AMBROSOLI,CIAMPI,LA MILANO DI OGGI E DI IERI(MORIRE IN STRADA MORIRE IN UFFICIO)

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9 Aprile 2015

Ancora tu, Milano. Tutto inglobi e tutto assorbi, in quest’Italia della crisi. Sempre varia e molteplice, sai anche essere normale.

Oggi, al palazzo di giustizia, era una giornata come le altre. Normale, appunto: le solite chiacchiere, la solita giurisdizione di relazione in corridoio perché la giustizia è anche questo, un chiacchiericcio sommesso tra un’udienza e l’altra, tra un caffè e una pastarella. I soliti sbuffi, sbiruffi e baruffe.

Oggi, al Tribunale di Milano, si è sparato: e la mente, questa mente che subito collega, subito categorizza, unisce in un filo rosso il giudice Fernando Ciampi all’avvocato Giorgio Ambrosoli, per continuità di casistica e di città.

Milano, città di idee e di soldi. Milano, città di alterazioni della realtà. Le idee falliscono, per colpa di qualcuno o perché così va oggi e così andava ieri : Ciampi, come Ambrosoli, in queste alterazioni cercava di capirci qualcosa.

Simili nel ruolo ultimo dunque, diversi per fine.

Di Ambrosoli, Stajano ebbe a scrivere che “avrebbe voluto morire per la patria su un cavallo imbizzarrito, come Petia Rostov, il suo eroe. Invece, è morto assassinato su un marciapiede di città, per una patria smarrita.”

Non eravamo più abituati. Colpisce che si è ricominciato a morire in virtù di ciò che facciamo, scriviamo o diciamo, in questa Europa dell’oggi fragile e smarrita, come la patria di Ambrosoli che era anche la patria di Ciampi e di tutti i protagonisti di questa orrenda storia.

Colpisce il dove.

Fernando Ciampi è morto nel suo ufficio, l’avvocato Appiani durante un’udienza. I giornalisti di Charlie Hebdo dentro la propria redazione. Le impiegate sulla propria sedia dentro il palazzo della Regione Umbria.

Siamo noi stessi anche in virtù dei luoghi in cui viviamo e  che facciamo nostri, cui diamo e talvolta imponiamo un nostro ordine, perché tutto corrisponda, tutto ci sia familiare: colpirci dove ci sentiamo a casa, dove ci sentiamo al sicuro è una tortura diabolica, uno sfregio ulteriore eppure funzionale. Raggiunge un doppio fine: eliminare la persona, mettere in guardia l’Istituzione, il giornale, l’ufficio.

No, nulla è cambiato nelle nostre reazioni. Siamo impauriti, indignati, vulnerabili. Attoniti. Come prima.

E’ la pratica che è cambiata, la fisica dell’accadimento: si moriva mentre si andava a lavoro, ora si muore mentre si è, a lavoro.

 

 

TAG: criminalità, giustizia, Lavoro, Magistratura, Stato
CAT: Criminalità, Milano

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