Natale senza i tuoi, ovvero, la pandemia e l’ermeneutica natalizia

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8 Dicembre 2020

Dopo che per mesi lo sport nazionale è stato spiegarci il virus, da qualche settimana sta prendendo quota un’altra disciplina olimpica: spiegarci il Natale.

Hanno cominciato figure di spicco come il ministro Boccia (quello che ad Aprile s’arrabbiava perché gli scienziati non ci spiegavano il virus in maniera certa) e il Presidente del Consiglio Conte (quello che a Marzo diceva che ci saremmo abbracciati più forte dopo, ma senza specificare quando), adesso si aggiungono uno dopo l’altro personaggi più o meno competenti in materia che ci invitano a riscoprire la sobrietà e la dimensione spirituale del Natale. Niente da dire. Un recente post dell’altrimenti ottima Selvaggia Lucarelli ha il pregio di comprimere il succo dell’ermeneutica natalizia corrente in poche, ficcanti righe. Lo riproduco di seguito:

 

 

Mi permetto dunque di proporre, seguendo il post della Lucarelli, una breve ermeneutica dell’ermeneutica natalizia che (come tutte le ermeneutiche che si rispettino) ne smascheri qualche palese aporia.

(1)  “…quello che siamo obbligati a fare (le cene INFINITE, i parenti SGRADITI, i regali DOVUTI), …” Ora, io non so voi ma a me nessuno ha mai puntato una pistola alla tempia per andare alla cena di Natale, non tutte quelle a cui sono liberamente e consenzientemente andato in passato sono state infinite (se no, per definizione, non sarei qui a scrivere ma starei ancora mangiando), alcuni dei miei parenti li trovo persino gradevoli e anche sui regali confesso in passato di averne fatti alcuni perché proprio mi andava.

(2)  “Sarà un Natale senza rituali SUPERFLUI, visite OBBLIGATE, frasi di CIRCOSTANZA”. Qui ci viene in aiuto la logica. Se sarà un Natale senza rituali SUPERFLUI, visite OBBLIGATE, frasi di CIRCOSTANZA ne consegue che sarà anche un Natale senza rituali NON SUPERFLUI, visite NON OBBLIGATE e frasi NON DI CIRCOSTANZA, a meno che non si ritenga a priori che TUTTI i rituali sono superflui, TUTTE le visite obbligate e TUTTE le frasi di circostanza. È come dire: se appiccassi il fuoco a casa mia in questo momento andrebbero distrutte un sacco di cose inutili che ho ammassato negli anni. Vero. Ma anche un sacco di cose non inutili. Ragion per cui se la mia casa andasse a fuoco in questo momento non scriverei un post ispirato sulla forza purificatrice delle fiamme ma chiamerei i pompieri.

(3)  “…non ci saranno tombole e nonni che sia addormentano sul divano davanti alla TV, ma […] l’amore saprà di verità e di distanza”. Premesso che a me la tombola una volta l’anno non dispiace e che quello che spesso finisce per primo addormentato sbronzo sul divano sono io che di anni ne ho solo trentotto, ho qualche perplessità sull’amore che sa di verità E di distanza. Si sta suggerendo implicitamente che l’amore sa di verità PERCHÉ sa di distanza? Magari sbaglio io, ma a me l’amore è sempre piaciuto vicino e l’amor de lohn della lirica trobadorica mi è sempre sembrato tanto nobile quanto poco desiderabile. Intendiamoci: non che l’amore distante non possa sapere di verità, ma ricordiamoci, per l’amor del cielo, che è al limite second best, con evidente primato dell’amore di prossimità.

(4)  “Saprà di mancanza. Saprà di Natale…” Ora, non voglio fare il monsignore perché a questo ci pensano già i nostri politici, giornalisti, ecc. ma per il sapore di mancanza non c’era mica già la Quaresima? Il Natale non era la festa dell’Incarnazione del divino, cioè della presenza? “I nostri occhi hanno visto, le nostre mani hanno toccato il Verbo della Vita”… magari dopo una bella strofinata di Amuchina, ma comunque toccato, mica salutato su Zoom. Quindi non credo possa essere il senso di mancanza come tale a fare del Natale un Natale più vero, se per “Natale” intendiamo, appunto, Natale.

Questo modo di presentare le cose altro non è che un antico espediente retorico che in filosofia chiamiamo straw man fallacy (quando usato in contesti argomentativi). Se lo cercate su google tra virgolette il primo risultato dice così:

“A straw man fallacy occurs when someone takes another person’s argument or point, distorts it or exaggerates it in some kind of extreme way, and then attacks the extreme distortion, as if that is really the claim the first person is making.”

Traduco: “La fallacia del fantoccio si ha quando qualcuno prende l’argomento o il punto di qualcun altro, lo distorce o esagera in un qualche modo estremo e poi attacca la distorsione estrema, come se quello fosse davvero l’argomento che la persona in questione sta proponendo”.

Beninteso, non che i Natali pre-Covid non presentassero problemi, materiali e spirituali, ma proporne una caricatura estrema e unilaterale per poi farla a pezzi non è un esempio di buona argomentazione. Io mi accontenterei volentieri di abbassare l’asticella, in sintesi: ragazzi, quest’anno va così, deve andare così per ragioni sanitarie e faremo in modo di farcene una ragione. Però, santiddio, fateci un “regalo dovuto” (cit.): risparmiateci almeno l’ermeneutica natalizia!

 

TAG: #Coronavirus #Covid19, Cultura, Natale
CAT: costumi sociali, società

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