Divulgare cultura è avamposto di indipendenza di giudizio

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1 Marzo 2022

“I am nude as a chicken neck, does nobody love me?
Yes, here is the secretary of bees with her white shop smock,
.Butting the cuffs at my wrists and the slit from my neck to my knees.
Now I am milkweed, the bees will not notice.
They will not smell my fear, my fear, my fear.”

Il verbo italiano divulgàre – dal verbo latino divulgāre, ‘spandere tra la folla’, composto dal prefisso dis- che indica dispersione e da vulgāre da vŭlgus – non è giunto a noi dal latino attraverso una tradizione ininterrotta dei parlanti, ma è entrato nel lessico italiano come prestito per via dotta.
Esiste un popolo che si è costruito studiando, lavorando alacremente, non risparmiandosi. Investendo su se stessi, che vuol dire non risparmiarsi nei giorni di festa, non sprecare tempo dinanzi alle vetrine, rinchiudersi in qualche biblioteca in cui ha cercato di approfondire conoscenze. Un popolo che sulla conoscenza ha edificato, e l’ha considerata un baluardo della propria vita al punto da scegliere la strada dell’approfondimento e della divulgazione.
A scuola si trasferiscono conoscenze che saranno poi rielaborate dagli alunni con apporti personali, per poi essere metabolizzati. L’insegnante offre, perciò, agli alunni il cibo di cui nutrirsi, il contributo di ciascuno lo renderà bolo alimentare, cioè quella poltiglia di cibo frammisto a saliva che si forma in bocca durante la masticazione, grazie all’attività meccanica dei denti, compattante della lingua e lubrificante della saliva.
L’approfondimento dell’insegnante non rimpingua le sue tasche, l’insegnante è quel divulgatore che crede nel valore della cultura come capacità di evolversi, un’arma che affranca gli alunni dalla condizione sociale per renderli competitivi in un mondo in cui i titoli, facilmente acquistabili, non contano più nulla. L’insegnante divulga e collabora coi ragazzi alla costruzione di un sapere che li eleva. La parola francese per alunno è proprio “éleve”, così come il participio passato di sapere è “su”.
Ovviamente solo un caso linguistico.
Esiste un mondo in cui l’indipendenza significa autonomia di giudizio, saper distinguere ciò che giusto da quello che è sbagliato. Studiare significa emanciparsi da un mondo che, ancora, fa bella mostra di sé spettacolarizzando serietà, competenza, che scambia l’autonomia per superficialità, incapacità. Reputa se stesso misura universale, e osserva ciò che gli sta intorno attraverso la propria lente deformante.
A scuola si impara a dire grazie per una spiegazione ripetuta, un approfondimento non previsto. Un grazie pieno di riconoscenza, che ha a che vedere col riconoscersi, ben lontano dal gràtis forma contratta del latino gratiis, ablativo plurale di gratia «grazia».

TAG: Cultura, indipendenza, scuola
CAT: costumi sociali, Fotografia

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