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Milano

Design week quando Milano diventa un non luogo e ti viene voglia di passeggiare

di Marco Dell’Acqua
15 Aprile 2019

Amo Milano, la mia città. La amo anche durante la Design week quando è colorata, viva, piena di gente, divertente ma anche caotica e incasinata.
In questi giorni, però, ho sentito come un senso di estraneazione rispetto al luogo in cui sono nato e dove vivo ogni giorno della mia vita.
Per piacere sempre di più e attrarre (parola magica, una specie di abracadabra), attrarre e ancora attrarre, gente, persone, buyer, Milano si trasforma e si snatura, vuole piacere. Milano non è sfacciata e questo mettersi in lungo, da “gara” per attirare l’attenzione lo trovo innaturale. E così, camminando piacevolmente nei luoghi della movida, mi sono sentito straniero a casa mia.
Il sottofondo è quello delle voci in tante lingue diverse e gli spazi (nuova icona del linguaggio) sono tappezzati di avvisi multilingua, ma senza l’italiano. Milano si vergogna?
Nel fuori salone si celebra, ad esempio, la plastica (soprattutto quella riciclata) ma non chi l’ha inventata, proprio a Milano, Giulio Natta.
La città diventa – ossimoro- lo sfondo in primo piano; come in un selfie permanente, davanti ci sono le installazioni di questo o quel designer e, in secondo piano, la bellezza della città.

Gli eventi sono privati, auricolari, giacche nere, occhiali neri, barbe nere, muscoli, dopo lunghe attese si può assaggiare il privilegio di vedere qualcosa che, altrimenti, sarebbe esclusivo.
La baraonda coinvolge tutti, chi è in lista e chi clacsona per un’ora perchè non riesce ad arrivare a casa sua.
In questa settimana, il fighettismo milanese celebra la sua epifania di zenzero e coriandolo, di bubble tea e centrifugati smoothie, esattamente come quello che si trova nelle altre metropoli del mondo.
Senza accorgerci, vagando da un padiglione a un altro, da un ape a una presentazione, dai guru ai visionari, dai giapponesi agli olandesi, ci ritroviamo in un non luogo metropolitano. Eppure sarebbe bastato poco, ad esempio onorare uno dei più grandi architetti che a Milano ha lavorato, Donato Bramante, il quale ci ha regalato la meraviglia dell’Abside di San Satiro, uno scherzo visivo che da secoli stupisce chi la va a vedere.
L’atmosfera è comunque energica, quella di una città che ha sempre saputo cambiare, rigenerarsi, essere la prima. Ma sempre con discrezione.

A pochi passi dal visitatissimo chiostro della Statale c’è la chiesa di Sant’Antonio Abate, un luogo artistico incredibile, affrescato in ogni millimetro, con una storia secolare. Una perla del barocco diventa alternativa e fuori dal mainstream di chi, invece, si crede alternativo.
Il vero atto di insubordinazione rispetto al traffico del Salone è quello di andarsi a riprendere la città, scoprendone la Storia, le storie e i luoghi che nella corsa quotidiana non riusciamo a cogliere.
Il gruppo facebook Passeggiando per Milano (e dintorni) è passato dalla rete, dai social (dove ha migliaia di iscritti) al sociale ovvero alla capacità realizzare delle passeggiate dove ascoltare le storie e riscoprire posti conosciuti da tutti ma anche quelli non conosciuti da nessuno. Le passeggiate condivise sono il momento in cui un serpentone di oltre centro persone si riprende pacificamente, monumenti e piazze, chiese e palazzi. Non ci sono differenze di alcun tipo, ognuno, ma veramente ognuno, può postare, raccontare, condividere, partecipare. Non si contrappone a nulla, anzi lo scopo è proprio l’inclusione. Sabato la magia si è compiuta un’altra volta e il gruppone si è mosso con agilità nel centro, affollato dai visitor, finendo il suo giro proprio a Sant’Antonio Abate (dove è stata scattata la foto).
Il giorno dopo Milano si svuota e ritorna da noi e per noi, riconoscendo chi le vuole bene sul serio.
.

milano
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