Per Tavecchio il 2015 sarà l’anno delle riforme. Ma è l’uomo giusto?

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20 Gennaio 2015

Lo scorso 10 novembre, eletto Felice Belloli presidente della Lega Nazionale Dilettanti (LND), si è conclusa la riorganizzazione dei vertici politici del calcio italiano; di quello professionistico e di quello dilettantistico. Come tutti sanno quello del calcio è un movimento che necessita disperatamente di nuove idee ed energie per recuperare svantaggi e arretratezze rispetto alle altre federazioni europee.

A noi sembra, invece, che i due uomini scelti e poi eletti a capo di FIGC e LND rappresentino il contrario di ciò che serve: l’elezione di Belloli in LND è una palese successione tra due colleghi lombardi appartenenti allo stesso ufficio; mentre quella di Tavecchio in FIGC, voluta e sponsorizzata da tutti gli uomini di potere del calcio italiano (come Carraro, Abete, Matarrese), è l’emblema di un fallimento che intende perpetuarsi.

Le elezioni dei vertici politici del calcio italiano sono, infatti, una delle tante espressioni della conservativa volontà di auto-riproduzione che caratterizza gran parte delle élite italiane (e non solo italiane).

Se ci soffermiamo a guadare lo statuto della FIGC troviamo qualche ragione che spiega la situazione sopradetta: i meccanismi pensati per l‘elezione bloccano de facto ogni tentativo di cambiamento e permettono a chi ha sempre deciso tutto, di continuare a decidere tutto (nonostante i risultati pessimi che, chiaramente, non hanno peso). Per eleggere il Commissario Federale della FIGC, infatti, esistono meccanismi come i diritti di veto e le spartizioni del peso dei voti che non permettono un reale processo decisionale deliberativo; non permettono cioè un democratico scontro tra sistemi di ragioni e argomenti a sostegno di diversi progetti. Lo statuto della FIGC, invece, spinge e facilita all’accordo preliminare su un candidato preconfezionato. Infatti, quando il diritto di veto non c’è più (cioè dopo la terza votazione), si viene eletti con il 51% delle preferenze. Le tre Leghe insieme (dilettanti da una parte e A,B e Lega Pro dall’altra) costituiscono il 68% dei voti. Morale: se controlli le Leghe vieni eletto. Calciatori, arbitri, società in minoranza e tifosi possono allegramente stare a guardare. I dirigenti del calcio italiano si sono corazzati entro un “partito unico” blindato da statuti e accordi.

Il fatto che Tavecchio fosse poco simpatico all’opinione pubblica italiana, a grandi parte della stampa sportiva ed a qualche società anche importante, non ha infatti minimante inciso sulla sua elezione. Il fatto che la LND sia stata per 15 anni un luogo più di affari che di promozione dei valori dello sport ha contato ancora meno nella scelta di Tavecchio (o forse ha contato in senso positivo).

Ma cosa c’è di male in una classe dirigente che perpetua se stessa oltre ogni confine?
Poco o nulla se questi dirigenti fossero in grado di far funzionare il sistema calcio, cercando di correggere gli effetti perversi e le storture che, necessariamente, interessano un sistema cosi complesso e popolato. Molto se, come avviene di consueto, l’interesse che più occupa questi eleganti signori è (solo) quello di costruire una rete di consensi, amicizie e pacche sulle spalle capace di garantire loro un futuro adiacente alle stanze del potere del pallone (o del potere in generale).

Ma dove stanno le inadeguatezze di questi dirigenti e delle loro gestioni? Sappiamo bene in che mare navighi il calcio italiano professionistico: le varie Calciopoli, il ritardo deprimente delle infrastrutture, la continua de-valorizzazione dei giovani atleti italiani a scapito di stranieri a basso costo, i ritardi nell’applicazione delle metodologie d’allenamento UEFA nei settori giovanili, i risultati del nostro calcio professionistico a livello internazionale, l’omertosa connivenza tra Ultras e società, etc.. Meno si conosce della LND; ma certe sue storture sono ancora più sorprendenti. Tanto quanto “la promozione” in FIGC di chi quelle storture ha sempre fatto finta di non vederle o addirittura le ha generate intenzionalmente.

La quindicennale epopea nei palazzi della LND ha consentito a Tavecchio di diventare il numero uno del calcio italiano. Dove staranno mai le virtù della gestione di questo condottiero lombardo?
Per raccontare tali virtù di comando rispolveriamo due perle della sua gestione: quello che molti giornali hanno chiamato “il business dell’erba sintetica” e la meno famosa questione del falso dilettantismo degli iscritti alla LND. Vediamo di cosa si tratta.

 

 

                                                    IL BUSINESS DELL’ERBA SINTETICA

La questione dei campi sintetici è già stata esaminata da varie inchieste giornalistiche (su tutte quelle di Report e di La Repubblica) che hanno messo a nudo penosi conflitti d’interesse.
Le inchieste evidenziano che l’LND obbliga Società Sportive e Comuni ad omologare i propri campi di gioco secondo regole e costi che celano svariati conflitti d’interesse. Tutto “l’affare” è gestito da pochi uomini di fiducia accostabili, sempre secondo le inchieste citate, a Carlo Tavecchio.

