Numeri che non interessano a nessuno

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18 Aprile 2020

Nel 2018, in Italia, il quaranta per cento della popolazione possedeva quasi l’ottantotto per cento della ricchezza nazionale. Ci sono tutte le ragioni per ritenere che, oggi, questa diseguaglianza si sia accresciuta e, grazie alle pandemia, si accrescerà ancora. Sarebbero stati comunque sufficienti quei dati per fare prendere il forcone e assaltare i palazzi cantando “ça ira” chiunque avesse nelle vene ancora sangue e non coca cola. Essi hanno invece suscitato, al massimo, uno sbadiglio represso nel giornalista che, casualmente, ci si è imbattuto in cerca di scoop di rilevanza nazionale: il furbetto del cartellino, l’insegnante manesco, il finto pensionato e, al tempo del coronavirus, la sfilata di bare, l’eroe in divisa che saluta, quello in camice che balla, e il grottesco profluvio di sentimentalismo da rotocalco e cifre inconsistenti, inutili e sballate con cui quotidianamente ci inondano gli “scienziati” di turno. Eppure nessun argomento (dal coronavirus al gossip) può essere sensatamente affrontato,senza tener conto di quei numeri che sono, insomma, l’alfa e l’omega. Se non se ne tiene conto ci si muoverà inconsultamente come il sorcio nel labirinto perché essi stabiliscono il disegno generale nel quale ogni avvenimento della nostra esistenza quotidiana va a collocarsi come la minuscola tessera di un enorme puzzle. In quel quaranta per cento il quadro del benessere è, ovviamente, variegato: vi è un venti per cento che detiene il settantadue per cento della ricchezza e un altro venti che ne detiene solo il sedici per cento. Si va dunque dall’attico in centro, alla villa con piscina fino allo yacht e al jet privato. Ma questo ventaglio nasconde qualcosa che trascende i dati puramente economici e invalida alla radice la possibilità stessa di ciò che definiamo “democrazia” rendendo invece effettuale esattamente il suo contrario: una oligarchia fondata sul censo.

Per quale ragione dati come questi possono passare inosservati?

Perché quel sessanta per cento di italiani che vive alle soglie della povertà – assistendo ogni giorno ad una ostentazione offensiva di ricchezza – sembra accettare la sorte come un gregge instradato al macello?

La risposta alla seconda domanda è che il gregge non ha voce.

La risposta alla prima è che oltre a non aver voce non ha neppure orecchie.

Ogni fonema pronunciato in tv, ogni sillaba scritta che assurge alle glorie dell’editoria è prodotta da quel quaranta per cento che gode privilegi che solo questo stato di cose è in grado di garantirgli. Tutte le chiacchiere sulla “libertà di stampa” s’infrangono sul brutale paradosso che chiunque sia in grado di far sentire la sua voce contro il privilegio è in realtà un detentore di quel privilegio.

Solo per un miracolo chi deve tutto al privilegio di cui gode denuncerebbe quel privilegio come forma della barbarie; ed è proprio nelle epoche di barbarie, infatti, che più prospera la fede nei miracoli.

TAG: Cultura, giornalismo, italia
CAT: costumi sociali, società

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