Oscar 2015, vince il discorso di Graham Moore

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24 Febbraio 2015

La notte degli Oscar porta con sé, ogni anno, diversi dibattiti più o meno interessanti. Si incoronano i look migliori e quelli peggiori, ci si scatena in polemiche sulle assegnazioni delle tanto ambite statuette, difendendo i personalissimi gusti cinematografici tra snobismo e spirito pop, e si commentano gli atteggiamenti delle star come se ci si aspettasse che chi è dotato di così tanta visibilità ne facesse buon uso. Tra i tanti temi discussi dal popolo della rete e soprattutto da quello di Twitter, sempre molto attivo nelle grandi occasioni cine-televisive, spiccava ieri l’elezione del miglior discorso fatto dai premiati sul palco del Dolby Theatre.

Meno considerate, anche della stampa internazionale, seppur comunque meritevoli di attenzione, perché dedicate a temi importanti quali la Sla e il morbo di Alzheimer, le parole di Eddy Redmayne e Julianne Moore, miglior attore e attrice protagonista rispettivamente per La teoria del tutto e Still Alice.

Due invece i “monologhi” più apprezzati e soprattutto discussi: quello di Graham Moore, trentatreenne americano premiato per la sceneggiatura non originale del film The Imitation Game, e quello di Patricia Arquette, migliore attrice non protagonista per Boyhood. Il discorso della bionda attrice americana, conosciuta dal grande pubblico per la serie tv Medium è sembrato in poche ore divenire un piccolo manifesto femminista contemporaneo. Sicuramente politiche le parole della Arquette hanno risvegliato l’orgoglio delle donne presenti in sala; impossibile non notare l’entusiasmo della collega Meryl Streep e di Jennifer Lopez che con urla e applausi dimostravano graditissima approvazione. Premiata per il suo ruolo da mamma single in Boyhood l’attrice ha detto al microfono con convinzione: “Tutte le donne che hanno partorito, tutte le cittadine e contribuenti di questa nazione: abbiamo combattuto per i diritti di tutti gli altri, adesso è ora di ottenere la parità di retribuzione una volta per tutte, e la parità di diritti per tutte le donne negli Stati Uniti.”. Parole chiare, dirette e che trasudano uguaglianza, diritto ancora poco praticato in moltissimi paesi del mondo, spesso anche nei nostri occidentali, che anche se in maniera ovviamente diversa da realtà culturali, sociali e politiche più complesse, faticano a riconoscerlo e garantirlo. Si pensi che in Europa il differenziale di genere, cioè la differenza media tra lo stipendio orario di un uomo e di una donna, è del 16,4%, chiaramente a favore del sesso chiamato forte: c’è persino stato il bisogno di instituire una giornata europea dedicata alla parità per auspicare ad un vero cambiamento, anche culturale.

Di diverso impatto emotivo invece è stato il commovente “monologo” dello semisconosciuto ai più sceneggiatore di The Imitation Game, Graham Moore, premiato con la statuetta d’oro. A molti la scelta è sembrata essere un riconoscimento di consolazione al film che non ha ricevuto nessun altro premio. Le parole di Graham Moore, forse per i cinici più accaniti troppo assecondanti la lacrimuccia facile, risuonano, però, riascoltandole oggi, più necessarie che mai. Lo scrittore, omaggiando inizialmente Alan Turing, la cui storia è raccontata nel film, ha detto sul palco del Dolby: “Sono ossessionato dalla sua storia da quando ero un adolescente. E’ sempre stato un eroe per me. Era il ragazzo più intelligente in qualsiasi stanza entrasse. Ed era un uomo gay.”. Il matematico Turing è morto suicida a quarantun’anni dopo una condanna per omosessualità e dopo essere stato obbligato ad assumere per mesi estrogeni per la castrazione chimica. Graham Moore rivolgendosi al pubblico e visibilmente emozionato ha continuato, concludendo: “Quando avevo sedici anni ho cercato di uccidermi perché mi sentivo strano, mi sentivo diverso, mi sentivo di non appartenere a questo mondo. E oggi sono qui. Vorrei dedicare questo momento a tutti quei ragazzi che si sentono strani, differenti e che non si sentono buoni a nulla. Ce la farete. Siate diversi. Siate strani. E poi, quando sarà il vostro turno qui, su questo palco, per favore lasciate questo messaggio a chi verrà dopo di voi”.

Parole, queste ultime, toccanti, da alcuni definite un elogio della diversità. Il discorso dello sceneggiatore, infatti, tocca un nodo cruciale della nostra società: quanto viene tutelata, accettata, oltre che liberamente vissuta la diversità? E lo eleggo a miglior discorso. Perché pensateci, oggi come si possono garantire uguali diritti a tutti se prima non si accettano ancora le differenze? Non importa se si tratta di differenze di genere, di orientamento sessuale o di abitudini quotidiane, queste non devono e non possono essere motivo di mera discriminazione. “Sei donna? Se sei madre non ti assumo. Sei gay? Non hai diritto di assistere il tuo compagno in ospedale. Straniero? Prima gli italiani.” Quindi ascoltate Graham Moore, siate diversi e continuate ad urlare dai vostri palchi quotidiani quanto sia nel vostro diritto esserlo, prima o poi anche quello della politica, forse se ne accorgerà.

TAG: cinema, oscar, premi oscar
CAT: Cinema

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