Dannunziani confusi e donne con la valigia

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23 Marzo 2022

Ciò che sto per scrivere sarà giudicato banale da quel nugolo di geopolitici che, da settimane, ci affliggono come zanzare fuori stagione. Al contrario però delle loro banalità, ripetute da tutti, tutti i giorni e pronunciate da ogni pulpito disponibile, questa, non so perché, non osa dirla nessuno. Perciò non la ritengo inutile anche se il fatto che a scriverla sia io, che non conto nulla, può farla apparire tale.

Ma a una certa età bisogna pur farsi carico della propria inconcludenza.

La esprimerò, per altro, in forma puramente ipotetica, perché solo così può essere espressa. Per me, in verità, potrebbe essere una speranza, se a custodirla non ci fosse uno scrigno di disperazione la cui chiave sembra definitivamente perduta.

Eccola, questa ipotetica, disperata, speranza: per porre fine a questa guerra – e anche a quasi tutte le altre – basterebbe che i poveri (in questo caso ucraini e russi) smettessero di farsi prendere per i fondelli dai ricchi (russi e ucraini).

Che essi rifiutassero la retorica infame che vuole sempre “all in the same boat” quando c’è da crepare ma che si guarda bene dal parlare di “popolo” quando invece c’è da spartire la ricchezza. E’ una speranza avvilente, oltre che disperata, perché comporta la consapevolezza della spaventosa muraglia contro la quale fatalmente s’infrange.

La presa per i fondelli infatti è talmente cronicizzata e istituzionalizzata che non ha più neanche bisogno di nascondersi. Per cui non la si può smascherare.

Se ne sta li, sotto gli occhi di tutti, evidente ma invisibile come la lettera rubata di Poe.

Sospetto che se avesse potuto essere smascherata lo sarebbe stata.

E non ci sarebbe adesso alcuna necessità di porre fine a una guerra.

Semplicemente perché nessuna guerra sarebbe in condizione di iniziare.

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Leggo questa notizia che per la verità non è nemmeno una notizia, riportata dal Times. Non mi aspetto, ovviamente, che la stampa italiana, dedita ormai quasi esclusivamente ai comunicati di propaganda bellica e alle bufale di sostegno alla santa alleanza ne fornisca conferma. Ma non importa, perché se anche non venisse confermata, se anche si rivelasse una “fake news” (ma non lo credo) essa rimarrebbe perfettamente verosimile. Sarebbe anzi, più che una falsità, una verità mancata. Una verità che solo per caso non è, diciamo così, diventata tale. Risulterebbe semmai ampiamente inverosimile che cose del genere non siano avvenute e non avvengano ogni giorno. Il vero scoop sarebbe insomma che cose del genere non succedano. Perché esse sono, nel sistema in cui viviamo, non “casi teratologici” ma la normalità e la regola. Sono quello che fa di quest’epoca ciò che essa è. La notizia, anch’essa banale quanto la disperata speranza di cui ho detto prima è che la moglie di un importante politico e imprenditore ucraino ha provato a passare la frontiera con quasi trenta milioni di dollari nelle valigie.

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Un noto intellettuale (di sinistra) Erri De Luca, giorni fa, in un’intervista, oltre a dare un contributo importante ai colloqui di pace affermando che “La guerra finirà con una botola sotto i piedi di Putin”, ha contribuito anche al morale della truppa con questo slogan degno di D’Annunzio: “Il popolo ucraino è pronto al più estremo dei sacrifici”.

Non desidero certo discutere uno slogan simile dal momento che la sua spudoratezza è del tutto fuori dalla mia portata.

Quello che vorrei sottolineare è solo l’uso che qui si fa della parola “popolo”.

In questa frase essa è talmente vuota da poterci ficcare dentro tutti: la signora coi trenta milioni, i nazisti del battaglione Azov, l’oligarca Kolomoisky, Zelensky, sua moglie e l’operaio, il manovale, il cameriere che, in quella meravigliosa terra della democrazia, della giustizia e della libertà, campano le loro famiglie con 300 euro al mese

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La presa per i fondelli di cui parlavo prima passa proprio attraverso queste forche caudine.

Da una parte, a prendere per i fondelli i poveracci c’è la signora ucraina con i trenta milioni che, di sicuro, stava correndo in qualche villa svizzera, tedesca o italiana a incitare “alla resistenza e all’estremo sacrificio il popolo ucraino” (a furia di selfie e di video postati su instagram e tiktok).

Ma dall’altra c’è proprio l’eroico benestante (giornalista, scrittore, cantante, comico o tenutario di programmi televisico) che ogni giorno e in ogni parte del mondo fa a gara nel denudarsi il petto e, dal salotto di casa, incitare all’estremo sacrificio un “popolo” che non esiste se non nelle sue frasi fatte.

Tanto l’estremo sacrificio, statene certi, non lo farà lui né la signora con la valigia.

TAG: Cultura, europa, giornalismo, italia, politica, Unione europea
CAT: costumi sociali, Media

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