NO, CHI HA VINTO SANREMO NON È UN PROBLEMA. QUESTO LO È

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12 Febbraio 2019

Sia chiaro: lungi da me voler affermare che il Festival della canzone italiana non abbia diritto a scaldare gli animi. Polemiche, scoop, rivalità interne, colpi di scena: anche la 69esima edizione del Festival non poteva sottrarsi al rituale, e forse va bene così.
Certo, penso che tutti qui ci saremmo risparmiati l’aria da “caccia all’immigrato” scatenata dal fatto che il vincitore (Mahmood) non ha fattezze 100% italiche, ma d’altronde, vista l’aria che si respira nel Bel Paese da qualche tempo, non c’è proprio nulla di sorprendente (solo di triste, se vogliamo).

Devo dire, però, che ancor più della vicenda Mahmood in sé e dei tweet di Salvini, che mi hanno interessato il giusto (cioè zero), non ho potuto rimanere ugualmente impassibile di fronte all’impegno di stampa ed intellettuali nel voler dar seguito a tutta un’altra serie di vicende più o meno correlate: i coloriti battibecchi tra Ultimo ed i giornalisti, la diatriba sull’importanza del televoto e sui diritti dei televotanti, discussa in pompa magna quasi stessimo parlando di voler riformare la Costituzione, fino ad arrivare ai colossi della stampa nazionale sperticarsi per descrivere al meglio il look rivoluzionario della Berté.

Tutto interessantissimo.

Però, adesso che il Festival è finito da diversi giorni, facciamo in modo che i giornali, i social, e soprattutto i nostri politici possano tornare ad occuparsi di altre questioni?
Anche perché, nel frattempo, succedono cose abbastanza importanti. Ne dico una su tutte, presa a caso eh: il mondo su cui viviamo sta friggendo.

Come dite? Ancora questa storia trita e ritrita del Global Warming? Anche in inverno Giancarlo Villa ci deve fare la lezioncina sul riscaldamento globale?

Ebbene sì, perdonatemi. Forse non è un argomento ugualmente appassionante, ma merita di essere approfondito. Concedetemi un minuto per dirvi perché.

La mappa che vedete qui è di semplice lettura: mostra le anomalie termiche a livello del suolo rispetto al periodo 1979-2000, ed è fornita ed aggiornata quotidianamente dal Climate Change Institute dell’Università del Maine.

 

In altre parole, la mappa confronta la temperatura odierna con quella media registrata, nello stesso giorno dell’anno, negli ultimi vent’anni del secolo scorso (quando il pianeta, per inciso, era già ben più caldo del “normale”). Ad una temperatura più bassa della norma corrispondono colori dall’azzurro al blu scuro, a temperature più alte colori dall’arancione al rosso (la legenda è sotto la mappa). La carta qui presente si riferisce alla giornata di ieri 11/02/2019.

Il colpo d’occhio generale, già di per sé, è abbastanza eloquente, ma non dobbiamo fermarci lì. Il diavolo si annida nei dettagli.

Facciamo un esempio. Si è parlato per giorni e settimane dell’eccezionale ondata di gelo che ha colpito gli Stati Uniti settentrionali, in particolare la zona dei Grandi Laghi e di Chicago. Se andiamo a vedere sulla nostra mappa, tuttavia, notiamo che, dopo appena una settimana, di quel gran freddo non solo non è rimasto nulla, ma che siamo nuovamente tornati a temperature ben al di sopra di quelle che dovrebbero essere le medie stagionali. Il nucleo gelido si è spostato a Nord-Ovest, in Canada, ma basta andare ancora più verso il Polo Nord per trovare un vero e proprio disastro.

L’Artico è la regione del globo che più di tutte risente del riscaldamento globale (non sappiamo bene il perché, ma è ormai una certezza) ed è anche quella più sensibile, vista la presenza di ghiacci ad altissimo rischio di scioglimento totale nei prossimi decenni. Ad oggi l’anomalia positiva nella zona Artica è di oltre +2 gradi, e qualche tempo fa aveva toccato un terribile +4 (per intenderci sui numeri, l’Accordo di Parigi si proponeva di mantenere l’anomalia globale sotto il grado e mezzo…)

L’Antartide sta messo poco meglio, l’Africa è costantemente in anomalia positiva da anni, così come tutta la fascia tra i tropici e l’equatore, mentre l’Australia ormai da qualche tempo soffre di ondate di calore talmente brutali che potrebbe diventare largamente inabitabile già nel giro di 10 o 15 anni.

E l’Europa? La mappa parla da sé. Viaggiamo sopra media di diversi gradi, ma la cosa più evidente è la gravissima assenza del freddo in Russia. La Russia e la Siberia in particolare sono le vere e proprie “macchine dell’Inverno” del nostro continente. Da lì viene il cosiddetto “Buran”, il vento gelido dell’Est che è solito sferzare il Vecchio Continente nei mesi invernali e spingersi, due o tre volte l’anno, anche da noi. Il quadro, anche qui, è da profondo rosso.

La mappa che vi ho proposto, chiaramente, cambia in maniera repentina e cambierà ancora nei prossimi giorni, settimane e mesi. Non sono esclusi colpi di scena. Alcune delle regioni che oggi sperimentano anomalie positive si raffredderanno e viceversa. Episodi di freddo continueranno a manifestarsi, talvolta anche intensi. Ma la situazione generale migliorerà? La risposta, ormai inequivocabile visto il trend ben definito, è no, per niente.

La vera domanda che dobbiamo porci è questa: quanto ancora peggiorerà prima che riusciamo a fermare il processo (se mai ci riusciremo)?

Se all’inizio di questo articolo mi sono permesso di tirare in ballo il Festival di Sanremo, rischiando le ire degli appassionati, è per attirare la vostra attenzione su un qualcosa di cui dovremmo parlare sempre, tutti i sacrosanti giorni, fino alla nausea, alla ricerca di soluzioni: da quelle politiche ed internazionali a quelle, non meno importanti, che possiamo trovare modificando il nostro stile di vita quotidiano.

Sanremo è finito. L’edizione numero 69 è in archivio, fatta e conclusa, e non c’è più nulla che si possa fare per modificarne il risultato. Possiamo ora concentrare le nostre energie su un finale che abbiamo ancora la possibilità di cambiare? Le conseguenze di un fallimento, in questo caso, sarebbero ben peggiori che il doversi subire un tweet di Salvini in odore di razzismo.

TAG: anomalie termiche, clima, riscaldamento globale, Sanremo
CAT: clima

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