Bpm-Banco, controffensiva a suon di poltrone per arginare il dissenso dei soci

6 Marzo 2016

Le perplessità espresse dai sindacati della Bpm sul progetto di fusione con il Banco Popolare hanno messo in allarme i banchieri impegnati nell’operazione. Alle non poche e severe censure piovute dall’alto, quelle della Vigilanza bancaria Bce, su alcuni pilastri del progetto di aggregazione (governance, organizzazione, solidità patrimoniale/sofferenze), ora si aggiungono la critiche che salgono dal basso, dai dipendenti che essendo anche soci della banca cooperativa milanese avranno voce in capitolo su eventuali fusioni. Fino a quando la banca cooperativa non sarà trasformata in società per azioni (e questo dovrà avvenire per legge entro il 12 dicembre), in assemblea si voterà secondo il vecchio meccanismo del voto capitario (una testa un voto); dopo, conterà invece solo il capitale (il numero di azioni possedute).

Le critiche dal basso non lasciano dormire sonni tranquilli ai fautori delle prime nozze bancarie sotto la Vigilanza europea: non a Giuseppe Castagna, 57 anni, l’amministratore delegato della Bpm che fin qui ha perseguito il progetto di fusione con il Banco con modalità che vanno oltre anche i pur notevoli poteri concessigli, beccandosi per questo pesanti rilievi (v. Castagna censurato dai controlli interni); né a Pier Francesco Saviotti, 74 anni, capo-azienda del Banco che vede nella fusione con Bpm la soluzione definitiva che permetterebbe di risolvere problemi che il gruppo veronese si porta dietro da molti anni; nemmeno al presidente del Banco Popolare Carlo Fratta Pasini, 60 anni, che teme l’impatto che un altro aumento di capitale avrebbe per la sua posizione.

«Questa aggregazione non è un passaggio scontato», hanno detto i sindacati in un comunicato, secondo cui, contestualmente al rinnovo degli organi sociali il prossimo 30 aprile, «si dovrà ragionare, con la necessaria attenzione, sul lavoro svolto e su eventuali nuove proposte». La formulazione è abbastanza vaga per non dichiarare apertamente la sfiducia, ma anche sufficientemente circostanziata per far capire a Castagna che potrebbe mancargli la terra sotto i piedi. Il rischio è che sul finale si ripeta la catena di eventi del 2007, quando il progetto di fusione con la Banca popolare dell’Emilia Romagna, fortemente voluto dall’allora direttore generale Fabrizio Viola, venne fermato e Viola andò poco dopo a lavorare proprio per il gruppo emiliano. Castagna è stato molto apprezzato da Fratta Pasini nel corso delle trattative; soprattutto vanta un solido e storico rapporto con Saviotti, con il quale condivide un lungo percorso professionale sotto le insegne della Banca commerciale italiana. Se il matrimonio bancario andrà in porto, a Castagna è stato promesso un salario allettante (2,4 milioni di euro), superiore di oltre 50% a quanto guadagna in Bpm; mentre per Saviotti è stato preventivato un compenso di 3 milioni.

