Quel che resta dell’anno

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15 Aprile 2021

All’inizio resisti, poi scalci un po’, quindi ti abitui. A non vedere gli amici, prima, a sentirli sempre meno, alla lunga. E al sostantivo ‘amici’ possiamo sostituire bancone di una bar, tavolo di un ristorante, posto in platea. Si diventa più orsi. Si rinuncia fino a non sentire più il bisogno. Si dimentica, quasi, pure. Sto forzando la questione, per vedere un intero, e mi sto concedendo il lusso di considerare solo il tempo libero, l’aggettivo sublime da riempire di quello che ti va. Il dramma del lavoro scomparso, dei clienti persi, dei palchi mancati, insomma dell’ansia economica, è troppo grande e articolato, è una materia alla quale le mie parole non possono regalare una briciola di senso. Tantomeno di aiuto. Io posso avvicinarmi a parlare della parte intima e ludica. Quella che bilancia, stempera, e in qualche modo giustifica, il tempo necessario dell’impiego, mestiere, occupazione… Tra i sinonimi di lavoro, prima o poi troverà posto nel vocabolario anche la rapida e incisiva ‘Sbatta’. Anche se ci si morde la coda, perché questa parte ‘libera’ comprende la sbatta di chi contribuisce a offrirtela, e non può farlo. Anche se non ci si può smarcare dalle cose serissime, perché tanto sono lì, ti guardano con il sorriso sbilenco, scettico, forse pure con una puntina di disprezzo.

Io odio il coprifuoco. Lui è il soggetto che mina la mia vita sociale. È la nuvolona che incombe. La densa foschia sull’orizzonte. Il buio che non si può deliziosamente sondare. Il termine nasce nel medioevo, e ordina di spegnere qualsiasi fiamma per prevenire incendi. Ecco, mi mancano i fuochi accesi. Ed è un paradosso l’usare il rosso, arancione o giallo, anime cromatiche del fuoco, per definire quelle che per me pari sono: zone morte. Finché il coprifuoco non sparirà, io resterò un orso nella tana. Mi annoia uscire a pranzo, fare una passeggiata e un caffè pomeridiano, o un furtivo aperitivo. Ho bisogno dell’imbrunire, e di inoltrarmi nella notte. Ho bisogno di tempo. Per stare bene. E insieme.

È stato un anno ‘casalingo’ (la pausa estiva, illusoria e infetta), e negli spazi domestici ho cercato di vivere il mio tempo ludico e intimo, dalle piccole noie alle tenaci bisbocce. E ho potuto condividerlo con mia moglie e le mie figlie. Con l’aggiunta preziosa dei loro giovani compagni. Siamo noi, a imbastire cene elaborate e sperimentali, a sbevazzare, raccontarcela, cantare nei notturni weekend. Mio fratello e la sua famiglia gli unici che cerco di aggrappare, che poi si fermano anche loro a dormire accampati e russanti.

Questo tempo buio mette molte cose in chiaro. Tira le somme. Stringe quello che ti appartiene. Ribadisce quello che resta. Che hai costruito. Con la sbatta, certo, ma soprattutto con la pompa del cuore.

Tutto questo, in attesa di tornare ad esplorare.

 

 

 

 

TAG: Coprifuoco, Famiglia, pandemia
CAT: costumi sociali

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