Se a febbraio fa 20 gradi, dobbiamo aver paura dell’estate 2019?
La carta che vedete quassù è uno scatto di oggi 18 Febbraio 2019 del noto modello previsionale americano GFS, che, volendo semplificare brutalmente, ci da un’istantanea della temperatura delle masse d’aria che saranno sopra l’Europa il giorno 23 febbraio 2019.
Non c’è bisogno di essere grandi esperti di meteo per rendersi conto che larga parte dell’Europa si trova già e si troverà ancor di più nella seconda parte della settimana in un contesto termico da primavera avanzata. Siamo di almeno un mese in avanti sul calendario, in alcune zone anche di due/tre.
Della situazione globale in questo “bollente” febbraio 2019 ho già parlato in un altro articolo sempre su Gli Stati Generali, ed in questa sede non posso che confermare una situazione invariata (anzi, leggermente peggiorata: oggi 18 febbraio 2019 l’anomalia termica globale è +0.7; fonte Climate Change Institute, University of Maine).
Tra le varie domande ricevute in seguito a quell’articolo, mi è stata posta questa: vista la situazione attuale, con un febbraio che sembra comportarsi da aprile, dobbiamo davvero aver paura di quello che potrebbe succedere la prossima estate? Cosa dicono i modelli?
Risposte facili a questa domanda non esistono. Le previsioni a lungo termine, e con lungo termine si intende solitamente già oltre i 5-7 giorni, hanno una affidabilità molto bassa, e sono utili solo per tracciare delle tendenze.
Le previsioni stagionali, o a lunghissimo termine (parliamo dunque di mesi) sono ancor più incerte e si basano sullo studio di condizioni di partenza a livello globale (esempio la presenza de El Nino, le traiettorie e lo stato di salute dei Vortici Polari, la temperatura degli oceani e molte altre) e sulla loro possibile evoluzione. Se è vero che dei progressi si sono fatti negli ultimi anni nello studio di questi fenomeni, le variabili in gioco rimangono moltissime e le previsioni vanno ancora prese con le molle. Ma proviamo.
La fonte forse più autorevole per avere un quadro della stagione che andremo a vivere è il Climate Prediction Centre del Nooa, la National Oceanic and Atmospheric Administration del governo americano (www.noaa.gov). Utilizzando i calcoli da loro effettuati, i cui risultati sono riassunti su questa mappa, i tre mesi estivi del 2019 dovrebbero vedere l’Europa vivere diffuse anomalie termiche positive tra i +0.5 ed i +1 gradi, con una situazione più fresca ad Ovest e più calda ad Est.
Stando così le cose, è fin troppo facile prevedere che la stagione sarà torrida, con frequenti ondate di caldo africano, punte di 40/42 gradi nelle zone interne più soggette all’accumulo di calore e 38/39 gradi afosi nelle grandi città del Centro Nord.
Ma queste anomalie, piuttosto contenute in un contesto altrove ben peggiore, lasciano intendere anche periodi abbastanza lunghi caratterizzati dall’anticiclone azzorriano, più mite e meno umido (era la figura barica prevalente negli anni 70 e 80, quello della classica “bella estate italiana”), e rapide rinfrescate atlantiche in grado di portare le temperature sotto media per brevi periodi (con annesso maltempo intenso e potenzialmente pericoloso).
Se così sarà, consideriamoci fortunati. Il trend che abbiamo innescato a livello globale vede un riscaldamento rapido e repentino, e ciò che è ormai chiaro è che le ondate di calore alle “medie” latitudini si fanno sempre più estreme e durature. Basta guardare come vanno le cose dall’altra parte del globo, in Australia, dove le estati a 50 gradi sono ormai da qualche anno una minaccia concreta (la città di Marble Bar, in Australia Occidentale, ha toccato i 49,3°C recentemente) .
In conclusione: dobbiamo aver paura della prossima estate? No, non necessariamente. Purtroppo però basta cambiare un paio di lettere alla domanda e cambia anche la risposta. Dobbiamo aver paura delle prossime estati? Pare di sì.
Soprattutto se continuiamo a fare finta che vada tutto bene.
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