O Matria, o Matria mia…

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1 Ottobre 2020

O Matria, o Matria mia…

Sembra più un’invocazione sicula (matři mia! anche beddamatři!).

Quando non si hanno più argomenti ci si concentra su vecchi simulacri, scrigni che raccolgono  i rimasugli del Romanticismo, briciole di culture e sottoculture che hanno, ahinoi, impregnato il pensiero di ben due secoli con risultati alterni.

Ormai da qualche tempo, in quest’epoca in cui alcune donne sentono la necessità di cambiare il lessico, in riferimento a sostantivi e concordanze che alle loro orecchie suonano come troppo maschilisti, ci si concentra sui danni che abbia causato il concetto di patria.

E fin qui possiamo essere d’accordo, anche perché, in una prospettiva storica, ne vediamo i disastrosi prodromi ed epigoni ogni giorno che Dio mette in terra. Viene il sospetto che, con tutta quella storia della Terra Promessa, il concetto di patria lo abbia inventato Lui. I danni si vedono in varie parti del mondo, mica solo nella nostra penisoletta a forma di stivaletto Prada. Ogni volta che non si sa come affrontare uno o più problemi si devia e si mette davanti la patria, concetto che mette d’accordo quasi tutti, in quanto comprende oggetti e persone che formano l’immaginario della gente, soprattutto di chi ha un’idea di patria davvero basica, da sussidiario di scuola elementare, fratelli d’Italia, il Vesuvio, la Ferrari, le lasagne. Forse anche la Madonna di Pompei e i calciatori che compongono la Nazionale.

La patria è l’Euskal Herria per i baschi (quante vittime in nome della patria), la Catalogna (regione ricchissima i cui abitanti vagano in catene trasportando pietroni sul groppone frustati dal resto degli spagnoli), il Veneto (bisognerebbe vedere quali sarebbero i confini, forse includendo Bergamo e Rodi, e poi Candia e Cipro, usurpate dai barbari ottomani) e così via.

Ugo Foscolo, buonanima, considerava patria la sua isoletta ionia, di cui non avrebbe mai più toccato le sacre sponde dove il mio (suo) corpo fanciulletto giacque, almeno non dopo il trattato di Campoformio, con cui Napoleone consegnò la Serenissima (padrona anche delle isole greche dello Ionio) all’Austria. Sarebbe interessante interrogare i votanti per la Liga Veneta per sapere quanti sono a conoscenza della storia patria o sono solo infatuati per l’attuale, virile ed evanescente Doge. Ma Foscolo, pur parlando della patria, ossia terra dei padri, secondo l’etimologia, in fondo al suo struggente sonetto endecasillabo, la chiama “o materna mia terra”.

Oibò, e che cosa è successo? Cos’è questo ermafroditismo idiomatico, cosa si nasconde in un concetto così maschile, come certe iperfemministe alfa sbandierano, ma che è di genere femminile e indica il grembo materno da cui nascono i figli? Cosa spinge ad agitarsi oggi codeste novelle erinni del sesso semantico, secondo loro specchio di una deformazione in senso maschile perfino del linguaggio, oltre che delle posture e di obbligatorie spiegazioni da parte degli uomini alle donne, come la da me già citata altre volte Rebecca Solnit pretende denunciare?

La patria, secondo loro (e da quel punto di vista hanno pienamente ragione), è ciò di cui i maschi si fregiano per fare i loro affari di guerra e di morte perché la terra è il luogo dell’identità e se viene tolta, conquistata o concessa in usufrutto estromettendone i “proprietari”, cioè quelli nati su quel suolo, ci si sente senza famiglia, senza casa. Dimenticando che certe donne hanno contribuito a scatenare guerre ancora in corso, soprattutto in Medio Oriente.

Anche il concetto di famiglia è legatissimo a quello di patria e inevitabilmente connesso a quello di Dio, la cui famiglia, a dire il vero era un po’ bizzarra tra padri che stanno in cielo, figli celesti incarnati sulla Terra e resuscitati, colombe, madri inossidabilmente vergini, padri putativi e così via. Diciamo che molte famiglie allargate moderne, nella loro varia composizione, piuttosto che quelle “tradizionali”, potrebbero somigliare in qualche modo alla Sacra Famiglia. E possono essere squinternate o equilibrate le une come le altre. Ma mettiamo da parte la famiglia, al momento, per tornarci a tempo debito. Era solo un antipasto.