La contromossa avviata da Castagna e Saviotti punta a evitare il conflitto e a lavorare ai fianchi gli avversari: l’idea è portare dalla loro parte un uomo come Piero Giarda, presidente del consiglio di sorveglianza, il cui radicale scetticismo sull’operazione con il Banco è cosa nota. Come? Levigando ulteriormente la pietra angolare su cui è stato costruita l’intesa fra Milano e Verona: l’assegnazione di posti di governo del nuovo gruppo. Finora Giarda è stato il grande escluso della spartizione delle poltrone del futuro gruppo Bpm/Banco. Agli uomini storici del Banco andrebbero infatti buona parte dei posti chiave: la presidenza a Pasini, la guida del comitato esecutivo a Saviotti, la direzione generale a Maurizio Faroni (attuale dg del Banco), con Castagna amministratore delegato e Mauro Paoloni (attualmente vicepresidente del cds di Bpm) alla presidenza del collegio sindacale del nuovo gruppo. L’improbabile richiesta a Giarda di dare una mano per ammorbidire i sindacati e i dipendenti-soci da una parte e la Bce dall’altra, aprirebbe la strada ad un posto nel futuro cda per l’ex ministro, o persino la poltrona di presidente della Bpm autonoma, fin qui promessa a Marcello Priori, vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Piazza Meda (ammesso che la Bce acconsenta a questa soluzione). Qualora il tentativo di avvicinamento a Giarda non funzionasse o tutta l’operazione andasse per le lunghe, si sta valutando anche l’ipotesi di favorire Priori alla presidenza del consiglio di sorveglianza pro-tempore fino alla fusione. Questo manuale Cencelli in versione banco-matrimoniale ha un suo costo: le indiscrezioni raccolte dicono che nel piano illustrato alla Vigilanza si prevede una remunerazione totale di 15 milioni di euro per gli organi di vertice della banca risultante della fusione.

A ben vedere, però, la soluzione che fa leva sulle lusinghe difficilmente potrà funzionare. Appare improbabile che Giarda si presti a giocare un ruolo di questo tipo su un’operazione che ha criticato sin dal primo momento, caldeggiando invece l’opzione Ubi. Ancora più difficile che i sindacati possano abboccare, e anzi pare che lo stesso contentino della “Bpm autonoma” come banca-rete per 2-3 anni sia considerato solo un specchietto per le allodole. Se infatti il mantenimento dell’autonomia societaria della Bpm nel post-fusione fosse una scelta convinta, allora non dovrebbe essere sottoposto a limiti temporali. Dire invece che è importante e prevedere che si esaurisca nell’arco di un triennio non fa altro che svelarne la natura: una trovata per distogliere l’attenzione e una lusinga per fare “moral suasion” a colpi di poltrone. E così del resto è stata spiegata da Castagna e Saviotti ai funzionari della Bce, che però non ci sono cascati. Piuttosto che partire con la formula sbagliata, hanno detto, tanto vale aspettare che la banca sia trasformata in società per azioni. Dal punto di vista dei sindacati, è sensato far subito i conti con lo scenario a regime. E sono conti che provocheranno mal di pancia. Nella prima bozza di integrazione presentata in Bce Castagna e Saviotti ipotizzavano esuberi per 2.700 unità; la Vigilanza ha però corretto il numero al rialzo: fra 3.500 e 4.000. A cosa è dovuta la differenza? Al fatto che dal piano erano stati tenuti fuori i sistemi informatici, che di solito, nella buona prassi delle fusioni, è una delle prime cose a cui mettere mano per risparmiare denaro e migliorare le prestazioni. La Vigilanza ha ricordato che questo è un tema essenziale in qualsiasi aggregazione.

Ancora di più i sindacati interni rifletteranno sulla posizione da assumere quando avranno messo a fuoco che l’attivismo della Fondazione Cariverona sul fronte delle (ex) banche popolari venete va inquadrato in un orizzonte più lungo, dove Veneto Banca verrebbe integrata con Bpm-Banco, fissando così definitivamente il baricentro del gruppo a Verona con conseguente azzeramento delle altre sedi. Forse si tratta solo dei residui del sogno della grande finanza veneta del Nordest a cui né Fratta Pasini né la Cariverona vogliono rinunciare: un vecchio sogno che solo nell’ultimo anno ha cominciato a misurarsi con la realtà della vigilanza bancaria europea. Ma sono pur sempre segnali che sindacati e soci-dipendenti di Piazza Meda dovranno tenere in considerazione in quella che sarà la loro ultima decisione – e per questo la più importante – in grado di incidere sulla storia della Banca popolare di Milano.

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In copertina, Palazzo Meda a Milano, sede della Bpm

TAG: banco popolare, bpm, giuseppe castagna, Marcello Priori, Mauro Paoloni, Pier Francesco Saviotti, Piero Giarda
CAT: Banche e Assicurazioni, Milano

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