In primis la famiglia Armeni: il padre, Antonio, è stato nominato da Tavecchio nel 2003 Capo della commissione impianti in erba sintetica della LND; il figlio, Roberto, è Direttore Tecnico di LaboSport s.r.l., unica azienda autorizzata a testare i campi sintetici per conto della LND. Casualmente la LaboSport s.r.l. è nata anch’essa nel 2003.

Poi c’è Carlo Limonta, altro lombardo e, sempre secondo La Repubblica, amico di lungo corso di Carlo Tavecchio. Limonta è a capo della LimontaSport, società che, assieme a Mondo Spa e Italgreen, detiene quasi interamente il mercato dei campi sintetici in Italia: su un totale di 1123 campi sintetici esistenti sul suolo italiano, 308 li hanno installati i Limonta, 328 la Mondo spa e 335 l’Italgreen. I ricavi si aggirano, rispettivamente, attorno ai 40, 100 e 30 milioni annui. Naturalmente, le tre società sono di casa presso l’LND e ringraziano per la fiducia accordata versando cospicui contributi in sponsorizzazioni nelle casse della Lega.

Ogni terreno in sintetico costa in media alle società dilettantistiche italiane circa 500 mila euro (il triplo rispetto ai costi medi che hanno in Europa i campi omologati FIFA) e l’omologazione circa 5000 euro. L’alternativa per spendere meno, cioè l’utilizzo di gomma riciclata, è stata rifiutata dalla LND di Tavecchio perché considerata nociva per la salute dei calciatori. Nessuno si scompone se si fa notare che UEFA e FIFA utilizzano proprio la gomma considerata nociva dalla FIGC per costruire i propri campi.

Questo business dei campi sintetici ha rimpinguato enormemente le casse della LND permettendo a Tavecchio di rendere sostenibili politiche come quelle della trasformazione dei gettoni di presenza in veri e propri stipendi. Sicuramente non sono stati presi in considerazione gli interessi delle piccole società costrette a sborsare molti euro per seguire regole che definire svantaggiose ed inique è un eufemismo.

 

 

               IL FINTO DILETTANTISMO E L’EVASIONE FISCALE NORMALIZZATA

L’LND è un movimento che coinvolge oltre 14.000 società, 700.000 partite l’anno, che impegna 1 milione e 200 mila tesserati e che fattura quasi due miliardi di euro. In una vecchia intervista di due anni fa, l’allora presidente Tavecchio spiegava che una squadra di calcio di serie D (la categoria più elevata del calcio dilettantistico) costa circa 400-500 mila euro e che gli stipendi dei calciatori sono vincolati ad un tetto massimo di 25.800 euro assoggettato ad una trattenuta fiscale del 20%. Nelle serie minori sono previsti solo rimborsi spesa di pochi euro. L’intervista si conclude con il Presidente impegnato a sottolineare come l’LND sia dimentica da tutti, di quanti pochi soldi abbia a disposizione e di quanto sia virtuosamente rispettosa delle “regole del mercato”.

Nulla di quello che dice Tavecchio in questa intervista rispecchia la realtà. Infatti, chiunque abbia partecipato a campionati dilettantistici di calcio o conosca qualcuno che vi giochi sa che quel mondo è un sistema dove si evade sistematicamente il fisco, si condannano i giocatori a non avere né una pensione né l’accesso al credito bancario e si facilita molto la vita ad imprenditori evasori. Lo sanno tutti: genitori, amici, fidanzate e nonni. Guarda caso solo Tavecchio (lasciamo perdere l’impavido giornalista che tace su tutto ciò) sembra non saperlo.

I modi in cui si evade il fisco alla luce del sole sono due: stipendi dei calciatori e sponsorizzazioni.

Stipendi. Secondo la legge italiana (art 37 legge 342 varata 21 novembre del 2000) ” tutte le indennità di trasferta, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi non concorrono a formare il reddito di colui che li percepisce se la somma è inferiore ai 7500 euro l’anno”. Quindi sotto i 7500 euro annui, gli stipendi sono esentasse. Secondo la stessa legge, sopra i 7500 euro e non oltre i 25.800 esiste invece una tassazione del 20% da non dichiarare nel Modello Unico; mentre sopra il tetto dei 25.800 euro si pagano le tasse facendo la normale dichiarazione dei redditi. Quindi la legge italiana non prevede nessun tetto di stipendi per gli atleti dilettanti. Sarebbe bene informare l’ex presidente Tavecchio.

Esiste però anche una legge del regolamento della FIGC (art. 94 ter NOIF) secondo la quale il tetto massimo degli stipendi dei calciatori non professionisti è di 25.800.  Quindi, ipotizzando un rapporto basato su un regolare contratto anche superiore ai 25.800, se una società non volesse adempirlo il giocatore potrebbe ricorrere alla giustizia ordinaria riuscendo ad avere quanto gli spetta. Infatti, in tal caso, essendoci contraddizione tra regolamenti, si guarderebbe la gerarchia delle fonti del diritto. Comunque, questo non impedirebbe alla FIGC di attuare provvedimenti disciplinari nei confronti del giocatore, i quali, infatti, sono previsti in questi casi.

