La TAV, l’ambiente, il dito e la luna

:
8 Marzo 2019

Per capire rapidamente da che parte si collochino gli sconosciuti che al bar si infilano nelle vostre conversazioni con gli amici, basta prendere nota di alcuni elementi retorici, a volte soltanto lessicali, che funzionano come spie del set di idee installato nelle loro zucche. Ad esempio, la contrarietà all’unione monetaria europea caratterizza il sovranista e il fascista (esistono posizioni noeuro di taglio marxista, destinate però a confondersi sempre più con la morchia rossobruna) e quando il nome di George Soros fa capolino nella conversazione, sappiamo che chi ci parla è sicuramente uno xenofobo e probabilmente un antisemita. Dello stesso corredo fanno parte anche la locuzione «trafficanti di uomini» e il negazionismo del riscaldamento globale. A volte non è così semplice, dal momento che questi elementi retorici non sono perenni, seguono l’evoluzione della società, della comunicazione politica con le sue pratiche di framing, oltre che della lingua stessa. Così, parlando di ambientalismo, cioè di quella forma ideologica che nel discorso pubblico viene sovrapposta all’ecologia propriamente detta, si è assistito nell’arco di pochi decenni a uno scivolamento a sinistra di concezioni tradizionalmente reazionarie.

Al contrario di quanto si sostiene in quest’articolo di Silvia Bianchi, la Sinistra, prima del suo spappolamento postmoderno, è stata storicamente sviluppista, industrialista e sostenitrice delle “grandi opere” («I soviet più l’elettrificazione», diceva quel tale). Se in questo paese i riformisti sono diventati “di destra”, come sostengono molti loro critici, altrettanto a destra si collocano quindi molti di quegli stessi critici, che da tempo hanno fatto proprie parole d’ordine della Nouvelle Droite come decrescita e comunità. Anche al di fuori delle frange estreme, più vicine ai culti ereticali che alla politica propriamente detta, un certo gergo è diventato d’uso comune. Ad esempio, l’uso generalizzato dell’espressione “grandi opere” (a proposito: “grandi” quanto? ) come sinonimo di distruzione ambientale o quello, estensivo e scorretto, di beni comuni (promemoria: i pesci del mare sono beni comuni, i teatri e i cinema, sfortunatamente, no). Eppure alcune soluzioni proposte per arrestare il Global Warming – una realtà misurabile sulla quale esiste il consenso della comunità scientifica – rientrerebbero nella definizione, per quanto ambigua, di “grande opera”.

Se ad esempio la città di Milano decidesse di alimentare i consumi domestici di tutte le 7-800mila famiglie del suo territorio comunale con il fotovoltaico, installando 20 kmq di pannelli [calcolo spannometrico fatto pensando a 0,5 MW di resa per ettaro], non si tratterebbe forse di una “grande opera” – soggetta certamente ai fenomeni NIMBY del caso? Anatema! Semmai, risponderebbero gli ambientalisti, occorre realizzare quella “grande opera diffusa” che consiste nell’efficientamento energetico degli immobili e in soluzioni energetiche innovative. Splendida idea, che richiede necessariamente delle politiche di incentivi e disincentivi fiscali rivolti in particolare ai singoli nuclei familiari. È certamente vero che, come si sostiene nell’articolo citato sopra, l’uso della leva fiscale per cambiare abitudini energetiche poco virtuose colpisce principalmente le classi meno abbienti, cioè chiunque non si possa permettere di comprare un’auto elettrica, di fare il cappotto alla casa, di cambiare caldaia o di cibarsi di ortaggi venduti in qualche agro-boutique a Km zero. Gli incentivi o i contributi diretti, senza i quali ci scorderemmo il 35% medio di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in area UE, sono quindi da preferire e, dice sempre Silvia Bianchi, «tutto ciò richiede di ampliare, anziché ridurre, il ruolo dello Stato nella vita economica del Paese».

A proposito di grandi interventi statali, in queste ore è inevitabile pensare alla controversia sulla Torino-Lione che, usata come pretesto per una crisi di governo, potrebbe salvare le bestie gialloverdi dall’imbarazzo di una nuova finanziaria ai danni del popolo che dicono di voler difendere (ma questa, come si dice, è un’altra storia…). Opera pubblica, ma evidentemente troppo grande, e di conseguenza bocciata dall’Ente Certificatore della Vera Sinistra del Terzo Millennio, la TAV rientra ormai nella categoria delle dispute religiose e le mie capacità si limitano alla conta delle contraddizioni logiche, spesso talmente banali da passare inosservate. Silvia Bianchi ci spiega che quando la TAV sarà finita avremo ormai il nostro grado e mezzo di temperatura in più, e che quelle risorse andrebbero usate piuttosto per sostenere la transizione energetica, potenziare il trasporto pubblico, ecc.. Benissimo, senonché quei 7 miliardi quantificati dal Prof. Marco Ponti nel bizzarro studio presentato poche settimane fa corrispondono per la maggior parte alle accise sul carburante non più riscosse, spostando le merci dalla gomma al ferro. Toh, ecco la famosa leva fiscale “di destra” che colpisce i più poveri.

