COP23, per salvare l’Artico i politici ascoltino gli scienziati

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7 Novembre 2017

di Marco Cataldi

Il clima sta cambiando, lo sappiamo tutti. Tuttavia, alcuni ne pagano le conseguenze più di altri. Nel maggio del 2013 l’Arctic Council, il forum internazionale che discute dei problemi dei governi artici, della popolazione indigena dell’Artico e degli obiettivi di sviluppo sostenibile e protezione ambientale nell’Artico, ha chiesto all’Artic Monitoring and Assessment Programme (AMAP) di produrre dei report tecnici per assistere le decisioni politiche e gli investitori nello sviluppo di strumenti di adattamento e strategie per meglio affrontare i cambiamenti climatici e altri fattori impattanti sull’ambiente.

Anche sulla base di questi report, chiamati con l’acronimo SWIPA (Snow, Water, Ice and Permafrost in the Aric) si è basato uno dei primi side event della 23esima Conferenza delle Parti (COP23) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che si sta tenendo a Bonn, in Germania.

Change is the new constant”, ha affermato René Soderman, funzionario finlandese dell’Artic Council, e il cambiamento climatico nell’Artico ha un passo particolarmente rapido. David Barber, professore universitario canadese, ha illustrato l’immediatezza e la rapidità del cambiamento climatico, specialmente in alcune regioni: l’Artico non è mai stato così caldo come lo è stato tra il 2011 e il 2015 (almeno da quando si hanno dati strumentali, cioè all’incirca dal 1900) e si è scaldato due volte più velocemente del resto del mondo negli ultimi 50 anni. Nel gennaio 2016 l’Artico è stato 5° C più caldo della media del periodo 1981-2010 e, inoltre, anche la temperatura del mare si sta alzando, sia in superficie che in profondità. Il riscaldamento delle acque porta ad una stratificazione degli oceani con conseguente perdita di nutrienti, che non riescono a fluire tra i diversi strati. Una minore disponibilità di nutrienti per gli organismi marini provoca una perdita di biodiversità, che si traduce anche nella riduzione della quantità di pescato. Un fatto di estrema gravità per quei paesi che hanno fondato la loro economia sulla pesca, che vedono così ridotti i loro introiti.

Tra i vari problemi che lo scioglimento dei ghiacci porta, due in particolare sono stati trattati in questa conferenza: l’innalzamento dei mari e la perdita di territorio per le popolazioni che vivono in Artico. Mentre il secondo problema riguarda principalmente gli Inuit, che infatti hanno fondato l’Inuit Circumpolar Council, il problema dell’innalzamento dei mari riguarda tutto il mondo, anche se con intensità diverse; ad esempio, è massimo nella zona tropicale.

Gli scienziati hanno bisogno sempre di più dati per migliorare i propri studi e per affinare i modelli. Nonostante ciò i report ci sono giungono tutti alla medesima conclusione: per limitare i danni del cambiamento climatico è necessario agire adesso, e per fare ciò si deve instaurare una comunicazione efficace tra la sfera politica e quella scientifica, perché le informazioni ci sono ma non vengono usate.

TAG: artico, cambiamenti climatici, COP23, polo nord, riscaldamento globale
CAT: clima

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