I giornali scoprono che il Pride non è una carnevalata se partecipa la Boschi

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5 Settembre 2015

Siamo rimasti ai Gay Pride, quelli enormi delle grandi metropoli, che venivano tradotti dai nostri giornali e dalle televisioni come carnevaloni froceschi pieni di piume e paillettes ai quali, al massimo ma proprio al massimo, offriva il suo nobile e discusso affiancamento il sindaco della città. Qualche polemicuccia di qualche destro scemo ma niente di più dell’allegria consapevole di quei carri e di quelle persone. Nel senso che il nostro sguardo è semplicemente di superficie, distratto, un’occhiata di sghimbescio ai telegiornale e via. Una vera coscienza, rispetto a questo problema, in Italia non c’è mai stata, affiora qua e là per meritevoli e valorosi combattenti che spingono, spingono, per sollecitare e produrre ascolto. Se non persone migliori, certamente persone che si battono e alle quali esser grati.

Sono giorni nei quali si combatte per quel che a tutti noi appare come un autentico miracolo, mettere all’incasso le #Unionicivili che dovrebbero consentire a molti coppie omosessuali di sentirsi molto meno discriminate. La scemenza del Pd, in certe sue parti (c’è una parola più semanticamente corretta di scemenza?), ha prodotto una formuletta vagamente discriminatoria come le ben note #Specificheformazionisociali. Lorsignori si sono arrampicati cercando di spiegare che detta terminologia è mutuata da un articolo della nostra Costituzione e non sostituirà il termine Unioni civili. Lana caprina assoluta. Intanto la Carta parla di “formazioni sociali”, e qualunque gruppo animato è una formazione sociale. Anche la zanzara tigre, insieme a care amiche zanzare tigre, forma una formazione sociale. Ma se il legislatore, quando deve identificare gli omosessuali, fa precedere quella espressione così chiara da un’altra parola molto, molto, chiara, come “specifiche”, è chiaro che il cerchio si stringe sino a identificarsi come una ghettizzazione lessicale (e forse culturale).

Ma detto questo e tornando a come i mezzi di informazione vogliono imporre ora un nuovo sguardo sulla questione omosessualità. Siamo al punto che i grandi quotidiani, con la felice eccezione del Corriere della Sera, hanno sentito la necessità di mandare un inviato al Gay Village di Padova. Ma a fare che, direbbe il primo che passa, visto che gli altri Gay Pride li considerate alla stregua di un circo Medrano che passa festoso in città? Il motivo è presto detto: lì dentro c’è il potere, s’aggira un ministro e per di più è il ministro Boschi, particolarmente seguito in ogni suo movimento. È chiaro che su giornali così il Potere, chiunque lo rappresenti, può certamente contare, se poi è l’ambaradan renziano allora la questione si fa ancora più seria.

Naturalmente prima di scrivere queste poche righe, abbiamo verificato che dalle parole della Boschi, riportate con pezzi di apertura sia da La Stampa che da Repubblica, non emergessero elementi tali da cambiare la portata della storia, o anche della piccola storia. E onestamente non ci pare, scorgendo sul quotidiano di Torino un fondamentale: “Ce la faremo entro il 15 ottobre” e su Repubblica un altrettanto decisivo “Basta differenze sulle scelte di vita”, entrambe le esplosive dichiarazioni riferibili a Maria Elena Boschi.

Se questo è il tempo di un rapporto così, gazzettiere e trombettistico, ci sono fieramente da rimpiangere quei maledetti vent’anni berlusconiani, dove abbiamo visto e sentito di tutto, tra lustrastivali in servizio permanente effettivo e gente normale che almeno tentava di fare decorosamente il mestiere. Ma la melassa di oggi è un unicum straordinario e malinconico.

 

(Foto tratta dalla pagina Facebook di Maria Elena Boschi)

TAG: Gay Pride, maria elena boschi, padova
CAT: costumi sociali, Famiglia

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