D’altro canto, stando a un allievo dello stesso Ponti, il costo dell’opera non sarebbe giustificato dall’esigua riduzione di CO2 attuata spostando un po’ di tir dall’autostrada alla ferrovia. C’è da credergli, anche perché in generale il trasporto privato incide poco sul riscaldamento globale, nell’ordine del 10% del totale delle emissioni, e qui sarebbe molto utile divulgare – nel senso di diffondere, ma anche di spiegare per bene – alcuni dati ignorati sia dai media generalisti che dalle voci dell’ambientalismo militante. Nel 2013, anno del picco di produzione di rinnovabili in Italia (41% del totale), l’intero sistema delle rinnovabili in area UE, sostenute da costosi incentivi pubblici che personalmente ho sempre visto con favore (pur ritrovandomeli in bolletta e facendo parte dei meno abbienti di cui sopra) aveva ridotto di circa 30 milioni di tonnellate le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Un successo enorme, che diventa però ben poca cosa se paragonato agli effetti del solo protocollo di Montreal – l’accordo dell’89 sul bando dei clorofuorocarburi, gas responsabili del “buco nell’ozono”.

Che c’entrano i CFC, direte. I CFC c’entrano perché contribuiscono a loro volta all’effetto serra, in misura proporzionalmente più grande della stessa anidride carbonica, tanto che l’accordo di Montreal ci ha risparmiato ogni anno 11 miliardi di tonnellate (in questo caso equivalenti) di CO2. Circa trecentocinquanta volte in più di tutte le rinnovabili europee e cinque volte l’obiettivo del protocollo di Kyoto per gli anni 2008-2012. Tutto questo per dire che il proposito più importante del nostro futuro come specie vivente, e cioè rendere (più) sostenibile la nostra presenza su questo pianeta, è una faccenda estremamente complessa che richiede grandi competenze, molto studio, poche strumentalizzazioni e nessuna isteria. Chi consideri le “scienze dure” troppo dure – il che è legittimo – può sempre contribuire al dibattito pubblico dedicandosi a ripulire il linguaggio dai riflessi irrazionali, dalle semplificazioni e dai luoghi comuni e a spostare l’attenzione delle persone “dal dito alla Luna”. Sono certo che anche l’ambiente naturale ne trarrebbe grande giovamento.

Foto: Nick Youngson (CC)

TAG: Alta Velocità, ambientalismo, ecologia, riscaldamento globale, Tav, Torino-Lione
CAT: clima, infrastrutture e grandi opere

3 Commenti

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

  1. silvia-bianchi 5 anni fa

    Con sincerità, non sono riuscita a capire l’oggetto della polemica nella quale sono stata coinvolta.
    Mi pare di capire che avrei “posizioni reazionarie” perché ho citato la Tav e, in generale, le grandi opere (di cui la Torino-Lione è diventata il simbolo) come in contraddizione con la presunta “svolta ambientalista” del Pd: è vero, chi sostiene la necessità di limitare il consumo di suolo è sicuramente un “conservatore”, così come pensa sia necessario contrastare il cambiamento climatico e vorrebbe poter tornare al clima di un secolo fa… posizione decisamente reazionaria!

    Battute a parte, vorrei capire in cosa l’Autore ritiene che io sia in errore quando sostengo che la lotta contro il riscaldamento globale è, e deve essere, di sinistra: sicuramente in passato la sinistra è stata “sviluppista”, come lui sostiene, ma mi pare che le cose siano un bel po’ cambiate negli ultimi decenni (quando il campione delle grandi opere è diventato il Cavalier Berlusconi) e soprattutto che sia necessario che cambino ulteriormente, per evitare che l’obiettivo di salvare il pianeta (ovviamente condivisibile da tutti) venga declinato “da destra”, cioè facendolo pagare ai più deboli.

    Infine, la polemica sulla Tav non mi appassiona: ritengo che quest’ opera, probabilmente inutile, sia ormai troppo avanzata per essere abbandonata e che sia semplicemente diventata un simbolo utile per un teatrino politico. La Lega (e, duole dirlo, anche il Pd di Zingaretti) la cavalca come emblema del perseguimento delle esigenze del nord produttivo (i famosi “madamin”) e da destra si gioca a contrapporla all’assistenzialismo di matrice M5S. A me interessava solo sottolineare la contraddizione tra l’annunciata svolta ambientalista e il contemporaneo appoggio a un’opera che è stata sempre contrastata dai Verdi italiani e europei

    Rispondi 0 0
  2. federico.gnech 5 anni fa

    Posso solo invitarti a rileggere il pezzo.

    Rispondi 0 0
  3. federico.gnech 5 anni fa

    Posso solo invitarti a rileggere il pezzo.

    Rispondi 0 0
CARICAMENTO...