Purtroppo, nella realtà, non esistono società di calcio dilettantistico che propongono regolari contratti ai giocatori garantendo così una busta paga con tutti i costi e vantaggi ad essa annessi. La consuetudine è di depositare in Lega un contratto esentasse inferiore ai 7.500 euro e di firmare scritture private nelle quali i giocatori, per esempio in serie D, percepiscono anche fino a 50.000 o 60.000 euro a stagione. Facendo questo la società non paga una lira di tasse e spesso promette certe somme, magari per attirare giocatori di livello, senza poi rispettare gli accordi.

Nella condizione peggiore sembrano essere i giocatori: se non ricevono il denaro che loro spetta non possono ricorrere alla giustizia sportiva, dato che sarebbero giudicati colpevoli non avendo richiesto di depositare il contratto in Lega. Se si rivolgessero alla giustizia ordinaria violerebbero la “clausola compromissoria” che prevede l’obbligo di risolvere questo tipo di controversie tramite la giustizia sportiva (art. 30 Statuto FIGC). Il giocatore potrebbe anche vincere la causa ma verrebbe punito dalla Lega con squalifica e ammenda. Due prezzi troppo alti da pagare per chi vive di un lavoro che potrà fare solo fino ai 35 anni circa (art. 15 Codice Giustizia Sportiva).

L’altra meccanismo ombra che lega fisco e calcio è quello delle sponsorizzazioni. Come funziona in questo caso la dinamica perversa? L’imprenditore può devolvere soldi alle società sportive in due modi: sotto forma di pubblicizzazione o sotto forma di sponsorizzazione (legge 398). Nel primo caso la società deve versare all’erario il 50% dell’iva sul totale del versamento dell’imprenditore. Nel secondo caso deve versare all’erario il 90% dell’iva introitata. La società terrà quindi per sé, a titolo di bonus, quella parte di iva non pagata all’erario, rispettivamente il 50 e il 10%.

Chiaramente la dinamica reale prevede di far passare tutti i versamenti come “pubblicizzazione”, ma questo è il male minore. L’illecito sta nel fatto che l’imprenditore eroga soldi a titolo di “pubblicizzazione” solo sulla base di un tacito accordo che “obbliga” la società sportiva a restituire una parte del versamento in nero. L’imprenditore approfitta, cioè, delle difficoltà economiche delle società sportive per ricattarle: eroga una somma di 10 solo se la società “promette” di restituirne 5 in nero. Questi soldi sono restituiti spesso sotto forma di transazioni tra privati così da non dover essere giustificate nei conti della società.

Durante le scorse elezioni per l’elezione del presidente della FIGC i giornali si sono concentrati nel commentare le dichiarazioni pseudo-razziste di Tavecchio e nel ricordare qualche guaio giudiziario avuto nel passato quando non era ancora presidente LND (condanne per falsità sui titoli di credito, abuso d’ufficio, evasione di imposta), condanne per le quali è stato successivamente riabilitato, come rilevato anche dall’Autorità nazionale anti corruzione (*). L’Espresso ha posto attenzione sull’acquisto da parte della LND di 46 vani in Piazzale Flaminio a Roma per una cifra doppia rispetto a quella versata solo pochi giorni prima dalla società che ha venduto l’immobile alla LND.

Poco si è parlato di come Tavecchio ha lasciato l’LND. Se lo si fosse fatto maggiormente si sarebbe facilmente visto che la sua gestione quindicennale è stata pesantemente segnata da un’indole affarista che non ha portato molto al movimento del calcio dilettantistico italiano. Certamente molti soldi nelle casse della LND; ma tutti spesi al fine di aumentare stipendi e consensi e non certo per rispondere ai bisogni delle società, dei giocatori e del movimento nel suo insieme.

La missione della LND dovrebbe essere quella di promuovere i valori della lealtà sportiva, del rispetto delle regole e della solidarietà sociale. I movimenti sportivi dilettantistici, naturalmente attraverso le persone che li animano e le attività che propongono, hanno (avrebbero) il delicato compito di unirsi a scuola e famiglia nel tentativo di trasmette valori e comportamenti.

Giudicate voi se Tavecchio ha dimostrato di essere l’uomo adatto per diventare il numero uno del calcio italiano. L’LND, nonostante sia ormai un colosso economico con fatturati milionari, dal 2010 al 2013 ha diminuito i tesserati di 30mila unità e i club sono diminuiti di quasi 1.000 unità. Ma la nota più amara sta nel fatto che, nonostante tutto ciò, nulla era evitabile. Il partito unico del calcio italiano aveva già deciso per tutti noi. I fautori dello sfacelo continuano a regnare incontrastati. Il nostro gioco è nelle loro mani.

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(*) aggiornato il 14 aprile 2017

 

TAG: calcio, evasione, FIGC, LND, Tavecchio
CAT: calcio, Fisco

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