci consentono di stabilire la nostra individualità. Abbiamo raggiunto quest’obiettivo? O almeno ci stiamo avvicinando ad esso?”.
Mi sembra proprio di no.
“Ci sono sempre dei gruppi il cui interesse viene favorito dalla verità, e i loro rappresentanti sono stati i pionieri del pensiero umano; ci sono invece altri gruppi i cui interessi vengono favoriti dall’occultamento della verità. ” Che è ciò che fanno o vogliono fare i moderni dittatori, imperatori, preti: occultare la verità, impedire che venga fuori perché la verità smaschererebbe le loro intenzioni. La manipolazione delle informazioni, oggi più che mai facile coll’IA, vedi le schifezze che fa Elon Musk colla sua IA e col suo X, e non solo lui, è il preludio al compimento del declino di qualsiasi impero.
Il bello è che pur essendo stato l’artefice dell’ascesa del suo amico Donald, Elon adesso si è pentito di lasciare carta bianca a un simile soggetto disturbato (perché lui invece…) che non gli ha dato soddisfazione e che lo snobba, e vuol diventare lui l’imperatore, come in un reality show, come in un film distopico, come in una tragicommedia, fondando l’American Party, che non si capisce se sia un partito americano o una festa americana a base di droghe che lui usa in abbondanza, la parola è uguale. Ma la droga più grande da cui sembra molto difficile disintossicarsi è la smania imperiale che contraddistingue tutte queste persone egotiche e ricchissime. Tutti bambini viziati e capricciosi non cresciuti, tutti fuori dalla realtà, tutti degni del manicomio, il posto migliore per sti squinternati, anche quelli nostrani.
L’unico a cui sia riuscita un’operazione come quella di scendere in politica da parte di un imprenditore di successo è stato, udite, udite, Silvio Berlusconi. Ma dietro di lui, nell’ombra, c’erano tante altre persone che contavano, è stato un progetto ben pensato e coordinato, nella sua perfidia, non una riffa all’americana come questa, improvvisata con gente in costume che invade il Campidoglio. Ma lì, l’intelligenza e l’abilità dell’ex-Cavaliere non hanno confronti colla pochezza dei magnati usoniani, che brillano per infantilismo, ingenuità e, soprattutto, clownismo. Cose da pazzi, mi fanno rivalutare perfino Berlusconi.
Vorrei concludere con un frammento ripescato dai cassetti della mia giovinezza (1974), autore Edoardo Bennato, allora ragazzo ribelle e provocatore:
Lui comandava sopra il mondo intero,
teneva tutti sotto la sua mano.
La storia dice e forse è verità,
che alla fine incendiò la città.
Meno male che adesso non c’è Nerone.
Invece, purtroppo, di Nerone oggi non ce n’è solo uno e gli incendi s’incominciano a vedere.
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