Proviamo un momento a immaginare quale possa essere la patria per milioni di persone le cui famiglie, provenienti da continenti diversi, abbiano poi trovato dimora in un luogo assai distante da quello natio. Patria, per gli statunitensi, qual è? Un territorio tra le Rocky Mountains o la foce del Mississippi o la Calabria, la Toscana, l’Irlanda, il Messico, la Cina? Born in the U.S.A. cantava il Boss, Ev’rything’s free in America, cantava Anita in West Side Story, davvero una gran patria, visti i disastri perfino citati nelle canzoni. Perfino il missile distruttore si chiama patriot in quella nazione sciagurata e perniciosa.

Quale potrà diventare la nuova patria per quegli armeni di Van sfuggiti allo sterminio e alla devastazione degli ottomani (1915-1916), i quali non lasciarono che una spianata con pochissime rovine al posto della città, così come oggi accade per i siriani o i libici? Sarebbe difficile aiutarli a casa loro senza una casa. Credete che a coloro interessi chiamare la casa patria o matria?

Per ovviare all’imbarazzo che il concetto ipermaschile di patria si porta dietro, a queste iperfemministe è venuto in mente di chiamare questo luogo, appunto, “matria”, volendo intenzionalmente sovvertire il corteo di sangue che si porta dietro. Alcune, in nome della “matria”, pare che vorrebbero anche castrare il 25% dei maschi per far sì che non compiano danni. Sembra incredibile ma accade in Spagna, alle Canarie, per bocca dell’insegnante di letteratura Aurelia Vera, e si può ascoltare da registrazioni fatte dagli studenti, all’interno di un dibattito sull’interessante romanzo distopico di Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, 1985: “A los niños habría que castrarlos al nacer, pero de forma selectiva, para evitar la extinción de la especie”, (bisognerebbe castrare i bambini, ma selettivamente, per evitare l’estinzione della specie), così afferma l’insegnante, perché è il testosterone a causare i problemi. La lezione è molto più articolata e lei esprime come soluzione il concetto di matria e di matriarcato agli studenti stupefatti, maschi e femmine, senza mezzi termini. Probabilmente, in quel dibattito, ci potranno essere state anche sfumature ironiche che al di fuori di quella classe sono sfuggite, ma quelle parole sono state comunque dette e Vera non è solamente un’insegnante di provincia ma anche una politica attiva del PSOE, assai femminista, proprio alfa. E si continua a cadere sempre e comunque nelle trappole semantiche. Perché non basta essere femmina, essere madre, essere donna per essere buona e affidabile e, soprattutto, non violenta. La castrazione non è certamente un atto di gentilezza o un regalo di compleanno. E forse anche una matria al femminile non è garanzia di niente.

Aurelia Vera, insegnante di letteratura.

Inoltrarsi nei labirinti del femminismo porta anche a scoprirne i lati gotici, fanatici, deliranti, estremi, non solo quelli positivi di una corretta rivendicazione di diritti innegabili in una società veramente civile.

Il concetto di madre che noi abbiamo è arcaico quanto l’uomo. Nei lontanissimi esordi dell’umanità la Terra era la divinità più celebrata ed era raffigurata nell’arte votiva come una donna gravida. Proprio perché per traslazione partoriva il genere umano (che rabbia per certe femministe incallite che vorrebbero magari il genere donnano). E il concetto di Terra Madre è comunque rimasto vivo fino a oggi ed è più evidente nei paesi con una lingua derivata dagli idiomi indoeuropei del Mediterraneo, greco e latino soprattutto. Perfino in tedesco, dove il Sole è di genere femminile e la Luna maschile, la Terra, die Erde, è femminile. E il tedesco spesso sovverte i sessi. Oddio, lo fanno anche lo spagnolo e il francese a volte, ma non nel caso della Terra. In inglese poi, così come in tedesco, essendo lingue affini, patria ha due modi per essere espressa: homeland e motherland, colla mamma in evidenza, mentre in tedesco Heimat (da cui homeland) e Vaterland, dove invece il papà è in prima fila. Sorpresa, in tedesco das Land – altro sinonimo per Erde, ma con altri significati supplementari – e quindi Vaterland, è un termine neutro: come la mettiamo col sesso maschile per i nostri amici teutonici? Saranno meno pericolosi?

Ma quando vien fuori sto concetto di patria per la prima volta? Mah… Certo Dante e Petrarca, che vivevano in una terra politicamente frazionata in cui si parlavano varie lingue derivate dal latino, dal greco, e pure dall’arabo e dal gotico nelle periferie, avevano forse un concetto di civiltà italiana, anche se molto sarebbe stato ancora da esprimere nei secoli successivi, dopo la riscoperta della classicità. L’Italia di Petrarca era una terra ideale accomunata dalla bellezza dei luoghi e dall’ingegno dei suoi abitanti, che ancora non esisteva se non nel suo immaginario tardomedievale alle porte dell’Umanesimo.

