Senza una volontà comune il calcio italiano non cambierà mai

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28 Aprile 2015

Capitani a rapporto dai capi Ultras, giocatori a testa bassa insultati da manipoli di idioti, presidenti che concedono soldi e privilegi, cori razzisti e vergognosi, pulman presi a sassate, centri delle città devastati, tifosi uccisi, manganelli, bombe a carta.

Chi non segue il calcio potrebbe pensare che stia descrivendo l’inferno. Invece è il gioco del pallone. Uno sport sistematicamente rovinato da manipoli di fucking idiot che invadono gli stadi, sporcandoli con la loro presenza. È possibile combattere tutto ciò?

Come ogni volta si torna a parlare del “modello inglese” e della possibilità di applicarlo al caso italiano. In realtà, questa proposta è basata su una totale mancanza di realismo. Purtroppo teoria e pratica vanno a braccetto solo in teoria, mai in pratica. Cosa voglio dire?

Negli ultimi anni in Italia si sono introdotti i tornelli, i biglietti nominali, le tessere del tifoso, si sono aggravate le pene. Risultato? Zero. Anzi, forse si è solo acuita la cattiveria degli Ultras contro “gli sbirri infami”.

L’applicazione del modello inglese, infatti, non si può ridurre alla stesura dall’alto di qualche legge. Non è solo organizzazione, prevenzione e repressione. Questi sono ingredienti fondamentali ma non possono bastare. Il successo di quel  modello si fonda sul progressivo e compatto schieramento dell’intera società civile contro gli hooligans. Il mondo del giornalismo, i vari governi (Thatcher, Major e Blair), le società sportive (alcune dopo resistenze iniziali dovute soprattutto a questioni politiche) si sono tutti schierati senza appello contro gli hooligans. I tifosi violenti in Inghilterra vengono derisi e svergognati sui giornali e nelle televisioni. La stampa, i privati e le società forniscono foto, filmati, e aiuti di ogni genere per smascherare e individuare chi si diletta in comportamenti che vanno contro il vero spirito dello sport. Esistono numeri verdi appositamente creati per denunciare violenze legate al mondo del pallone.

Le leggi e la repressione non servono a nulla se non esiste un’intera società schierata e compatta che rema tutta dalla stessa parte. Fino a che i presidenti italiani continueranno a difendere i propri tifosi blaterando che non sono violenti; fino a che non si denunceranno e puniranno fermamente i ripetuti cori razzisti e discriminatori che si sentono continuamente negli stadi; fino a che i filosofi di SkySport continueranno a porre questioni ermeneutiche sul labile confine che divide sfottò e discriminazione; fino a che i presidenti della FIGC continueranno a dire che la Federazione fa il possibile ma si sente parte lesa; fino a che “ma la Thatcher ha alzato il prezzo dei biglietti e fatto fuori il popolo dagli stadi”. Fino a quando si parlerà così, nessuna legge, nessun tornello, nessuna tessera del tifoso potrà fermare questa disgustosa alleanza tra calcio e violenza.

Pochi in Italia si sono schierati fermamente contro i gruppi Ultras. Il caso del presidente dell’Atalanta che ritira la denuncia per l’irruzione a Zingonia è vergognoso. Fabio Capello è uno dei pochi che ha parlato chiaro sui rapporti tra Ultras e società. Quando allenava l’Inghilterra disse: “in Italia comandano gli Ultras”. La risposta di Abete fu: “facile parlare dall’estero”. Lotito, che pure ha molti difetti, ha agito fermamente contro gli Ultras laziali. Pallotta ha da poco detto l’ovvia verità. Questi personaggi dello sport italiano vivono scortati da polizia senza che l’opinione pubblica riconosca loro di combattere la giusta battaglia schierandosi fermamente al loro fianco. Certo, qualche articolo, qualche dichiarazione di stima, il giorno dopo i fattacci tutti si indignano. Ma poi tutto torna, eternamente uguale.

Spesso si dice che le curve sono (anche) luoghi di aggregazione e di svago; che fanno (anche) solidarietà e beneficienza. Nessuno lo nega. Che continuino a farlo. Ma la banale verità, purtroppo, è un’altra: il problema sono i gruppi Ultras. Questo per il semplice fatto che nella logica di vita di questi “tifosi” la violenza è una parte importante. Magari dopo (o prima) vengono anche solidarietà e beneficenza. Vengono striscioni goliardici e cori divertenti. Ma comunque, dopo (o prima), gli sbirri sono infami e gli avversari sono da prendere a mazzate.

Il primo passo da fare per risolvere un problema è individuarlo e chiamarlo con il proprio nome. Esiste chi lo fa da tempo come Luca Di Bartolomei, figlio dello storico capitano della Roma e responsabile dello sport per il PD, che definisce mafiosa la mentalità Ultras. Prima di parlare di modello inglese dobbiamo tutti schierarci senza mezzi termini contro i violenti che sporcano il nostro gioco. E’ probabile che non tutti gli Ultras siano violenti ma tutti i violenti, negli stadi, sono Ultras.

 

 

TAG: calcio, ultras, violenza negli stadi
CAT: calcio

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