Cuccia e Mediobanca, ascesa e declino
Qualche mese fa Giorgio La Malfa ha scritto un appassionato libro su Enrico Cuccia e Mediobanca (Cuccia e il segreto di Mediobanca, Feltrinelli). La Malfa è storicamente legato alla banca d’affari milanese ed al suo storico esponente: innanzitutto per motivi familiari, inoltre il suo primo lavoro è stato presso l’ufficio studi di Mediobanca, ed oggi è il presidente di Ricerche e Studi SpA, la società di ricerche controllata dalla stessa finanziaria milanese. Non è e non vuole essere un libro imparziale e raccoglie molto materiale interessante raccolto dall’autore negli anni.
Nata nel 1946 per fornire credito a medio termine alle imprese industriali – funzione in precedenza svolta dalle banche commerciali, che per questo motivo erano fallite a seguito della crisi del 1929 e che aveva portato da una parte alla fondazione dell’IRI e dall’altra alla legge bancaria del 1936 che sanciva la separazione tra attività a breve e a lungo termine delle banche – Mediobanca assume un ruolo finanziaria di partecipazioni, di banca d’affari dedicata alla soluzione delle diverse crisi delle famiglie del capitalismo italiano e di punto di incontro tra le partecipazioni statali (essendo controllata dalle banche di interesse nazionale possedute dall’IRI) e le più importanti famiglie del capitalismo italiano (che fino alla privatizzazione negli anni ’80 detenevano una quota limitata del capitale. Il rapporto tra stato e mercato nella cosiddetta Prima Repubblica aveva in Mediobanca il suo punto di mediazione, e Cuccia sosteneva che essa rappresentava un argine alla totale presa di possesso del settore pubblico su quello privato nell’economia italiana.
Cuccia non apprezzava le public company, cioè le società senza un azionista di riferimento guidate da un amministratore delegato. Paradossalmente si è comportato proprio come se amministrasse una public company dando pari ruolo ad azionisti che avevano quantità di azioni diverse ed informandoli pochissimo delle sue attività (nel libro si cita un’appunto di Raffaele Mattioli – amministratore delle Banca Commerciale Italiana e cofondatore di Mediobanca – che si lamentava della segretezza di Cuccia), limitandosi a pagare dividenti ed a chiudere sempre ottimi bilanci per dare soddisfazione agli azionisti.
Più che discutere degli effetti positivi o negativi di Mediobanca sull’economia italiana (La Malfa propende nettamente per la prima ipotesi) ma è necessario sottolineare come quella Mediobanca abbia perso senso e quindi sia finita negli anni ’90, quando il mercato unico dei capitali, la nuova corporate governance, l’abbandono della separazione delle attività bancarie di breve e lungo periodo e le privatizzazioni le hanno fatto perdere il ruolo centrale tra stato e mercato. Questa presa di coscienza da parte di Mediobanca (e dello stesso La Malfa) è stata lenta e solo oggi il management ha una strategia di internazionalizzazione, di concentrazione sull’attività bancaria in senso lato e di graduale abbandono delle partecipazioni con cui la banca puntellava il controllo delle imprese private quotate attraverso i patti di sindacato.
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