Un’interpretazione della Marsigliese più adeguata alle circostanze…

 

Les enfants de la patrie irrompono sulla scena con furore alla fine del Settecento, e si cominciano a diffondere in Europa col Romanticismo posteriore, ma sempre di guerre si parla. Eppure la patria, rivendicata dalla Libertà, è sempre raffigurata come una donna, da allora in poi colla bandiera in mano e su una barricata. Inni alle patrie dove quella patria vince su tutte le altre furono creati da musicisti laureati e altri mediocri, ma sempre su versi guerreschi e sanguinolenti.

La Terra precede il concetto di patria. Perché è la Terra che viene sminuzzata in tante piccole patrie, ognuna delle quali, supportata da ideologie confezionate ad hoc, reclama il suo spazio e la sua priorità. La Terra è legata alla propria casa, per questo homeland e Heimat. Ma cambierebbe realmente molto se queste patrie le chiamassimo matrie? Quello idiomatico è forse lo scoglio più impervio per le iperfemministe che si appoggiano alla semantica pensando unicamente alla lingua italiana.

La doppia valenza inglese di homeland e motherland, femminilissime, non ha impedito nel civilissimo XXI secolo una furiosa e becera, quanto insensata, Brexit in nome dell’appartenenza a quella terra madre. E le conseguenze si vedranno presto, vista la secolare superbia culturale, e un tempo imperiale, britannica. Tornerà l’albagia della perfida Albione? Forse è già tra noi, con uno psicopatico Boris Johnson sempre più ubriaco di questa uscita dalla casa comune che incrementa la sua superbia dicendo cose senza senso. Ognuno si sceglie il proprio destino. Un virus ha fatto il resto.

Il concetto di mamma, che ce n’è una sola e guai se ce ne fossero più di una, come diceva Franca Valeri in uno dei suoi celebri monologhi della mamma egoista, è anche quello un bastimento carico di significati assai pregnanti, è il caso di dirlo. La mamma è sempre lì a proteggerci, nell’immaginario comune, e la mamma è in assoluto la persona verso cui il legame dei figli è più forte, almeno così viene impartito culturalmente. La sdolcinata (e gotica!) poesia Amor di madre del poeta Arnaldo Fusinato (1817-1888), gloria veneta, termina così:

Dimmi che dopo Iddio
Non amerai che me,
Dimmi, angioletto mio:
Mamma! morrò con te!

La dice lunga assai sul concetto di mammà… Che poi, tra l’altro, Fusinato era uno che di patria se ne intendeva: L’ultima ora di Venezia è sua (coi famosi versi sul ponte sventola bandiera bianca… non di Battiato come molte persone credono).

Siamo quindi certi che la mamma sia sempre la parte migliore? Nel mio caso, sono stato particolarmente fortunato ad avere una madre speciale che, insieme a un padre altrettanto speciale, hanno lasciato crescere i figli secondo le proprie tendenze e aspirazioni, sviluppando la propria strada e trovando un loro equilibrio.

Ma molte, troppe, donne madri questo non lo fanno e fagocitano tutto, marito/mariti, amanti, figli e figlie. Sono le madri vampire, come la mamma della poesia di Fusinato. Oppure fanno i figli e se ne vanno. Eppure sono madri. Poi ci sono le figure delle matrigne, sempre vituperate nelle favole, come in Cenerentola e Biancaneve, quando invece in molti casi sono migliori addirittura delle madri biologiche. Le madri adottive sono pure un caso interessante e anche lì si trovano angeli e demoni (come tra i figli e le figlie ci sono angeli e demoni). Diciamo che matria, applicato a patria, offre altrettanti disagi, forse diversi, forse simili, a quello di patria, perché in nome della matria si possono pure compiere degli efferati soprusi.

In effetti, se proprio dovessimo analizzare cosa significa Italia come patria per noi in questo periodo io più che patria la definirei “patrigna”, nel senso negativo che agli “-igno, -igna” assegnavano gli autori/autrici delle favole. Un paese che, in mano a uomini e donne della politica senza scrupoli e di un’ignoranza abissale, è sempre più devastato, sia dal punto di vista umano sia culturale, con una sanità sempre meno efficiente, una scuola quasi azzerata, non per la pandemia ma per l’ignavia dei governi, con una sfilata di ministre della pubblica istruzione una peggio dell’altra. Voglio ricordare che Letizia Moratti fu tentata dal togliere ore di scienza per regalarle alla religione, è quanto dire, oltre ai misfatti compiuti sulla povera istruzione.

