Davanti a un cancello: memoria per bicicletta e flauto dolce

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22 Maggio 2019

Il 22 febbraio, caricato insieme ad altri 650 deportati su di un treno di vagoni piombati, Primo Levi partì dal campo di concentramento di Fossoli senza sapere la propria destinazione. Scriverà nel Viaggio, il primo capitolo di Se questo è un uomo che il vagone su cui viaggiava fu di gran lunga il più fortunato: “fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto le loro case”.

Passò gran parte del tempo al fianco della sua amica Vanda Maestro, torinese, e anch’essa chimica:

«Accanto a me, serrata come me tra corpo e corpo, era stata per tutto il viaggio una donna. Ci conoscevamo da molti anni, e la sventura ci aveva colti insieme, ma poco sapevamo l’uno dell’altra. Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono tra i vivi. Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo più paura».

Dopo cinque giorni di viaggio arrivarono ad Auschwitz. Subito dopo l’ingresso nel lager i deportati vennero divisi: da una parte gli uomini, dall’altra le donne e i bambini. Levi fu  destinato alla baracca numero 30.

Pensavo a questo, stamattina presto, prima delle sette, davanti al cancello chiuso del campo di concentramento di Fossoli. Fossoli si trova a 5 chilometri a nord di Carpi, da dove stamattina partirà l’undicesima tappa del Giro d’Italia. Purtroppo il cancello non era chiuso perché era troppo presto per entrarci. L’apertura è soltanto la domenica, a meno che non si prenoti prima una visita guidata, e io mi sono ricordato solo ieri sera che Fossoli sta attaccata a Carpi.

Ex campo di concentramento di Fossoli, stamattina, 22 maggio 2019.

Il campo di Fossoli era nato nel maggio del 1942 come campo di prigionia per i militari alleati catturati nelle operazioni di guerra nel Nordafrica. L’esatto contrario di quello che capitò a Fausto Coppi, caduto prigioniero degli inglesi nei pressi di Capo Bon nell’aprile del 1943 e internato nei campi di Medjez el Bab, in Tunisia, e poi di Blida, in Algeria.

Dopo l’8 settembre la Repubblica Sociale Italiana lo trasformò in campo di raccolta per gli ebrei rastrellati casa per casa nel Nord Italia e incarcerati, e dal gennaio 1944 anche per gli oppositori politici del regime. A gennaio ci arriva Primo Levi, partigiano ed ebreo, catturato il 13 dicembre, a Brusson, in Val d’Aosta.

Dal marzo del 1944 il campo viene preso direttamente in gestione dalle SS che lo trasformano nel principale punto di raccolta della popolazione ebraica italiana deportata prima del suo trasferimento nei campi di sterminio. Dalla stazione di Carpi i vagoni piombati stivati di ebrei partivano destinazione Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Bergen-Belsen, Mauthausen, Ravensbruck. La documentazione stima in numero di 5000 i deportati che passarono da Fossoli. 2844 erano ebrei e 2802 furono deportati. A Fossoli, oltre a Primo Levi, vi passarono il musicista Mario Finzi, il pittore Gino Parin, l’avvocato Mino Steiner, fratello di Albe Steiner e nipote di Giacomo Matteotti, il beato Teresio Olivelli e il beatificando Odoardo Focherini.

Il campo di concentramento di Fossoli nell’inverno del 1944 (foto Fondazione Fossoli)

Nel luglio del 1944 sessantasette internati politici del campo vennero fucilati dalle SS nel poligono di Cibeno, a Carpi. Uno di loro, Rino Molari, professore di lettere di Santarcangelo di Romagna, catturato perché militante nell’VIII Brigata Garibaldi nel Forlivese, il 7 giugno scrisse da Fossoli, dove era stato deportato dal carcere di Bologna, questa lettera alla moglie:

