Il futuro della ristorazione dopo il virus

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14 Aprile 2020

La ristorazione in Italia era un settore già in crisi prima dell’emergenza Covid e ora? Le attività che già facevano fatica a far quadrare i conti ante-pandemia, con questa chiusura forzata probabilmente, se non aiutate con misure di vero sostegno, saranno costrette a chiudere o si ritroveranno con più di debiti di prima e licenziamenti o cassa integrazione da attivare.

I principali esperti del settore, fanno emergere dalle loro dichiarazioni, che il delivery avrà uno sviluppo importante e nasceranno attività prevalentemente per la consegna a domicilio. Chi proporrà prodotti di buona qualità a un prezzo accessibile, riuscirà a riprendersi, perché risponderà alle tasche e ai desideri degli italiani.

Bisogna necessariamente pensare che le persone non possono più andare liberamente nei pub, bar o ristoranti, perché sarà impedita ogni forma di affollamento o presenza in gruppo.

E’ dunque indispensabile adattarsi a questo cambiamento ed esser pronti a soddisfare nuove richieste. C’è chi propone di convogliare tutto sul consumo a domicilio, facendo arrivare i prodotti che il cliente avrebbe desiderato seduto ad un tavolo di ristorante; è questa  l’unica chance attualmente praticabile?. In questo caso, la tecnologia è un aiuto prezioso, perché può stabilire un nuovo legame o rinsaldare quelli già esistenti.

In alcune regioni d’Italia, dove l’intervento dei governatori è stato,  “diciamo meno stringente”, una parte delle attività, impossibilitate a tenere aperti i punti vendita, si sono riconvertite alla preparazione e soddisfazione degli ordini d’asporto, che vengono consegnati a domicilio grazie all’utilizzo delle piattaforme di delivery.

Si è riusciti, con questa strategia, a limitare i danni se non addirittura a intercettare nuove quote di mercato, come quello della terza età, ormai alle prese  con i nuovi strumenti di comunicazione come i social e quindi anche con i sistemi del food a domicilio, ordinando da un app al cellulare.

Ma questo, non è sufficiente per un’industria ristorativa che si trova ad affrontare una crisi di dimensioni inimmaginabili, anche perchè l’eventuale e ipotetica riconversione al delivery, non garantisce lavoro a tutti.

Ma talvolta a conti fatti i margini sono veramente limitati. Pensiamo ad una pizzeria, dove oltre al prodotto base, si affiancano tutti gli altri ad elevato valore aggiunto, in questo caso, quante pizze potrà vendere al tavolo, per rientrare del costo dei dipendenti, delle materie prime, delle utenze e dei canoni di locazione?

Negli Stati Uniti, alcuni locali sono diventati negozio per la vendita di generi alimentari, anche di un certo target. Questa potrebbe essere un’altra idea di riconversione,  per far ripartire quella filiera, legata alle merci che adesso non sono utilizzate, offrendo un servizio alla clientela che così può evitare i supermercati e le file.

C’è chi propone di trasformare un ristorante in un vero alimentari, che vende le verdure della fattoria, anche salumi e prodotti caseari col latte, prodotti che di solito non sono sul mercato, confezionando box che possano sostenere anche i piccoli produttori, che al momento non hanno incassi  dai ristoranti.

In Danimarca si sono attrezzati per la delivery o l’asporto di piatti caldi, completando l’offerta anche come enoteca, bottiglie di vino abbinate al cibo.

Nessuno, da questa crisi è immune, anche ipotizzando ottimisticamente una riapertura a breve, quante persone se la sentiranno di andare a mangiare al ristorante? E quali saranno i costi?  E quanti, invece, preferiranno piuttosto concedersi lo sfizio di una delivery, nella sicurezza di casa, spendendo meno e godendo delle prelibatezze che potevano trovare nel loro ristorante preferito?

La Danimarca è intervenuta in modo sostanziale anche con gli aiuti per le imprese della ristorazione, in modo più concreto e veloce. Per esempio, le aziende sotto i dieci dipendenti, se non sono stati effettuati licenziamenti, per tre mesi, il governo  paga dal 75% al 90% dei costi fissi delle attvità.

Nel Regno Unito invece, sempre più chef offrono lezioni di cucina online, e sempre più locali si attrezzano per proporre i corsi più disparati.

Anche in Italia sta accadendo lo stesso, alcuni chef, sul proprio profilo o in gruppi creati su Facebook, si condividono video-ricette e consigli mettendosi a disposizione della comunità. Scelte senza un ritorno economico immediato, ma che potrebbero portare a una futura fidelizzazione.

