I neo-patrioti anti-oriundi, che giocano con squadre piene di stranieri
Da qualche giorno è tornata la stantia polemica sugli oriundi. Immancabile e dal copione ben noto: tradizionalisti contro modernisti. La “colpa” questa volta è del ct della nazionale italiana, Antonio Conte, che secondo qualche collega si è macchiato dell’esecrabile delitto di aver convocato l’attaccante della Sampdoria Eder e il centrocampista del Palermo Vasquez per le partite contro Bulgaria (valida per la qualificazione all’Europeo) e Inghilterra (amichevole). Un brasiliano e un argentino a Converciano, nel raduno dell’Italia, hanno destato atavici pregiudizi sugli oriundi, che pure sono ormai una costante della storia calcistica azzurra. E lo stanno diventando sempre di più con la globalizzazione.
Ma l’allenatore dell’Inter, Roberto Mancini, in assenza di risultati ha pensato bene di conquistare la copertina per qualche ora, riesumando la questione-oriundi. «Penso che un giocatore italiano meriti di giocare in nazionale, mentre chi non è nato in Italia, anche se ha dei parenti, credo non lo meriti», ha detto. Un’opinione legittima, per quanto non condivisibile. Ma soprattutto incomprensibile, vista la sua condizione.
Il patriota anti-oriundi Mancini è infatti finito nello schema di chi predica bene e razzola male. Della serie: “Proprio tu?”. A esprimere il parere, infatti, non è Eusebio Di Francesco, tecnico del Sassuolo pieno di talenti italiani (in testa Zaza e Berardi), bensì il “Mancio”, attualmente alla tolda di comando di una squadra zeppa di stranieri, molti dei quali peraltro nemmeno così fenomenali (visti i risultati). Basta scorrere la rosa dei nerazzurri per vedere che sul totale di 30 componenti, ci sono 23 stranieri e solo 7 italiani. Ecco l’elenco: Berni (il terzo portiere), Ranocchia, Andreolli, Santon D’Ambrosio, Dimarco (giocatore della Primavera con zero presenze in campionato, una contando l’Europa League) e il baby bomber Bonazzoli (6 presenze in totale, Coppe comprese).
Nella formazione titolare interista, talvolta, si fa fatica a individuare un italiano. Si dirà: Mancini ha ereditato l’Inter di Mazzarri. Vero. Ma nel calciomercato di gennaio non si è propriamente battuto all’ultimo sangue per rinforzare la rosa con giovani italiani. I colpi sono stati lo svizzero Shaqiri e il tedesco Podolski. Del resto lo stesso allenatore, dal 2004 al 2008 all’Inter, non ha portato avanti crociate per i giovani talenti della Penisola, adeguandosi alle infornate di stranieri fatte da Massimo Moratti. Tutto questo mio ragionamento vuole quindi esprimere un patriottardismo al contrario? No, per niente. Il mondo è cambiato e con esso il calcio. Ritengo perciò comprensibile l’impiego degli stranieri, anche 11 in una volta sola. A patto che ci risparmino le rampogne da chi manda in campo una formazione senza convocabili nella nazionale italiana.
L’altro paladino anti-oriundi è stato l’allenatore dell’Hellas Verona, Andrea Mandorlini, che ha affermato: «Io sono per gli italiani veri». Quegli italiani veri che al Bentegodi sono una rarità, o meglio sono un terzo della rosa: su 27 calciatori a disposizione, gli italiani tanto amati da Mandorlini sono appena 9 (tra cui il terzo portiere Gollini). Poi a dar manforte alla filosofia Mancini-Mandorlini è arrivato il dibattito sui social, oltre – manco a dirlo – all’immancabile presa di posizione di Matteo Salvini. Il leader della Lega non perde mai occasione per dar fiato alla propaganda. Su cui, per questa volta, mi esimo dall’esprimere giudizi.
Detto ciò, la verità semplice è che il calcio italiano non sforna talenti per l’eterno vizio di credere poco nei giovani italiani. Il problema non è certo la presenza di oriundi. Conte, probabilmente, non avrebbe convocato Eder se avesse avuto qualche altra opzione. E non lo avrebbe fatto per patriottismo, bensì per una scelta tecnica. Il ct, oggettivamente, non ha tante possibilità e quindi si affida agli oriundi, che saranno anche “scarti” di altri Nazionali (come sono stati definiti Eder e Vasquez), ma – ora come ora – sono più forti degli «italiani veri» (copyright Mandorlini) a disposizione.
Tutto questo è accaduto anche per la responsabilità delle squadre guidate da Mancini e Mandorlini. Perciò i patrioti delle panchina farebbero bene a credere di più nei talenti dei vivai, magari chiedendo ai presidenti di puntare sulla “linea verde” per il club e per il bene della nazionale. Oppure, in alternativa, possono puntare legittimamente sugli stranieri, perché – ripeto – non c’è niente di male. Ma le loro uscite polemiche sugli oriundi sono davvero ingiustificabili.
2 Commenti
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in tutto questo discorso si dimentica la cosa di gran lunga più assurda. da un lato, chi caldeggia il reclutamento degli oriundi nella nazionale lo fa in nome di un ampliamento dei diritti di accesso alla cittadinanza per i nati in Italia (questo prevede la proposta di “cittadinanza sportiva” avanzata recentemente). La possibilità di convocare oriundi è però maturata sul fronte opposto, ovvero sulla tendenza tradizionale dello stato italiano ad essere molto severi nell’assegnare la cittadinanza ai figli di stranieri nati nel nostro paese, ma assai generosi, forse decisamente troppo, ad assegnarla a persone nate all’estero in qualche modo riconducibili per ascendenza a qualcosa di simile al territorio nazionale attuale o passato (molti degli italiani in giro per il mondo sono stati i primi a ottenere il passaporto italiano, visto che i loro antenati se ne erano andati come cittadini sardi, toscani, duosiciliani o addirittura austriaci). E dietro tutta la polemica, in fondo, non si fatica a leggere una difesa dell\'”italianità” contro l\'”invasione” degli immigrati che sicuramente aiuta molto allenatori in crisi a ritrovare sintonia con le loro tifoserie organizzate, per varie ragioni quasi sempre veicolo del più violento estremismo di destra oltre che centri di affari piuttosto loschi alle spalle o in combutta con le società, ma che è del tutto fuori luogo.
Per me la cosa più assurda è che appena si finisce a parlare di oriundi il discorso immediatamente successivo e ahimé legato a doppio filo è quello sulla decadenza dei settori giovanili. Fino a pochi anni fa esistevano regole, ora c’è un mercato incontrollato di ragazzi provenienti dalle più disparate (e povere) realtà del globo e illusi da procuratori senza scrupoli: è il discorso di Sacchi, e non è un discorso razzista. Anzi.