«Evetta mia,
da ieri sono il 1406 del campo di concentramento di Carpi. Sveglia alle 6, ritirata alle 21.45 due adunate per la conta, una alle 7, l’altra alle 18, due volte la minestra al giorno, una volta il caffè, poi la libertà di andare dove più aggrada, ecco la vita di campo. Capelli a zero (sto però molto bene), due triangoletti di tela rosa di 15 cm circa, uno cucito sul pantalone di sinistra, l’altro sulla giacca sotto il taschino, due rettangoli di tela bianca con il N. 1406 cuciti sotto i triangoletti rossi, ecco il tuo Rino. Ho cambiato veramente in meglio e mi aggiro contento per gli immensi cortili di questo campo: sarà grande quasi un Km²; siamo accantonati in baracche in muratura tutte eguali che contengono circa 120 persone l’una. Ora ho con me nuovamente tutti gli oggetti, lettere, carte, fotografie come quando ero a Riccione o a Novafeltria; tutto ci è concesso tranne il vino e il permesso di uscire fuori dai reticolati. A Bologna veramente mi annoiavo; tranne un’oretta, sempre chiusi in cella. E poi i bombardamenti; a Bologna lunedì tre ore di rifugio; qui si guardano gli apparecchi come in tempo di pace.
Evetta, manchi solo tu e Gabrielino, ma mancate solo materialmente giacché Gabrielino ha trovata la strada ed è sempre con me, tu non mi hai mai abbandonato nemmeno un istante. Non pensate a me se non per pregare e per mandarmi possibilmente qualche pacco, giacché qua non tutto si trova e poi quello che si trova non è certamente casalingo e poi … 3-4 lire un kg di ciliegie e via di seguito.
Baci Rino. Bacioni a tutti».

Con l’avvicinarsi del fronte di guerra, nell’agosto del 1944 le SS smantellarono il campo per aprirne uno nuovo a Gries-Bolzano. Fino al novembre del 1944, il campo di Fossoli continuò a ospitare renitenti alla leva e oppositori politici, uomini e donne, per destinarli ai lavori forzati in Germania.

Ma il campo di Fossoli continua a essere un luogo di disperata speranza anche negli anni del dopoguerra. Dapprima diviene campo di concentramento per i cosiddetti “indesiderabili”, i militari sbandati della Repubblica di Salò e i civili collaborazionisti con i nazifascisti. Franco Venturelli, parroco di Fossoli, aveva continuato a prestare la sua opera di assistenza spirituale anche ai nuovi detenuti. Il 15 gennaio del 1946 venne misteriosamente trovato ucciso, in quel torbido e ancora oscuro periodo di vendicativa “resa dei conti” tra gli sconfitti e chi aveva preso la strada della giustizia sommaria e privata.

Nel maggio del 1947 le strutture del campo, chiuse da qualche mese, vennero occupate dai ragazzi dell’Opera Piccoli Apostoli di don Zeno Saltini, vice parroco di San Giacomo Roncole, una frazione della vicina Mirandola. Don Zeno aveva raccolto intorno a se gli orfani di guerra e i bambini abbandonati: la sua comunità, ribattezzata Nomadelfia, si ispirava ai principi del comunismo evangelico e arrivò a contare quasi mille componenti, tra ragazzi e adulti al servizio. Presenza scomoda per i governi di normalizzazione democristiana del dopoguerra, e in particolare invisa al ministro Scelba, la comunità venne costretta a lasciare Fossoli, per andare a insediarsi nel Grossetano, dove ancora è attiva.

I ragazzi di don Zeno Saltini occupano il campo di concentramento di Fossoli nel maggio del 1947 (foto Fondazione Fossoli)

Questa mattina presto, davanti al cancello chiuso del campo di Fossoli, lungo la strada intercomunale alle mie spalle passavano poche macchine e qualche bicicletta: un cinese a piedi nudi con le ciabatte e lunghi bastoni legati al telaio; e un maghrebino che pedalava dentro una lunga tunica scura.

Primo Levi scrive in Ferro, un racconto del Sistema periodico, che, quando neolaureato lasciò Torino per venire a vivere e a lavorare a Milano, nel giugno del 1942, portò con sé solo le cose che riteneva indispensabili:

«la bicicletta, Rabelais, le Macaronee, Moby Dick tradotto da Pavese ed altri pochi libri, la piccozza, la corda da roccia, il regolo logaritmico e un flauto dolce».

 

Fonti

Primo Levi, Se questo è un uomo, De Silva 1947, e poi Einaudi, 1958…

Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi 1975

Il sito della Fondazione Fossoli.

Le lettere dei condannati a morte dell’eccidio del poligono di Cibeno, 12 luglio 1944, nel sito Ultime lettere dei condannati a morte e dei deportati della Resistenza italiana.

TAG: antifascismo, campi di sterminio, campo di concentramento di fossoli, Carpi, deportazione, ebrei, fascismo, Primo Levi, Resistenza
CAT: bici, Storia

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