Purtroppo, il problema maggiore, riguarderà le attività che operano in contesti turistici. Le imprese dovranno essere necessariamente più snelle, le strutture complesse sono le più vulnerabili. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, paradossalmente, questa potrebbe essere una situazione da sfruttare a proprio vantaggio; può essere il momento per lavorare su un rilancio perché si ha tempo a disposizione per fare delle analisi e delle valutazioni con maggiore calma, cosa che in genere i ristoratori non hanno, sperando nel frattempo in un aiuto da parte del governo. Le aziende che vogliono reggere allo tsunami dell’epidemia, elaborano in questo momento nuove strategie.  I ristoranti, nella fase di avvio delle attività, tranne nei casi in cui non procedano velocemente e strutturalmente ad adeguarsi alle norme stringenti , che sicuramente verranno messe in atto, dovranno ricorrere a organizzazioni più smart, con manodopera ridotta e precarizzata, magari addirittura a struttura familiare. Le tempistiche per un ritorno alla normalità sono imprevedibili e si dovrà subito affrontare il contenimento dei costi per arrivare alla sostenibilità economica; non si potrà più operare senza obiettivi di budget e previsioni di spesa, gli incassi saranno inferiori e quindi il livello di efficienza economica, dovrà essere il primo obiettivo delle imprese del settore della ristorazione.

La grande ristorazione, in particolar modo quella attiva all’interno della rete autostradale, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie, è stata considerata dal governo, erogazione di un servizio pubblico, nella preparazione del decreto, garantendone la continuità d’esercizio. Il problema è che l’ingente riduzione dei flussi del trasporto ha fatto crollare i ricavi, e il settore si trova in una situazione finanziaria molto delicata.

L’Aigrim, ha sollecitato un aiuto più incisivo del governo, chiedendo di intervenire “sui canoni e sugli oneri di gestione e sui tempi di pagamento”.

Sulle aziende operanti all’interno della rete autostradale, degli scali aeroportuali e delle stazioni ferroviarie, gravano contratti di concessione, anche se nelle scorse settimane l’Aiscat, l’associazione che raggruppa i titolari di concessioni autostradali, aveva anticipato al ministero dei Trasporti la disponibilità a sospendere la riscossione dei canoni.

La grande ristorazione, chiede comunque al governo uno sforzo di più ampio respiro: l’estensione dei contratti in vigore e il blocco di qualsiasi nuova gara, per un periodo di almeno 12 mesi. Di modo che il periodo d’incertezza da qui a venire, potrà  essere affrontato quantomeno con un orizzonte temporale certo.

Ma per i piccoli ristoratori, le imprese che già operavano in un settore in grande difficoltà, il blocco immediato, ha chiuso improvvisamente il rubinetto dell’acqua.

Lo Stato allora deve pensare, nel più breve tempo possibile, di dedicare delle risorse specifiche  per far ripartire il ciclo ed agevolarlo in una fase di transizione, del passaggio tra il pre ed il post epidemia covid.

Fare impresa si lega al concetto di rischio, ed è pure logico che non si intervenga con delle quote sussidiarie. Tra l’altro il governo, con le deroghe per la CIG, ha dato una mano importante, ma oggi deve pensare di intervenire per fare da ponte a quello che si è lasciato e a quello che si dovrà attuare.

Bisogna necessariamente mettere i ristoratori in condizione di poter riprendere a fare impresa.

In che modo?

Con il DL “Liquidità” (DECRETO-LEGGE 8 aprile 2020, n. 23), lo Stato diventa quindi il garante, verificando le opportune documentazioni fiscali e commerciali, verso le banche per fidi a lunga durata, riuscendo a recuperare in tal modo, la necessaria liquidità da mettere in circolo per dare possibilità di sostenere l’impresa.

La ristorazione, come l’ospitalità, fa parte di quel Made in Italy di qualità, di eccellenze italiane, che ci rende unici nel mondo.

C’è da dire che, forse a differenza di altri posti nel mondo, la crisi del Covid-19 arriva in un momento in cui i ristoranti, non erano solo posti dove mangiare.

Non abbiamo la minima idea di come sarà il mondo post Covid-19, ma sicuramente sarà diverso, e saranno diversi anche i ristoranti, oggi un business che  nel futuro quanto mai incerto, ma che sarà anche un’opportunità differente. La relazione con i clienti, la presenza sul territorio e l’integrazione con il tessuto sociale, i rapporti costruiti con le persone che non vedono l’ora di tornare a divertirsi, saranno la spinta per ritrovare una socialità nuova.

TAG: avv Monica Mandico, coronavirus, Ristoranti
CAT: cibo & vino, Napoli

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