Un’economia sconosciuta alla patria e a chi la invoca come valore, con un lavoro dei suoi figli ugualmente sconosciuto da chi la patria la conduce; un idioma bistrattato e usato da tutti come se fosse un cencio da passare per terra, senza curarsi del significato profondo delle parole, costruito in secoli di evoluzione della lingua: tanto la candeggina sbianca tutto. E non dimentichiamo che anche la lingua fa patria, si dice infatti madrelingua o lingua madre. E la lingua madre è femmina.

Poi, nel concetto di patria c’è l’appartenenza a una o un’altra regione come campanile da privilegiare, spesso, guarda un po’, del Nord Italia, il Veneto che vorrebbe avere gli stessi diritti di prima del Trattato di Campoformio (due secoli fa) che sembra una parodia della Catalogna (che a sua volta sembra una parodia di sé stessa e del Veneto), la Lombardia che dopo le figuracce leghiste si spera che abbia abdicato all’idea di parlamenti mantovani, di ampolle del Po e di corna celtiche. Patria o Matria che dir si voglia il prodotto non cambierebbe. Una cosa è la valorizzazione del proprio luogo seguendo le immaginifiche tracce del genius loci, che può essere maschile o femminile, ben altra è l’esaltazione becera e aggressiva del separatismo basato unicamente sugli schei e su presunte superiorità.

Non è il genere che determina il valore, care femministe alfa. La Terra, come è stato deciso da uomini e donne fin dal passato remoto, è femminile, così come la patria, sostantivo femminile singolare. Non serve sostituire una consonante per illudersi di cambiare le cose. Le cose cambiano solamente dal cervello di ognuno di noi, ma solo se colui/colei – o colei/colui secondo l’ordine stabilito dalla cavalleria e da Lilli Gruber – possiede intelligenza, cultura e umanità (o donnità).

Se pensassimo poi che la triade vincente nei periodi di vuoto ideologico come l’attuale, ossia “Dio patria e famiglia”, che appare negli slogan insopportabilmente urlatissimi dell’unica donna leader politica in un paese apparentemente maschilista (io direi più idiotista, visti gli elementi che circolano, maschi e femmine), è uno slogan che racchiude proprio i tre concetti che sono la base dei fraintendimenti che hanno portato al disastro umano, economico e culturale attuale, dovremmo rifiutare patrie, matrie e qualsiasi riferimento ai sessi, si salvi chi può.  Altro che patria, altro che matria, altro che §atria.

Johannes Urzidil, favoloso e poco conosciuto scrittore boemo tedesco con madre ebrea, scampato alle persecuzioni naziste, che di terre madri ne capiva qualcosa, aggiunse una h iniziale alla parola International esprimendo con un neologismo un concetto più interessante della Matria: Hinternational. Hinter vuol dire dietro a ma, tra i suoi molteplici usi contempla anche lasciarsi indietro: superare la nazionalità. Una visione affine veniva fuori, in modo diverso, dalla canzone di John Lennon Imagine che, a distanza di tanti anni, ha disturbato le patrie paturnie della sorella d’Italia, perché visione pericolosamente comunista. Chissà se colei conoscerà Urzidil, che comunista non era, e saprà che è sepolto a Roma (1970). La cosa divertente è che la sorellastra oggi risulta perfino eletta presidente dei conservatori europei, e quindi il suo concetto di patria me sa che vacilla un pochetto: qual è la patria tua? L’Italia o l’Europa? Che cosa e chi rappresenti?

La mia patria o matria che dir si voglia sono le opere di Monteverdi, di Händel, di Mozart, le poesie di Petrarca, l’Odissea, le opere di Ortega y Gasset, di Mann, di Musil, di Elsa Morante, di Italo Calvino, i dipinti di Caravaggio e di Klimt. Sono le invenzioni di Leonardo e di Marconi, i vaccini di Jenner e le scoperte della Curie. E non sono nati in Sicilia come me. Hinternational. È facile, basta tuffarsi nel concetto e aprirsi al mondo.

Si pregano i lettori di riesaminare la propria identità, basandosi non sulla patria, sulla matria, sul sesso, sul genere, ma sulla capacità intellettiva e di trarne dei possibili giovamenti. Può aiutare conoscere un po’ di lingue e culture straniere, aprono la mente. Se posso essere utile in qualcosa scrivetemi pure. Farò come Susanna Agnelli che, tanti anni fa, nella sua rubrica “Risposte private”, fulminava con frasi agghiacciantemente snob chi osava disturbare la sua contemplazione del mondo dall’alto della sua agnellità. Ma, a sua parziale discolpa, bisogna onestamente riconoscere che anche chi accorato a lei scriveva era intellettualmente instabile o, meglio, disabile. E, esteticamente, illeggibile.

 

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CAT: costumi sociali, Storia

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